Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19443 del 07/11/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 19443 Anno 2018
Presidente: DI TOMASSI MARIASTEFANIA
Relatore: SIANI VINCENZO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BELLINA ROMANO nato il 27/06/1944 a VILLA SANTINA

avverso l’ordinanza del 21/02/2017 del TRIB. SORVEGLIANZA di TRIESTE
sentita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO SIANI;

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Data Udienza: 07/11/2017

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza in epigrafe, resa in data 21 febbraio 2017, il Tribunale di
sorveglianza di Trieste ha revocato, con decorrenza dalla data della sospensione
provvisoria di tale provvedimento disposta dal Magistrato di sorveglianza con
atto del 10 febbraio 2017, la detenzione domiciliare concessa a Romano Bellina
con suo provvedimento del 22 novembre 2016, a cagione della valutazione
negativa del comportamento serbato dal condannato in corso di esecuzione della

2. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il difensore del Bellina chiedendo
il suo corrispondente annullamento e deducendo a sostegno dell’impugnazione
quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo è lamentata violazione di legge, in riferimento
all’art. 71-bis Ord. pen., per avere il Tribunale assunto la decisione contestata
senza i necessari accertamenti e senza essersi avvalso della consulenza dei
tecnici del trattamento, come aveva richiesto la difesa.
Su questo argomento, oltre a non tener conto del mancato svolgimento dei
suddetti accertamenti, l’ordinanza impugnata non aveva speso alcuna
argomentazione, nonostante la stessa Stival, recatasi in carcere, avesse trovato
il Bellina in pessime condizioni psicofisiche ed afflitto da problematiche di salute,
fino a palesare un vero e proprio stato confusionale.
2.2. Con il secondo motivo si prospetta mancanza, illogicità e
contraddittorietà della motivazione, in quanto il provvedimento impugnato non
aveva deciso, senza spiegazione, sulle richieste della difesa riguardanti
l’acquisizione della documentazione sanitaria della Casa circondariale di Treviso
relativa al Bellina nel periodo in cui questi era stato lì detenuto, l’acquisizione
degli accertamenti geriatrico-n urologici effettuati o da effettuarsi, la
disposizione di consulenza volta stabilire la capacità di intendere di volere del
condannato al momento della violazione delle prescrizioni e la compatibilità del
regime carcerario con il suo stato di salute.
Era chiaro come la previa valutazione della consapevolezza del
comportamento tenuto da parte del condannato al momento della violazione
delle prescrizioni fosse imprescindibile ai fini della corretta decisione, poiché se
non fosse sussistita tale consapevolezza non avrebbe potuto procedersi alla
revoca della detenzione domiciliare. Del pari, se lo stato di salute del Bellina
fosse risultato incompatibile con il regime carcerario, a lui non poteva essere non
garantita una soluzione alternativa alla detenzione intramuraria.
2.3. Con il terzo motivo si deduce inosservanza ed erronea applicazione

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detenzione stessa.

della legge, con particolare riferimento alle fattispecie di cui agli artt. 146 e 147
cod. pen.
2.4. Con il quarto motivo è evidenziata mancanza, illogicità e
contraddittorietà della motivazione, perché non è stato deciso, nérmotivato l in
merito alla richiesta difensiva che aveva sollecitato il rinvio dell’esecuzione della
pena ai sensi dei sopra indicati artt. 146 e 147 cod. pen., pur sussistendone i
presupposti.
Il Tribunale aveva mancato ogni riferimento alla dedotta evenienza di tali
ulteriori fattispecie, né aveva dato conto della ragione per la quale fossero

restate inevase le richieste di approfondimenti medici tesi a verificare l’esistenza
dei requisiti legittimante il differimento della pena, salvo a raccomandare
genericamente all’Amministrazione penitenziaria di accertare le condizioni di
salute del Bellina. Fra l’altro, in data successiva al provvedimento, la difesa era
riuscita a far visitare il detenuto da sanitario specialista in geriatria e
gerontologia che aveva riferito elementi importanti in ordine alla sua condizione
deficitaria sotto il profilo psicofisico e circa la sua capacità di intendere di volere,
così confortando la tesi dell’incompatibilità tra le sue condizioni di salute ed il
regime carcerario, come da relazione allegata.

3. Il Procuratore generale ha prospettato la declaratoria di inammissibilità
dell’impugnazione, dal momento che le argomentazioni svolte dal ricorrente non
risultavano pertinenti: premesso infatti che la detenzione domiciliare concessa e
poi revocata era di natura ordinaria, le suddette deduzioni erano estranee
all’oggetto del procedimento di revoca, provvedimento congruamente giustificato
nell’ordinanza impugnata; tutte le argomentazioni relative all’eventuale richiesta
di detenzione domiciliare o di differimento della pena per ragioni di salute,
dedotte come formulate in via subordinata, non potevano essere versate in
questo procedimento, ma avrebbero dovuto essere proposte con autonoma
domanda, sicché correttamente il Tribunale di sorveglianza non si era
pronunziato sulle stesse in sede di revoca, limitandosi a demandare
all’Amministrazione penitenziaria l’accertamento delle complessive condizioni di
salute psicofisica del detenuto, in vista di futuri ed eventuali provvedimenti.

4.

La difesa del Bellina, con memoria depositata il 31 ottobre 2017, ha

replicato alle prospettazioni dell’Autorità requirente stigmatizzando con ulteriori
accenti l’omessa effettuazione da parte del Tribunale di sorveglianza della
valutazione di incompatibilità del comportamento del condannato con il
mantenimento della detenzione domiciliare, nonché ribadendo che, anche nel
procedimento avente ad oggetto il provvedimento di revoca, il giudice avrebbe

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(

dovuto valutare le condizioni di salute del Bellina, in quanto esse integravano
uno dei presupposti per preservare alla pena la finalità rieducativa e garantire le
possibilità concrete di reinserimento sociale del condannato, a prescindere
dall’essere state o meno, tali condizioni, alla base dell’originaria ammissione alla
misura alternativa: in tal senso era mancata la comparazione tra lo stato di
infermità fisica dell’interessato e la portata delle occorse violazioni delle
prescrizioni.

1. La Corte ritiene che l’impugnazione si sia esaurita nella prospettazione di
profili non ammissibilmente veicolabili nei binari fissati dall’art. 606 cod. proc.
pen. e, quindi, sia inammissibile.

2. E’ rilevante prendere atto che il Tribunale, a ragione della revoca, ha
evidenziato innanzi tutto come – dopo che il 22 novembre 2016 il Bellina,
raggiunto da ordine di carcerazione per l’esecuzione delle pene detentive di anni
uno, mesi sei di reclusione e di anni uno, mesi due di arresto (di cui al
provvedimento di cumulo n. 154/2016 SIEP del 2 maggio 2016 emesso dalla
Procura della Repubblica presso il Tribunale di Udine), era stato ammesso alla
detenzione domiciliare – il Magistrato di sorveglianza di Udine, con successivo
provvedimento del 3 gennaio 2017, abbia disposto il riesame della misura
alternativa, essendo stato tratto in arresto, il Bellina, il 2 gennaio 2017 perché
colto in flagranza del reato di evasione, dopo che nel corso del dicembre 2016
egli era stato già denunciato per la medesima condotta realizzata nelle date del
22 dicembre 2016 e del 28 dicembre 2016, salvo che la sospensione non era
stata adottata in occasione di questi primi episodi poiché si era voluto consentire
al Bellina, afflitto da problematiche relative alla sua salute, di modificare il
proprio atteggiamento, anche in relazione al fatto che gli operatori UEPE avevano
segnalato l’intervento della ex compagna del condannato, Giovanna Stivai, la
quale aveva dato la sua disponibilità ad ospitarlo nel proprio domicilio in Santa
Lucia di Piave.
Il Tribunale di sorveglianza ha poi preso atto che, tuttavia, dopo che era
autorizzato il cambio di domicilio, erano pervenute informazioni dell’UEPE con
nota del 31 gennaio 2017, dal cui esame era risultato che il Bellina aveva
minacciato la Stivai ed aveva tenuto un comportamento scorretto ed aggressivo,
finalizzato al soddisfacimento delle sue personali esigenze, anche sessuali,
incompatibile con la prosecuzione della misura alternativa.
Si è rilevato che, anche dopo il suo arresto, seguito al provvedimento del 10

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CONSIDERATO IN DIRITTO

febbraio 2017, la Stivai, unitamente alla figlia, aveva rinnovato la sua
disponibilità ad ospitare il Bellina, pure per sottoporlo a controlli necessari per
vagliarne le effettive condizioni di salute, ed era stata acquisita, al riguardo,
certificazione del 27 gennaio 2017 che attestava essere il Bellina affetto da
obesità, gonartrosi e depressione reattiva e consigliava un’ora di attività fisica al
giorno, possibilmente all’aperto.
In tale situazione i giudici di sorveglianza hanno altresì tenuto conto dl fatto
che l’UEPE, con relazione del 17 febbraio 2017, aveva evidenziato che, in ipotesi

terapeutico mirato a conseguire un equilibrio nei comportamenti del condannato,
percorso, d’altro canto, da impostarsi parimenti da parte dell’Amministrazione
penitenziaria, nell’ipotesi in cui, invece, fosse stata deliberata la prosecuzione
della detenzione inframuraria.
L’epilogo valutativo di questa serie di rilevazioni è stato dal Tribunale di
sorveglianza fondato sulla, non illogica, presa d’atto che il Bellina fin dall’avvio
del beneficio aveva integrato violazioni ripetute e prolungate delle prescrizioni ed
aveva mostrato mancanza di collaborazione con i servizi, valutazione negativa
che si è coniugata con il rilievo per cui la sua situazione abitativa presentava
criticità notevoli che l’UEPE aveva proposto di superare mediante il suo ricovero
in una casa di riposo, possibilità peraltro rifiutata dal condannato, mentre la sua
sistemazione presso l’abitazione della ex compagna aveva ugualmente palesato
gravi limiti, in quanto erano affiorati atteggiamenti del Bellina indicativi
dell’assenza di consapevolezza da parte sua della portata e del significato della
misura alternativa accordatagli e dell’assenza di una sua percepibile volontà di
rispettare il regime prescrittivo impostogli, tanto che si era reso necessario
l’intervento delle forze dell’ordine.
In definitiva, secondo il convincimento dei giudici di merito, espresso con
motivazione congrua, la condotta del condannato è risultata incompatibile con la
prosecuzione della misura e sono venute irreparabilmente a mancare le
condizioni soggettive necessarie per una corretta gestione della stessa.
Il beneficio, per come accordato, andava necessariamente revocato, con la
specificazione espressa dallo stesso Tribunale che sarebbe stato compito
dell’Amministrazione penitenziaria predisporre gli interventi utili ad assicurare il
soddisfacimento dei bisogni primari e l’accertamento delle complessive condizioni
di salute del condannato.

3. La revoca della detenzione domiciliare, al lume dell’art. 47-ter, comma 6,
Ord. pen. va disposta se il comportamento del soggetto, contrario alla legge o
alle prescrizioni dettate, appare incompatibile con la prosecuzione delle misure. E

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di ripresa della misura alternativa, era necessario prevedere un percorso

condivisibilmente si è precisato che il beneficio della detenzione domiciliare non
deve essere revocato in modo meccanicistico in qualsiasi caso di violazione delle
prescrizioni dettate, ma lo deve essere soltanto quando il comportamento del
soggetto sia risultato tale da configurarsi come incompatibile con la prosecuzione
della misura (Sez. 1, n. 13951 del 04/02/2015, Marotta, Rv. 263077).
Per altro verso, ove le infrazioni alle prescrizioni coordinate all’esecuzione
della misura risultino di sostanziale gravità, i giudici di sorveglianza hanno pieno
titolo ad apprezzarne in modo autonomo la portata, senza attendere l’esito del

abbia eventualmente innescati (Sez. 1, n. 47037 del 16/12/2016, dep. 2017,
Mele, n. m.; Sez. 1, n. 41540 del 10/11/2010, Rizzo, Rv. 248469, ha, in tale
prospettiva, puntualizzato che la revoca della detenzione domiciliare è
legittimamente disposta nei confronti del condannato che ne fruisca in presenza
di ripetute e accertate violazione delle prescrizioni imposte, con particolare
riferimento all’abbandono ingiustificato del luogo di detenzione, anche prima
della definizione del giudizio sul reato di evasione contestatogli).
3.1. Tenuto conto degli specifici riferimenti compiuti dal Tribunale all’attività
degli operatori dei servizi sociali, volta, in uno a quella della ex compagna del
condannato a recuperare il Bellina ad un abito comportamentale compatibili con
l’esecuzione della detenzione domiciliari pur dopo le prime, già gravi violazioni da
lui commesse in un breve lasso di tempo, è da ritenere ictu ocull priva di
fondamento la prima doglianza lì dove essa tende a configurare una carente
utilizzazione da parte dei giudizi specializzati delle competenze dei servizi sociali
onde pervenire alla decisione.
Invero, la succitata gravità delle condotte serbate dal Bellina è stata
adeguatamente ponderata dai giudici di merito e, per la ragione già esposta,
l’accertamento con sentenza di condanna irrevocabile dell’evasione compiuta con
l’allontanamento dal luogo di detenzione domiciliare non era pregiudiziale al
provvedimento di revoca (impregiudicata, per il resto, la necessaria conseguenza
della revoca, a meno della valutazione di lieve entità del fatto, scaturente dalla
condanna per il delitto di evasione, ai sensi dell’art. 47-ter, comma 9, Ord.
pen.), dal momento che la reiterazione degli allontanamenti dall’abitazione in
tempo breve e la più complessiva condotta del condannato connotata dalla
violazione delle prescrizioni (pur dopo il mutamento di domicilio) hanno costituito
una serie base logica a fondamento del provvedimento assunto.
Alla stregua delle svolte precisazioni, poi, il ricorrente non ha fornito
un’apprezzabile base logica alla censura relativa alla mancata nomina di un
perito che approfondisse le condizioni del condannato, posto che il suo reiterato
e grave comportamento deviante dal retto percorso implicato dalla statuto

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procedimento o dei procedimenti penali che la contestazione di quelle violazioni

regolatore della detenzione domiciliare ha determinato l’oggettiva incompatibilità
con i necessari obiettivi trattamentali della prosecuzione della detenzione
domiciliare e ne ha richiesto la revoca.
3.2. Quanto, poi, alla nuova tematica relativa alle precarie condizioni di
salute del condannato, la relativa verifica – che certamente andava e va fatta
anche in ambiente inframurario – non poteva tuttavia influenzare il procedimento
in corso e determinare il differimento del provvedimento di revoca, una volta che
se ne erano accertati i presupposti.

da condotte incompatibili con la finalità della misura alternativa non ammette
dilazioni, attesa l’intrinseca urgenza, connessa con la sua finalità, del
procedimento di revoca, come è dato desumere anche dalla disciplina dell’art.
51-ter Ord. pen. (nella parte in cui stabilisce che il tribunale di sorveglianza per
le decisioni di competenza in tema di revoca va assunto entro trenta giorni dalla
ricezione degli atti, pena la perdita di efficacia del provvedimento sospensivo
interinale emesso dal magistrato di sorveglianza).
Di conseguenza, le condizioni di salute del Bellina, ove siano tali da
determinare problematiche concrete di compatibilità fra le cure e le terapie che
esse richiedono e la detenzione carceraria, dovranno, una volta disposta ed
avuta esecuzione la revoca della detenzione domiciliare ordinaria, dare luogo
all’innesco, all’istruttoria ed alla decisione inerente ai procedimenti
corrispondentemente previsti dall’ordinamento per il compimento della
valutazione della loro compatibilità con il regime carcerario e, quindi, con le
finalità rieducative della pena e le correlative possibilità concrete di
reinserimento sociale conseguenti alla rieducazione.
Il Tribunale, anche in relazione alla seconda delle doglianze che hanno
contraddistinto il ricorso, ha motivato, pertanto, in modo adeguato circa la
necessaria immediatezza del provvedimento di revoca della misura alternativa,
obiettivamente non ritardabile, con la sollecitata attività istruttoria, strumentale
alla verifica delle condizioni legittimanti di diversa fattispecie di detenzione
domiciliare, in particolare della detenzione domiciliare definita umanitaria, o a
durata prestabilita, di cui all’art.

47-ter, comma

1-ter,

Ord. pen.: misura

afferente ad oggetto estraneo al procedimento in atto, ma sempre suscettibile di
essere domandata con separata istanza nell’ambito di autonomo procedimento.
3.3. Questa notazione impone di disattendere anche i restanti due motivi,
inerenti alla mancata verifica, nel corso di questa procedura di revoca, del
differimento dell’esecuzione della pena ai sensi degli artt. 146 e 147 cod. pen.
Del resto, con riguardo all’adombrata sussistenza delle condizioni
legittimanti la detenzione domiciliare disciplinata dall’art. 47-ter, comma 1-ter,

7

In effetti, il procedimento di revoca della detenzione domiciliare determinato

Ord. pen., deve ricordarsi che essa rinviene i suoi presupposti nella medesima
situazione che conferisce titolo al differimento, obbligatorio o facoltativo, della
pena, per cui l’insussistenza dei presupposti richiesti per la concessione del rinvio
facoltativo od obbligatorio della esecuzione della pena preclude automaticamente
l’applicabilità della detenzione domiciliare per un periodo di tempo determinato
previsto dall’art. 47-ter, comma 1-ter, cit., in quanto questo istituto è, sotto il
profilo della situazione legittimante, privo di un ambito applicativo autonomo,
essendo concedibile, in via surrogatoria, a patto che ricorrano i presupposti

(Sez. 1, n. 47039 del 10/01/2017, Zappia, n. m.; Sez. 1, n. 25841 del
29/04/2015, Coku, Rv. 263971).
Ciò conferma che anche la prospettazione del rinvio dell’esecuzione della
pena nel procedimento di revoca della detenzione domiciliare all’evidenza non
valeva a precludere o a differire l’esito proprio del procedimento in corso.

4. Coerente sbocco di queste considerazioni è la conclusione che il ricorso va
dichiarato inammissibile.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione (Corte cost., sent. n.
186 del 2000) – di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura
che, in ragione del complesso e del contenuto dei motivi dedotti, si stima equo
determinare in euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e la versamento della somma di euro 2.000,00 in favore della
Cassa delle ammende.
Così deciso il 7 novembre 2017

legittimanti il differimento della pena ai sensi degli artt. 146 e 147 cod. pen.

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