Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19441 del 19/03/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 19441 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: ANDREAZZA GASTONE

SENTENZA

sul ricorso proposto da : Aquino Luca, n. a Torre Annunziata il 24/09/1972;
Tescaru Gabriela Georgeta, n. in Romania il 28/02/1982;

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Salerno in data 26/09/2013;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Gastone Andreazza;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale G. Romano, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udite le conclusioni del difensore di fiducia, Avv. G. Della Monica, che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Aquino Luca e Tescaru Gabriela Georgeta propongono ricorso per cassazione
avverso la sentenza della Corte d’appello di Salerno che ha parzialmente
riformato la sentenza di condanna del G.u.p. presso il Tribunale di Nocera
Inferiore rideterminando le pene da questa irrogate per il reato di cui all’art. 73

Data Udienza: 19/03/2014

del d.P.R. n. 309 del 1990 in relazione alla detenzione, a fini di spaccio, di un
ingente quantitativo di gr.2.140 di cocaina.

2. Lamentano con un primo motivo la illogicità della motivazione con riguardo
alla prova della affermata responsabilità di Aquino, rilevando in particolare che
benché egli fosse conduttore del fondo, lo stesso era privo di recinzione e che

erano presenti tracce evidenti del passaggio e dello stazionamento di terze
persone.
Con un secondo motivo lamentano la manifesta illogicità della motivazione in
ordine alla ritenuta responsabilità della Tescaru fondata sul solo fatto che la
stessa sia stata vista dirigersi verso il luogo ove era occultata la droga (senza
prelevarla giacché asportata in precedenza dalla polizia) quale elemento del tutto
insufficiente a configurare un concorso nel reato.
Con un terzo motivo lamentano l’illogicità della motivazione con riguardo alla
ingente quantità dello stupefacente. Nella specie, atteso il valore-soglia pari a
1.500 grammi, il principio attivo rilevato è di 1.595,40 appena superiore di 95
grammi al limite stabilito per la configurabilità dell’aggravante secondo la
giurisprudenza delle Sezioni Unite mentre la Corte di appello ha fatto riferimento
unicamente al dato ponderale senza valutare il caso alla luce degli altri parametri
ed anzi facendo riferimento ad elementi del tutto incongrui, come il
comportamento e la personalità degli imputati.
Con un ultimo motivo lamentano la violazione del divieto di reformatio in peius
avendo il giudice di appello, pur riducendo l’aggravio di pena per la recidiva,
aumentato il quantum di pena per la circostanza aggravante ex art. 80, comma
2, del d.P.R. cit. (da anni uno e mesi otto di reclusione ad anni quattro).

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il primo e secondo motivo sono inammissibili.
Va ribadito che alla Corte di cassazione è preclusa la possibilità non solo di
sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta
nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia
portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo
che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno
(Sez. U., n. 12 del 31/05/2000, lakani, Rv. 216260); resta dunque esclusa, pur
dopo la modifica dell’art. 606 lett. e) c.p.p., la possibilità di una nuova
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nell’interstizio tra container e capanno ove era stato collocato lo stupefacente

valutazione delle risultanze da contrapporre a quella effettuata dal giudice
di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati
processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di
rilevanza o attendibilità delle fonti di prova (Sez. 2, n. 7380 dell’ 11/01/2007,
Messina ed altro, Rv. 235716).
Nella specie, il ricorso, lungi dal censurare la logicità, congruenza ed esaustività

del compendio probatorio pretendendo che dalla lettura dei dati acquisiti
dovesse pervenirsi ad esito assolutorio.
In realtà, la sentenza impugnata, dopo avere riportato la dinamica dei fatti
accaduti il 4 aprile del 2012 già enunciati nella sentenza di primo grado, e che
qui devono darsi per conosciuti, ha anzitutto evidenziato che la condotta degli
imputati, ed in particolare l’essere Aquino rimasto a pochi metri dal punto di
occultamento dello stupefacente, pronto a risalire in auto e ripartire e l’essersi la
donna diretta, senza esitazione, proprio verso il punto in cui la droga era,
all’interno del fondo di proprietà ed in possesso di Aquino, nascosta, si è
dimostrata idonea a motivare in termini logici, la prova della consapevolezza da
parte di entrambi della presenza in loco della cocaina, quindi codetenuta, e della
volontà di recuperarla, in tutto od in parte.
La stessa sentenza ha, in secondo luogo, senza incorrere in illogicità od
incongruenze, ritenuto inaccoglibile la lettura alternativa di questi stessi dati
offerta dalla difesa a supporto della tesi per cui la presenza degli imputati
avrebbe dovuto spiegarsi con attività di coltivazione od irrigazione del fondo : ha
infatti spiegato come gli stessi non fossero muniti di abbigliamento idoneo o di
attrezzi utili a tali scopi e come nessun altro comportamento significativo in tal
senso sia stato tenuto. Né, ha ancora spiegato la sentenza, si è potuto ritenere
che fosse intenzione della donna, come dalla stessa preteso, quella di installare i
tubi per l’irrigazione del fondo, giacché detti tubi non erano posti nel punto
specifico ove anche lo stupefacente era collocato, ovvero quella di espletare
bisogni fisiologici, attesa l’estrema angustia del posto, ostruito anche da rifiuti.
In definitiva, dunque, non è dato cogliere, nella lettura dei dati probatori operata
dalla Corte territoriale e nella confutazione che quest’ultima ha fatto delle
interpretazioni alternative della Difesa, alcun vizio logico – motivazionale idoneo
ad incidere sulla tenuta del provvedimento.

4. Il terzo motivo è infondato.
Questa Corte a Sezioni Unite ha affermato che la circostanza aggravante della
ingente quantità, di cui al comma 2 dell’art. 80 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n.
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della motivazione, investe, in realtà, inammissibilmente, la valutazione stessa

309, non è di norma ravvisabile quando la quantità sia inferiore a 2.000 volte il
valore massimo in milligrammi (valore-soglia), determinato per ogni sostanza
nella tabella allegata al d.m. 11 aprile 2006, fermo restando che, ove tale
quantità sia superata, deve comunque soccorrere la valutazione in concreto del
giudice di merito, non essendo il mero superamento del parametro tale da
determinare, “di per sé ed automaticamente”, la configurabilità dell’aggravante

Infatti, la determinazione quantitativa così operata, hanno precisato sempre le
Sezioni Unite, non è il frutto di una rigorosa valutazione statistica, ma di una
valutazione operata su dati processuali che, pur con inevitabili margini di
approssimazione, possono e devono essere assunti. Ne consegue che la soglia
così stabilita definisce solo tendenzialmente il limite quantitativo minimo nel
senso che se, al di sotto di essa, la ingente quantità non potrà di regola essere
ritenuta, al di sopra spetterà al giudice operare in concreto la valutazione dei dati
disponibili.
Nella specie, indiscusso, in virtù della detenzione di un quantitativo di gr.
1.595,40, il superamento del valore di gr.1.500, pari infatti a 2.000 volte il
valore – soglia di 750 mg. proprio della cocaina, il ricorrente lamenta, a fronte
dell’esiguo “sforamento” del parametro (superato per soli 95 grammi circa), la
carenza motivazionale della sentenza in ordine alla configurabilità, comunque,
della circostanza aggravante, per di più erronea laddove ha valorizzato dati
soggettivi del tutto estranei alla ratio della previsione dell’art. 80 cit..

4.1. Una siffatta carenza motivazionale non è tuttavia, nella specie, rinvenibile.
La sentenza impugnata infatti, non si è limitata, per motivare la sussistenza
della circostanza, a valorizzare dati, quali la personalità di Aquino ed il
comportamento tenuto dagli imputati, effettivamente inconferenti rispetto al
profilo quantitativo strettamente proprio della aggravante in questione, ma, nel
richiamare la sentenza di primo grado, ha evocato, a pag.6, manifestando poi a
pag. 9 espressa adesione ad esso, il passaggio nel quale si sono considerati il
mercato di destinazione dello stupefacente (nella specie l’agro nocerino sarnese), il numero dei tossicodipendenti rifornibili e la oggettiva eccezionalità,
sempre in relazione all’area di interesse, del sequestro compiuto.

4.1. Ora, una tale motivazione, se anche può essere non sufficiente a far
ritenere configurabile la circostanza aggravante ove la soglia individuata dalla
decisione delle Sezioni Unite non sia oltrepassata (atteso che in tal caso si
richiede necessariamente al giudice una motivazione che abbia la forza di
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(Sez. U., n. 36258 del 24/05/2012, P.G. e Biondi, Rv. 253150).

superare la regola ordinariamente fissata dalla Corte : cfr. Sez. 3, n. 14948 del
28/01/2014, P.G. in proc. Carriola ed altri), appare invece di per sé sufficiente a
rendere, proprio in applicazione del principio espresso dalle Sezioni Unite,
significativo, nel senso della configurabilità dell’aggravante, il superamento del
valore soglia moltiplicato per 2.000.
Ben può infatti il giudice, nell’esercizio del potere concreto di valutazione cui è

valore – limite, quegli elementi di fatto, mirati a considerare la realtà specifica,
che già la giurisprudenza aveva a suo tempo individuato, anteriormente alla
elaborazione delle Sezioni Unite del 2012, ed in assenza di specifici parametri
quantitativi, quali indici, allora, di per sé esaustivi della ricorrenza della
aggravante (sostanzialmente, in tal senso, in parte motiva, anche Sez. 5, n.
10961 del 10/01/2013, Scognanniglio e altri, non massimata sul punto); e tra
essi, in particolare, attesa la ratio della disposizione dell’art. 80 cit., rimasta
tuttora tale, e da individuarsi nel pericolo di aggravamento per la salute
pubblica, anche il dato della agevolazione del consumo nei riguardi di un
rilevante numero di tossicodipendenti rapportato ad una specifica realtà
territoriale, essendo l’apprezzamento del giudice del merito che vive la realtà
sociale del comprensorio territoriale nel quale opera in grado di apprezzare
specificamente la ricorrenza di una tale circostanza (a decorrere da Sez. U., n.
17 del 21/06/2000, Primavera e altri, Rv. 216666, cfr., da ultimo, tra le altre,
Sez. 4, n. 47501 del 30/11/2011, Ben Sassi, Rv. 251742; Sez. 5, n. 22766 del
03/05/2011, Pellegrino, Rv. 250398;Sez. 2, n. 4824 del 12/01/2011, Baruffaldi,
Rv. 249628).
Corretta, dunque, nei termini appena enunciati, la motivazione sul punto della
sentenza impugnata, le doglianze del ricorrente, pur fondate, come già detto,
con riguardo all’evocazione (tuttavia tale, per quanto già detto, da non incidere
sulla complessiva ragione giustificatrice della decisione) di parametri ultronei
rispetto alla previsione in oggetto, si sono limitate, per il resto, a confutare i dati
fattuali considerati senza offrire elementi di censura incidenti su logicità e
congruità della motivazione.

5. Il quarto motivo è infine inammissibile.

La sentenza di primo grado, muovendo dalla pena base di anni otto di reclusione
ed euro 40.000 di multa, ha, nel concorso di recidiva reiterata specifica e di
circostanza aggravante ex art. 80 cit. operato un primo aumento, ex art. 63,
comma 4, prima parte, c.p., per la recidiva contestata, ritenuta più grave
rispetto alla circostanza aggravante, sino ad anni tredici e mesi quattro di
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tenuto, valorizzare, per corroborare il dato rappresentato dal superamento del

reclusione ed euro 66.667,00 di multa e un secondo aumento (quello,
facoltativo, di cui all’art. 63, comma 4, seconda parte cit.) sino ad anni quindici
ed euro 80.000. La Corte territoriale, andando di contrario avviso rispetto al
giudice di primo grado, e ritenendo, invece, più grave la circostanza aggravante,
muovendo sempre dalla medesima pena base di anni otto di reclusione ed euro
40.000 di multa, ha operato un primo aumento, sempre ex art. 63, comma 4,

60.000, ed un secondo aumento (quello, facoltativo, di cui all’art. 63, comma 4,
seconda parte, cit.), sino ad anni dodici e mesi nove ed euro 66.000.
Ora, pur avendo la Corte territoriale errato, senza che peraltro di ciò il ricorrente
espressamente si sia lamentato, nell’individuazione della circostanza più grave
(posto che nella specie è più grave, come correttamente affermato dal Tribunale,
la recidiva ex art. 99, comma 4, seconda parte, c.p., comportante un aumento di
2/3, rispetto alla circostanza ex art. 80 cit., comportante, invece, un aumento
ricompreso tra la metà e due terzi), la stessa Corte ha tuttavia in concreto
apportato al computo, sia per il primo, necessario, che per il secondo,
facoltativo, degli aumenti di cui all’art. 63, comma 4, c.p. una entità di pena
inferiore agli aumenti operati in concreto invece dal Tribunale (tanto che, infatti,
la pena finale è stata sensibilmente ridotta rispetto a quella del primo grado).
Ne consegue, ove anche volesse individuarsi, in quanto esposto, la violazione del
divieto di reformatio in peius (violazione certamente non ravvisabile, peraltro,
per le ragioni enunciate dal ricorrente che ha posto impropriamente a raffronto
tra loro i due aumenti effettuati per l’aggravante ex art. 80, mentre avrebbe
dovuto raffrontare tra loro, dapprima, gli aumenti operati ex art. 63 comma 4,
prima parte, e, successivamente, gli aumenti operati ex art. 63, comma 4,
seconda parte), la mancanza di alcun interesse in capo al ricorrente, con
conseguente inammissibilità del motivo di censura.

6. Il ricorso va, in definitiva, rigettato con conseguente condanna di entrambi i
ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 19 marzo 2014

Presidente

prima parte, cit., per la circostanza aggravante, sino ad anni dodici ed euro

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