Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19440 del 09/02/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 19440 Anno 2018
Presidente: DI TOMASSI MARIASTEFANIA
Relatore: VANNUCCI MARCO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MARTIRE FRANCESCA nato il 23/10/1954 a TARANTO

avverso l’ordinanza del 25/08/2016 del TRIB. LIBERTA’ di TARANTO
sentita la relazione svolta dal Consigliere MARCO VANNUCCI;

Udit i difensor Avv.;

Data Udienza: 09/02/2017

o

Sentite le conclusioni del Procuratore generale, in persona del dott. Luca Tampieri,
che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Per la ricorrente è comparso l’avvocato Giuseppe Campanelli, sostituto processuale
dell’avvocato Fabrizio Lamanna, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa il 25 agosto 2016 ex art. 310 cod. proc. pen., il Tribunale
di Taranto ha confermato l’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari

interessa, rigettata l’istanza con la quale Francesca Martire aveva chiesto la
sostituzione della misura di sicurezza nei suoi confronti provvisoriamente disposta
(in quanto imputata del delitto di omicidio della propria madre) con la misura della
libertà vigilata «a finalità trattamentali, riabilitative, risocializzanti, in strutture
riabilitative sanitarie».
Premessa l’ammissibilità dell’impugnazione dalla Signora Martire proposta contro
la menzionata ordinanza definitiva del procedimento cautelare incidentale di prima
istanza, il rigetto dell’appello è così motivato: con sentenza del 19 luglio 2016 il
Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Taranto aveva assolto Martire,
affetta da disturbo schizoaffettivo di tipo bipolare, dall’accusa di omicidio della
propria madre, avendola ritenuta non imputabile per difetto di capacità di intendere
e di volere; la stessa sentenza aveva applicato alla condannata la misura di
sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario (al momento della
emissione della sentenza la misura era stata provvisoriamente disposta in sede
cautelare con ordinanza emessa il 18 settembre 2015, di revoca della custodia
cautelare in carcere); l’istanza tendeva alla sostituzione della misura del ricovero in
residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza (di seguito indicata come
“R.E.M.S.”) con quella della libertà vigilata presso strutture sanitarie che
consentissero adeguate cure alla persona; alla luce del contenuto della sentenza,
additiva, della Corte costituzionale del 18 luglio 2003, n. 253, la misura di sicurezza
della libertà vigilata può applicarsi a persona assolta da reato per vizio totale di
mente a condizione che la pericolosità sociale sia controllabile in concreto attraverso
programmi terapeutici specifici e che siano indicate concretamente le prescrizioni;
dal contenuto della relazione depositata dal perito, dott. Alessandro Zaffarano,
risultava che la pericolosità sociale di Martire era attenuata solo dalla continuità
delle cure farmacologiche ed al percorso di presa di coscienza; il perito aveva
escluso che il trattamento sanitario idoneo ad eliminare, almeno in parte, la
pericolosità sociale di tale persona fosse da lasciare alla sola iniziativa o
contrattazione della donna, le cui condizioni di salute potrebbero migliorare in
contesto comunitario regolato capace di garantire la continuità delle cure
farmacologiche funzionali alla rivisitazione critica, sul piano della realtà, dei fatti di

dello stesso Tribunale il 26 luglio 2016, con la quale era stata, per quanto qui

cui era stata protagonista; il difensore si era limitato ad indicare strutture
riabilitative, senza anche indicare programmi psicoterapeutici in grado di
contemperare le esigenze di cura della persona con quella del controllo della relativa
pericolosità sociale, che non era punto scemata, e tale attività non poteva essere
compiuto dal giudice che, in materia, «difetta…di competenza alcuna».
Per la cassazione di tale ordinanza Martire ha proposto ricorso (atto sottoscritto
dal relativo difensore, avvocato) con il quale sono, in buona sostanza, lamentate

In particolare, il giudice del merito cautelare non ha tenuto conto del precetto
contenuto nell’art. 3-ter del d.l. n. 211 del 2011, convertito, con modificazioni,nella
legge n. 9 del 2012 (nel testo risultante dalla modificazione recata dal d.l. n. 52 del
2014, convertito, con modificazioni, nella legge n. 81 del 2014) secondo cui, una
volta accertata la pericolosità sociale dell’infermo o del seminfermo di mente che
abbia commesso reato, la misura di sicurezza da applicare, anche provvisoriamente
da parte del giudice deve essere diversa dal ricovero in ospedale psichiatrico
giudiziario o in casa di cura e custodia, «salvo quando sono acquisiti elementi dai
quali risulta che ogni misura diversa non è idonea ad assicurare cure adeguate e a
fare fronte alla sua pericolosità sociale, il cui accertamento è effettuato sulla base
delle qualità soggettive della persona e senza tenere conto delle condizioni di cui
all’articolo 133, secondo comma, numero 4, del codice penale».
Ad avviso della ricorrente, nel caso di imputato infermo o seminfermo di mente,
la citata disposizione di legge impone al giudice: un primo giudizio relativo alla
pericolosità sociale della persona; una volta accertata la pericolosità sociale, il
giudice deve scegliere, sulla base di giudizio prognostico, la misura di sicurezza più
idonea per fronteggiare adeguatamente la stessa e, al contempo assicurare
all’imputato cure adeguate alla propria malattia psichica e tale misura deve essere
in linea di principio diversa dal ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario o in casa
di cura e custodia;i1 ricovero presso tali strutture è consentito solo quando, sulla
base di tutte le circostanze del caso concreto, risulta che ogni misura diversa non è
idonea ad assicurare cure adeguate e a fare fronte alla pericolosità sociale
dell’imputato.
L’ordinanza impugnata non avrebbe fatto buon governo di tale disciplina legale,
essendosi arrestata a riscontrare la persistenza di pericolosità sociale della
ricorrente; senza specificare per quale ragione dovesse continuare a trovare
applicazione provvisoria la misura di sicurezza detentiva nei confronti della
ricorrente disposta con ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del 18
settembre 2015.
Inoltre, la motivazione dell’ordinanza sarebbe contraddittoria dal momento che,
dopo avere escluso, richiamando espressamente le considerazioni contenute nella

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violazione di legge e omissione di motivazione.

relazione depositata dal perito d’ufficio, secondo cui lo stato mentale dell’imputata
non consentiva trattamenti sanitari e farmacologici da eseguire in contesti diversi da
quello, «comunitario regolato», che l’imputata potesse autodeterminarsi sul punto,
aveva omesso di considerare che con la stessa relazione l’ausiliario giudiziale, dopo
avere evidenziato la persistenza della pericolosità sociale della persona, aveva
qualificato la stessa come «attenuata, in virtù dei miglioramenti psicopatologici
descritti e riscontrati». La conseguenza era che, soprattutto in considerazione del

disporre il ricovero dell’imputata in strutture sanitarie che possano consentire la
prosecuzione della terapia in situazione di costante controllo medico.
Infine, l’ordinanza è criticata per avere imposto all’imputata ed al suo difensore
un, non previsto dalla legge, onere di indicazione di specifico programma
terapeutico.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente, l’appello cautelare non è stato
dichiarato inammissibile ma è stato esaminato nel merito: la critica all’ordinanza
mossa sul punto dalla ricorrente nella prima parte del ricorso è dunque priva di
oggetto.
L’art. 3-ter del d.l. n. 211 del 2011, convertito, con modificazioni,nella legge n. 9
del 2012 (nel testo risultante dalla modificazione recata dal d.l. n. 52 del 2014,
convertito, con modificazioni, nella legge n. 81 del 2014), recante «Interventi
urgenti per il contrasto della tensione detentiva determinata dal sovraffollamento
delle carceri», prevede espressamente, nel relativo comma 4, che nei confronti
dell’infermo di mente e del seminfermo di mente il giudice dispone «l’applicazione di
una misura di sicurezza, anche in via provvisoria, diversa dal ricovero in un
ospedale psichiatrico giudiziario o in una casa di cura e custodia, salvo quando sono
acquisiti elementi dai quali risulta che ogni misura diversa non è idonea ad
assicurare cure adeguate e a fare fronte alla sua pericolosità sociale, il cui
accertamento è effettuato sulla base delle qualità soggettive della persona e senza
tenere conto delle condizioni di cui all’articolo 133, secondo comma, numero 4, del
codice penale. Allo stesso modo provvede il magistrato di sorveglianza quando
interviene ai sensi dell’articolo 679 del codice di procedura penale. Non costituisce
elemento idoneo a supportare il giudizio di pericolosità sociale la sola mancanza di
programmi terapeutici individuali».
Accertata dunque in concreto la pericolosità sociale del reo sulla base delle
qualità soggettive della persona – secondo i parametri indicati nell’art. 133, secondo
comma, cod. pen., ma senza tenere conto delle condizioni indicate nel numero
quattro di tale comma (le condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo) e

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contenuto della sopra indicata disciplina, non sussisteva alcun valido motivo per non

della sola mancanza di programmi terapeutici individuali, il giudice applica clEpiriqueall’infermo o seminfermo di mente una misura di sicurezza, anche in via provvisoria,
diversa dal ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario o in una casa di cura e
custodia, salvo quando sono acquisiti elementi dai quali risulta che ogni misura
diversa non assicura cure adeguate e non fa fronte alla sua pericolosità sociale (cfr.
Cass. Sez. 6, n. 49469 del 18 novembre 2015, V.D.M., Rv. 265906).
Contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente, l’ordinanza impugnata ha, con

dall’accusa di avere ucciso, con modalità esecutive particolarmente allarmanti, la
propria madre in quanto non imputabile per difetto di capacità di intendere e di
volere derivato da disturbo schizoaffettivo di tipo bipolare, è ancora socialmente
pericolosa; tale giudizio si fonda sui contenuti di perizia d’ufficio evidenzianti, da un
lato, che tale pericolosità era attenuata solo in ragione della continuità delle cure
farmacologiche cui la ricorrente è sottoposta nell’ambito della R.E.M.S., e, dall’altro,
che era da escludere la possibilità di trattamenti sanitari lasciati alla libera iniziativa
della ricorrente sì da consentire la prosecuzione dei miglioramenti; affermato che
non spetta all’autorità giudiziaria predisporre un programma terapeutico,da
svolgersi al di fuori della R.E.M.S., in grado di contemperare la cura della persona
con il controllo, in concreto, della pericolosità sociale, noh scemata, ad evitare il
ripetersi di atti violenti del tipo di quelli accertati con la sentenza di assoluzione.
L’ordinanza impugnata è, in definitiva, immune dalle censure dedotte dalla
ricorrente.
Dal rigetto del ricorso deriva la condanna della ricorrente al pagamento delle spese
processuali (art. 616 cod. proc. pen.).

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 9 febbraio 2017.

Il Consigliere estensore
Marco V nucci

Il Presidente
Mariastefania Di

massi

motivazione immune da vizi: accertato che la ricorrente, assolta per vizio di mente

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