Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19429 del 16/02/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 19429 Anno 2018
Presidente: TARDIO ANGELA
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COSTANTINO GIUSEPPE nato il 18/09/1960 a ISOLA DI CAPO RIZZUTO

avverso la sentenza del 22/11/2016 della CORTE ASSISE APPELLO di
CATANZARO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere MONICA BONI
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore STEFANO TOCCI
che he-canclus-crper
Il-Rr-oc-u-Fat-e-r-e-G-edte conclude per il rigetto del ricorso
Udita il- difensore .
L’avvocato BRANCIA DIEGO ANTONIO ORAZIO conclude chiedendo la conferma
della sentenza
L’avvocato LOIERO SAVERIO insiste nei motivi e chiede l’accoglimento del
ricorso
L’avvocato FALCONE LUIGI insiste nel ricorso e ne chiede l’accoglimento

Data Udienza: 16/02/2018

Ritenuto in fatto

1.Con sentenza in data 22 novembre 2016 la Corte di Assise di appello di
Catanzaro riformava parzialmente la sentenza del 25 settembre 2015, con la quale
il G.u.p. del Tribunale di Crotone, all’esito del giudizio celebrato nelle forme del rito
abbreviato, aveva ritenuto responsabile l’imputato Giuseppe Costantino
dell’omicidio di Valentino Rizzo e dei connessi reati in materia di armi, unificati per

reclusione la pena inflittagli, confermando nel resto l’impugnata sentenza.
1.1 Circa la ricostruzione dei fatti di reato ascritti al Costantino entrambe le
sentenze di merito, conformi sul punto, sulla scorta di quanto riferito dai testi
Antonio Rizzo, Salvatore Radames Maropito e Ada Vallelonga, nonché da Franco
Nicola, esponevano quanto gísegue. Dopo che nella serata del 14 agosto 2014
Antonio Rizzo, accompagnato dal figlio Valentino, dalla compagna Ada Vallelonga,
dal cugino Maropito, si era posto alla ricerca del Costantino ed aveva appreso il
numero della sua utenza cellulare, contattatolo, gli aveva dato appuntamento
davanti al ristorante “Il corsaro”, luogo nel quale il Costantino era giunto a bordo
della sua vettura col fratellastro Franco Nicola; sceso dall’auto, egli aveva iniziato a
discutere con Antonio Rizzo sino a che era intervenuto il di lui figlio Valentino per
accertarsi di quanto stava accadendo, al che il Costantino, aperto lo sportello del
suo veicolo, aveva prelevato un fucile e l’aveva puntato al petto del giovane Rizzo,
contro il quale aveva esploso un colpo, determinandone il ferimento mortale. Oltre
alle testimonianze raccolte, ulteriori dati di conoscenza erano acquisiti mediante
attività intercettativa svolta in carcere nei confronti del Costantino sottoposto a
custodia cautelare, dalla quale si era appreso della volontarietà dell’azione che
aveva cagionato la morte della vittima; dell’esistenza di un movente diverso da
quello fatto emergere dinanzi agli inquirenti; della rivendicazione della paternità
dell’omicidio in un colloquio con una guardia penitenziaria e col detenuto Pasquale
Viola, al quale l’imputato aveva confessato che, se non si fosse inceppato il fucile,
avrebbe ucciso anche Antonio Rizzo e Salvatore Radames Maropito. Sulla scorta di
tali acquisizioni il Gup e la Corte distrettuale ritenevano che l’imputato avesse
intenziolmente esploso il colpo di fucile letale per la predisposizione dell’arma
utilizzata per il delitto, in sé micidiale, la distanza ravvicinata tra sparatore e
vittima, la zona vitale attinta e il comportamento anomalo tenuto dall’imputato,
testimoniato dalle di lui figlie, il quale prima di raggiungere Antonio Rizzo, ne aveva
stranamente baciato sulla guancia una a titolo di commiato, l’avvenuta
manifestazione dei propositi criminosi nelle fasi successive all’azione, elementi
corrispondenti al narrato dei testimoni escussi.

1

continuazione, e, per l’effetto, rideterminava in anni quattordici e mesi quattro di

1.2 Avverso detta sentenza ha proposto ricorso l’imputato a mezzo dei
difensori, i quali ne hanno chiesto l’annullamento per inosservanza o erronea
applicazione della legge penale, mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità
della motivazione in relazione agli artt. 575 e 83 cod. pen. e 533 comma 1 cod.
proc. pen.. La sentenza impugnata ha riconosciuto la sussistenza del dolo
omicidiario con argomentazioni illogiche e contraddittorie ed in violazione del
principio per cui può affermarsi la responsabilità penale soltanto superando ogni

senza considerare le relative « censure difensive esposte nei motivi di appello. In
assenza di prove certe in ordine alla reale dinamica del delitto, la Corte catanzarese
non avrebbe dovuto negare credibilità alla descrizione del fatto fornita dall’imputato
secondo il quale lo sparo non era stato voluto, ma causato colposamente
nell’esecuzione del reato di minaccia al sensi dell’art. 83 cod. pen..
La Corte di appello avrebbe dovuto procedere ad una più scrupolosa
valutazione dell’attendibilità delle deposizioni rese dal Rizzo, dal Maropito e dalla
Vallelonga, soggetti tutti legati da~tall e/o affettivi con la vittima e quindi
animati da rancore rid£i confronti dell’imputato, ma altresì contraddetti dall’altro
testimone, Franco Nicola, il quale aveva confermato l’accidentalità del colpo esploso
dal Costantino e prospettato uno svolgimento dell’azione divergente rispetto ai testi
dell’accusa, per alcuni dei quali il primo giudice ha ravvisato profili di falsità e
disposto la trasmissione dei relativi atti alla Procura.
La Corte territoriale parimenti incorre in violazione di legge valorizzando, ai
fini della prova della sussistenza del dolo in capo al ricorrente, le conversazioni
intercettate in carcere, fra il detenuto Viola e il di lui fratello, che, presentando
contenuto etero accusatorio e non provenendo dall’imputato, secondo la
giurisprudenza della Corte di cassazione, devono trovare riscontro in altri elementi
di supporto che integrino con riferimenti specifici la genericità dell’accusa (sez. 1, n.
6234 del 2.11.2000, Zavettieri; n. 6232 del 2.11.2000, Primerano). Al contrario il
contenuto delle conversazioni intercettate non è stato attentamente interpretato sul
piano logico, nè valutato su quello probatorio, non essendosi riscontrati gli aspetti
di divergenza tra quanto riportato dal detenuto Viola e gli elementi “di generica”.
Inoltre, il preteso proposito di eliminare anche gli altri astanti è contraddetto dal
comportamento certo, tenuto nell’immediatezza del fatto dal Costantino, il quale
non solo era rimasto immobile e attonito di fronte all’esplosione del colpo, ma
subito dopo si era speso in numerosi colloqui telefonici col padre della vittima per
scusarsi ed informarsi delle sue condizioni.
E’ poi rimasto ignoto il movente dell’azione il che avrebbe dovuto condurre a
valutare come ancor più credibile, secondo il criterio del ragionevole dubbio, la
prospettata alternativa ipotesi colposa.
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ragionevole dubbio, per avere aderito alle conclusioni formulate dal primo giudice

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato e va dunque respinto.
1.L’impugnazione all’odierno esame investe il giudizio di responsabilità,
formulato a carico del ricorrente e la qualificazione del fatto massimamente lesivo
posto in essere in danno di Valentino Rizzo in termini di omicidio volontario;

comportamento colposo ed in conseguenza delle minacce a mano armata rivolte
contro la vittima in conformità con quanto affermato dallo stesso ricorrente.
1.1 D tema è stato trattato da entrambe le sentenze di merito che hanno
ritenuto non veritiera la versione offerta dall’imputato nel proprio interrogatorio di
garanzia, laddove aveva asserito di essere stato affrontato da entrambi i Rizzo,
padre e figlio, non appena raggiunto il luogo dell’appuntamento, già concordato
telefonicamente, e di essere stato minacciato da Valentino Rizzo, il quale aveva
incitato un terzo soggetto a scendere dall’auto ed a sparargli, per cui, quando nel
corso della discussione era comparso un fucile ad iniziativa degli antagonisti, egli
aveva tentato di disarmarne il detentore ed a quel punto era partito
accidentalmente un colpo che aveva attinto il predetto Rizzo.
1.2 La Corte territoriale ha ampiamente motivato le ragioni del predetto
giudizio sulla base delle seguenti osservazioni:
– nell’atto di appello era stata prospettata una ricostruzione dell’episodio difforme da
quella fornita dall’imputato nel citato interrogatorio, perché alla pag. 6 dell’atto di
gravame ‘i- si era affermato che egli, intimorito dall’atteggiamento dei Rizzo, si era
effettivamente avvicinato alla propria autovettura dalla quale aveva estratto un
fucile a solo scopo intimidatorio, sicchè dalla marcata contraddizione nella linea
difensiva tra quanto sostenuto dall’imputato e quanto esposto dal suo legale deve
dedursi la compromissione della sua coerenza e credibilità;
– i testi dell’accusa avevano smentito entrambe le prospettazioni e, pur avendo
mentito sulla vera causale del contrasto tra l’imputato ed Antonio Rizzo, sfociato nel
delitto in contestazione, ne avevano rievocato in modo conforme la dinamica,
descrivendo l’azione del Costantino che, prelevato il fucile e puntatolo verso
Valentino Rizzo, gli aveva sparato attingendolo e facendolo cadere a terra;
– anche il teste a discarico Franco Nicola, pur avendo tentato di accreditare la tesi
dell’accidentalità del colpo esploso dal Costantino, aveva riferito circostanze
corrispondenti agli altri testi, ossia che con il fratellastro, già alterato ed innervosito
per la conversazione telefonica avuta con tale “Cicero”, soprannome di Antonio
Rizzo, avevano raggiunto il luogo dell’incontro già concordato e nel corso della
discussione insorta con tale soggetto ne era intervenuto altro e le cose a

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ano

ripropone nuovamente la tesi difensiva dell’evento letale provocato per effetto di

iniziato a degenerare con spintoni reciproci sino a che il Costantino si era
improvvisamente avvicinato alla propria autovettura, dalla quale aveva prelevato
un fucile col quale si era riportato nei pressi degli altri due, puntandoglielo contro e
quindi era partito il colpo che aveva attinto il più giovane, al che egli era
intervenuto ed aveva rimproverato aspramente per l’accaduto il congiunto, che
aveva abbandonato il luogo a bordo della propria vettura;
-i dati offerti dalla prova scientifica di tipo medico-legale convalidano l’ipotesi

tra il suo detentore ed il bersaglio, non superiore ai due metri, della regione
anatomica vitale che era stata attinta, della necessità di un esame balistico del
fucile per poter addebitare l’accidentalità del colpo ad un suo difetto di
funzionamento, indagine non potutasi compiere per la volontaria sottrazione
dell’arma da parte dello stesso imputato, che mai l’aveva fatta ritrovare.
Secondo la Corte di merito, l’ipotesi dell’aberractio delicti non ha fondamento,
oltre che per gli elementi sopra esposti, anche per l’avvenuta acquisizione di
ulteriori dati informativi, che attestano la colpevolezza del Costantino per un gesto
criminoso volontario e deliberato: in tal senso ha valorizzato quanto desumibile dai
dialoghi intercettati, nei quali altro carcerato, ristretto nello stesso istituto nel quale
era stato detenuto l’imputato, Pasquale Viola, aveva commentato la rivendicazione
da parte di questi dell’omicidio quale azione voluta e la sua intenzione di eliminare /
nella stessa circostanza, sia i due Rizzo, che il Maropito, cosa non potutasi
realizzare per l’inceppamento dell’arma, attribuzione del resto confermata in
diversa situazione dallo stesso Costantino, fiero del proprio gesto, anche ad un
assistente della polizia penitenziaria, che ne aveva riferito in apposita relazione di
servizio.
La conclusione raggiunta circa la significativa convergenza delle evidenze
probatorie nel senso del consapevole e voluto compimento del gesto omicidiario da
parte del ricorrente è dunque frutto di una disamina completa e fedele di tutto il
compendio istruttoriopon rivela alcun profilo di manchevolezza o di arbitrarietà, né
vizio di manifesta illogicità.
1.4 Osserva il Collegio che in ogni caso, anche a voler aderire alla tesi
difensiva dell’azione che si era inteso compiere a scopo solo intimidatorio, non
letale, l’omicidio del soggetto contro il quale si sia puntato a distanza ravvicinata un
fucile carico con munizioni spezzate, quindi di particolare efficacia e lesività in
siffatto contesto esecutivo, non può essere considerato evento non voluto,
valutabile ai sensi dell’art. 83 cod. pen. ed ascrivibile all’agente a solo titolo di
colpa. Il costante insegnamento di questa Corte afferma che la responsabilità
colposa nel caso di reato aberrante sussiste solo quando l’evento non voluto sia
assolutamente diverso e, cioè, di altra natura rispetto a quello previs e
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accusatoria a ragione della micidialità dell’arma utilizzata, della distanza ravvicinata

desiderato. Tale situazione di diversità non sussiste se l’evento verificatosi
costituisca una sorta di progressione naturale e prevedibile di quello voluto, ovvero
risulti di entità maggiore o più grave di quest’ultimo, perché in tale evenienza anche
il secondo evento va addebitato all’autore del fatto a titolo di dolo, sia pure
alternativo o eventuale (Cass. sez. 1, n. 3168 del 20/12/1988, Ingrassia, rv.
180658; sez. 1, n. 16264 dell’ 11/7/1990, Ricci, rv. 185973; sez. 1, n. 21955 del
2/2/2010, Agosta, rv. 247401; sez. 2, n. 19293 del 03/02/2015, Bedogni, rv.

Per quanto ricostruito in punto di fatto nelle sentenze di merito, l’esplosione di
un colpo dal fucile brandito e direzionato contro la persona, poi attinta nei suoi
organi vitali, non può costituire un evento eccezionale ed avulso dalla serie causale
innescata dal portare un’arma carica sulla scena di un litigio in un contesto di forte
opposizione, ma rappresenta un ordinario possibile sviluppo ulteriore della minaccia
a mano armata, quindi, un evento prevedibile ed accettato da parte dell’imputato.
Pertanto, l’argomentazione difensiva non può giovare al ricorrente, perché la sua
descrizione dell’accaduto condurrebbe in ogni caso a ravvisare l’elemento
soggettivo del dolo nella forma del dolo eventuale, che si configura quando l’agente
si sia rappresentato, come probabile o possibile, anche un evento diverso da quello
voluto ed abbia agito ugualmente anche a costo di cagionarlo.
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1.5 Resta comunque escluso tTano ravvisabili i vizi denunciati in riferimento ai
criteri di valutazione delle prove. Non soltanto la Corte territoriale ha esaminato il
narrato di tutti i testi escussi, fornendo logiche e puntuali osservazioni sulla
credibilità dei testi d’accusa quanto alla concorde descrizione dei comportamenti
tenuti dal Costantino, ma ha correttamente apprezzato anche le informazioni
ricavate dalle conversazioni intercettate in carcere, che nel loro chiaro tenore e non
contenendo dichiarazioni accusatorie rivolte in sede processuale da terzi, non
richiedono l’acquisizione di dati oggettivi di conferma ai sensi dell’art. 192 cod.
proc. pen., comma 3, come del resto affermato dalle stesse sentenze citate in
ricorso. Infatti, Cass. sez. 5, n. 13614 del 19/01/2001, Primerano ed altri, rv.
218392, ha stabilito che: “Il contenuto di una intercettazione, anche quando si
risolva in una precisa accusa in danno di terza persona, indicata come concorrente
in un reato alla cui consumazione anche uno degli interlocutori dichiara di aver
partecipato, non è in alcun senso equiparabile alla chiamata in correità e pertanto,
se va anch’esso attentamente interpretato sul piano logico e valutato su quello
probatorio, non va però soggetto, nella predetta valutazione, ai canoni di cui all’art.
192 comma 3 cpp.” . In senso conforme si sono espresse anche le Sezioni Unite con
la pronuncia n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, rv. 263714, per la quale “Le
dichiarazioni auto ed etero accusatorie registrate nel corso di attività di
intercettazione regolarmente autorizzata hanno piena valenza probatoria e pur

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263519).

dovendo essere attentamente interpretate e valutate, non necessitano degli
elementi di corroborazione previsti dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen.”.
Inoltre, nel caso di specie i dialoghi tra il Viola ed il fratello, come riportato
soprattutto nella sentenza di primo grado, più analitica nella considerazione delle
fonti di prova, indicano con chiarezza come il Costantino avesse ammesso
spontaneamente al di fuori del contesto giudiziale di avere volontariamente sparato
al Rizzo, il che costituisce un dato specifico e concreto di valutazione, ritenuto

penitenziario.
E’ piuttosto generica, perché non esplicitata nei suoi aspetti fattuali,
l’allegazione del contrasto tra i commenti dei due Viola ed i dati della prova
generica, non essendo deducibile dal ricorso in quali termini sussista la difformità
denunciata e quale rilievo assuma. Va aggiunto che il preteso proposito di eliminare
anche gli altri presenti, secondo quanto emerge dalle intercettazioni, non si era
potuto concretizzare per un inceppamento dell’arma, che il Costantino si è ben
guardato da far ritrovare ed esaminare sul piano balistico.
Nessun rilievo assume il mancato accertamento del movente dell’azione, che
tutti i soggetti coinvolti non hanno inteso rivelare, mantenendo sul punto un
atteggiamento reticente, il che priva il processo di un chiarimento che non può
nemmeno giovare alla difesa, che soltanto nell’evenienza di una precisa
individuazione delle ragioni di contrasto e della loro banalità, oltre che insufficienza
a giustificare un’azione omicidi.oaria deliberata, avrebbe potuto ottenere riscontro
alla tesi di un errore colposo commesso nel maneggiare l’arma, brandita soltanto
per minacciare gli antagonisti.
Per le considerazioni svolte il ricorso, infondato in tutte le sue deduzioni, va
respinto con la conseguente condanna del proponente al pagamento delle spese
processuali.
1.6 Nulla può riconoscersi alle parti civili a titolo di rimborso delle spese
sostenute nel presente giudizio, non avendo la loro difesa rivolto a questa Corte
una esplicita richiesta di liquidazione: non risulta, infatti, depositata comparsa
conclusionale, né verbalizzata un’espressa domanda di rifusione delle spese anche
da effettuare d’ufficio ad opera del giudice per essersi il patrono delle stesse parti
limitato a richiedere la conferma della sentenza impugnata in assenza di ulteriori
richieste.
Sul tema delle spese relative all’azione civile l’art. 153 disp. att. cod. proc. pen.
prevede soltanto che “agli effetti dell’art. 541, comma 1 del codice, le spese sono
liquidate dal giudice sulla base della nota che la parte civile presenta al più tardi
insieme alle conclusioni”. E’ stato già rilevato in precedenti pronunce, e qui si
ribadisce, come la disposizione non commini alcuna sanzione di nulli ‘ o

6

confermato, pur se non necessario, dall’identica ammissione fatta ad un agente

inammissibilità per l’inosservanza del dovere della parte civile di produrre l’apposita
nota, sicchè la liquidazione delle spese di costituzione in suo favore non è
condizionata dalla presentazione di un atto scritto, né dall’espressa indicazione ad
opera della parte interessata dell’ammontare preteso, quanto piuttosto
dall’attivazione della stessa nel formulare la relativa domanda, che può avvenire al
di fuori di uno rigido formalismo anche in via orale con richiesta trascritta nel
verbale dell’udienza. Pertanto, il mancato deposito della nota spese non impedisce

dell’attività defensionale svolta e delle spese vive sostenute, se documentate (Cass.
Sez. U, n. 20 del 27/10/1999, Fraccari, rv. 214641), decisione che, in ossequio al
principio dispositivo che regola l’azione civile anche nell’eventualità sia innestata nel
processo penale, per poter essere adottata dal giudice penale pretende che la
domanda di rifusione sia stata tempestivamente proposta e sia dotata di sufficiente
chiarezza e precisione. Siffatta esigenza resta soddisfatta tanto dall’illustrazione
della domanda nella comparsa scritta, quanto dalla sua articolazione orale con
inserimento nella verbalizzazione scritta dell’udienza (sez. 3, n. 31865 del
17/03/2016, P.C. in proc. Vacca, rv. 267666; sez. 5, n. 34922 del 29/04/2016,
Borghi, rv. 267769; sez. 2, n. 18269 del 15/01/2013, Durante, rv. 255752; sez. 5,
n. 10955 del 09/11/2012, dep. 08/03/2013, La Mendola, rv. 255215).
Per non essersi attenute alle superiori indicazioni, come detto, non può
procedersi nemmeno d’ufficio alla liquidazione degli oneri di difesa in favore delle
parti civili.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, il 16 febbraio 2018.

al giudice di provvedere d’ufficio alla liquidazione in base alla considerazione

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