Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19402 del 28/03/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 19402 Anno 2013
Presidente: BIANCHI LUISA
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
KURT1 ARTAN N. IL 17/09/1977
avverso l’ordinanza n. 1767/2012 GIP TRIBUNALE di L’AQUILA, del
07/01/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI;
legibentite le conclusioni del PG Dott. F,
c4,pezt;

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4

Data Udienza: 28/03/2013

Iltht-i-difettserA-vv.;

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2

Ritenuto in fatto
Con atto in data 31.1.2013, a mezzo del proprio difensore,
Artan Kurti ha proposto ricorso diretto per cassazione, ex art. 311,
comma 2, c.p.p., avverso l’ordinanza emessa in data 7.1.2013 con la
quale il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale de
L’Aquila ha applicato al ricorrente la misura della custodia cautelare
in carcere, in relazione alla commissione dei reati di associazione per
delinquere finalizzata alla commissione di reati riguardanti il traffico
di sostanze stupefacenti, nonché altri reati di detenzione e spaccio
illegali di sostanza stupefacente (di cui all’art. 73 del d.p.r. n. 309/90)
in continuazione tra loro.

2. – Con l’impugnazione proposta, il ricorrente censura
l’ordinanza impugnata per violatone di legge in relazione agli arti.
178 e ss. c.p.p., avuto riguardo all’assoluta nullità del provvedimento
restrittivo avversato per la sua mancata Cadutone nella lingua
dell’indagato straniero, di nazionalità albanese, oltre alla nullità del
successivo interrogatorio di garanzia.
In particolare, il ricorrente si duole che l’ordinanza impugnata,
a dispetto delle gravi conseguenze che prevede sul piano della libertà
personale dell’indagato, in mancanza della sua traduzione, sia rimasta incomprensibile nei suoi contenuti per il destinatario, non essendo quest’ultimo in grado di comprendere la lingua italiana, con la
conseguente intuibile violazione dei più elementari principi posti a
garanzia delle essenziali prerogative della persona.

Considerato in diritto
Il ricorso è infondato.
In coerenza ai principi della costituzione italiana e a quelli derivanti dall’adesione dell’ordinamento italiano alle norme di origine
sovranazionale poste a garanzia dei diritti della persona, l’art. 143,
primo comma, c.p.p. impone che si proceda alla nomina dell’interprete o del traduttore immediatamente al verificarsi della circostanza
della mancata conoscenza della lingua italiana da parte della persona
nei cui confronti si procede, tanto se tale circostanza sia evidenziata
dallo stesso interessato, quanto se, in difetto di ciò, sia accertata
dall’autorità procedente; e tanto, in relazione a ogni atto del processo
(sia esso espresso in forma orale o manifestato in forma scritta) cui è
ricollegato l’esercizio di garanzie o di prerogative processuali poste a
tutela del diritto dell’indagato di seguire con pienezza il compimento
degli atti cui partecipa, o che in ogni caso lo riguardino, in funzione
della propria difesa o della tutela delle proprie ragioni (cfr., in termini, Corte Cost., sent. n. 10/1993; con particolare riguardo alla necessaria traduzione dell’ordinanza contenente la misura della custodia
cautelare in carcere v. Casa., Sez. 1, n. 4841/1999, Rv. 214495; Cass.,
Sez. 3, n.1527/1999, Rv. 214348).
3.

1.

Ciò premesso, la condizione cui è intuibilmente subordinato
l’obbligo della traduzione degli atti del processo in una lingua comprensibile alla persona nei cui confronti si procede, è costituita
dall’accertata mancata conoscenza, da parte della stessa, della lingua
italiana.
Viceversa, là dove tale accertamento, condotto nei riguardi
dello straniero, abbia sortito esiti di opposto contenuto (ossia, nel
senso della verificata piena conoscenza della lingua italiana, da parte
dello straniero), deve ritenersi necessariamente insussistente il richiamato obbligo di traduzione degli atti, dovendo ritenersi in radice
esclusa la verificazione di alcuna ferita delle prerogative proprie della
persona nei cui confronti si procede, per essere la stessa pienamente
in grado di comprendere il senso e il contenuto degli atti del procedimento che la riguardino.
Nel caso di specie, tanto in forza dell’annotazione della questura di Teramo in data 7.2.2013 allegata agli atti dell’odierno procedimento (in cui gli ufficiali di polizia giudiziaria responsabili del procedimento attestano di non aver proceduto alla traduzione
dell’ordinanza impugnata dal momento che l’indagato parla correttamente la lingua italiana, come emerso dalle copiose intercettazioni
telefoniche in atti), quanto dalla lettura dell’ordinanza applicativa
della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti dell’odierno ricorrente (in cui appaiono riprodotti alcuni brani di intercettazioni telefoniche riguardanti lo stesso), emerge con chiarezza la
prova della piena conoscenza della lingua italiana da parte di Artan
Kurti, come si desume agevolmente dall’esame delle conversazioni
telefoniche intercettate di cui l’indagato è stato partecipe, tali da fornire la conferma di una conoscenza e di una padronanza della lingua
italiana, da parte dell’indagato, del tutto idonee a escludere che lo
stesso non sia perfettamente in grado di comprendere con chiarezza,
tanto il senso, quanto il contenuto, di tutti i passaggi del provvedimento restrittivo dallo stesso in questa sede impugnato.
4. — Le argomentazioni che precedono valgono ad attestare
l’integrale infondatezza delle ragioni d’impugnazione illustrate con il
ricorso proposto in questa sede, con il conseguente rigetto dello stesso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna
il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28.3.2013.

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