Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1940 del 03/12/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 1940 Anno 2016
Presidente: IPPOLITO FRANCESCO
Relatore: CORBO ANTONIO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da
1. ARESU MAURO, nato il 09/09/1984
2. BOGGIA ALESSANDRO, nato il 01/07/1987
3. CIENTANNI LUCA, nato il 01/03/1974
4. COLOCCI MARCO, nato il 20/10/1989
5. DONATO ENNIO EDOARDO, nato il 06/07/1984
6. KUBANSKI ANDREA, nato il 11/01/1986
7. LUCCHETTO FRANCESCA, nato il 17/06/1978
8. MARZUOLI MATTIA, nato il 25/08/1983
9. MASTROSIMONE DOMENICO, nato il 20/07/1983
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Data Udienza: 03/12/2015

10. MATTEI MARCO, nato il 14/09/1981
11. PICCIONE DAMIANO, nato il 18/09/1980
12. RICHETTO FRANCESCO, nato il 10/11/1980
13. RINOLFI ANTON FRANCOVITCH, nato il 12/01/1989
14. RUGOLINO ERNESTO MARIA, nato il 22/07/1987
15. STELLA CECILIA, nato il 17/04/1986

avverso la sentenza del 21/11/2014 della Corte di appello di Torino

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Antonio CORBO;
udito il Pubblico Ministero, in persona Sostituto Procuratore generale Giovanni DI LEO, che ha
concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi;
uditi il difensore, avv. DE ANGELIS Roberto in sost. dell’avv. Roberto LAMACCHIA, per ARESU
Mauro, CIENTANNI Luca, COLOCCI Marco, DONATO Ennio Edoardo, LUCCHETTO Francesca,
MATTEI Marco, MARZUOLI Mattia, PICCIONE Damiano, RICHETTO Francesco, RINOLFI Anton
Frankovitch e STELLA Cecilia, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso da lui presentato.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa il 21 novembre 2014, la Corte di appello di Torino, in parziale
riforma della decisione di primo grado, ha condannato alle pene ritenute di giustizia ARESU
Mario, BOGGIA Alessandro, CIENTANNI Luca, COLOCCI Marco, DONATO Ennio Edoardo,
KUBANSKY Andrea, LUCCHETTO Francesca, MARZUOLI Mattia, MASTROSIMONE Domenico,
MATTEI Marco, PICCIONE Damiano, RICHETTO Francesco, RINOLFI Anton Frankovitch,
RUGOLINO Ernesto Maria, STELLA Cecilia e ZUANETTI Francesco per i reati di resistenza
aggravata e continuata a pubblico ufficiale e lesioni aggravate, nonché KUBANSKY,
LUCCHETTO, RINOLFI e STELLA (in concorso con il COLOCCI, per il quale la sentenza di primo
grado è divenuta irrevocabile) per il delitto di violenza privata e la sola LUCCHETTO per il
delitto di danneggiamento aggravato.
I fatti per cui è stata pronunciata la condanna riguardano condotte poste in essere dagli
imputati in occasione di un corteo tenutosi in Torino il 19 maggio 2009, allorché stava
svolgendosi il vertice internazionale “G8 University summit”. Secondo la sentenza impugnata, i
ricorrenti avevano volontariamente compiuto un’attività diretta ad opporsi ai limiti imposti al
corteo e, quindi, alle Forze dell’Ordine che quei limiti avevano il compito di far rispettare,
attraverso lo ‘sfondamento’ del cordone di sicurezza da queste realizzato per impedire ai
manifestanti di raggiungere il luogo di svolgimento del vertice internazionale, e, subito dopo,
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16. ZUANETTI FRANCESCO, nato il 18/10/1988

anche nel corso della conseguente azione di contenimento della Polizia, mediante il lancio di
sassi e di altri oggetti contundenti; in particolare, gli stessi avevano agito travisati da caschi,
sciarpe ed altri indumenti, organizzati per file, avvalendosi di una sorta di scudo dissimulato
sotto uno striscione, e colpendo gli appartenenti alla forza pubblica anche con bastoni, sassi,
oggetti contundenti, artifici pirotecnici e gas contenuti in estintori antincendio, così da
cagionare tra l’altro lesioni personali ad alcuni agenti. Sempre secondo la decisione della Corte
di appello, inoltre, il COLOCCI, il KUBANSKY, la LUCCHETTO, il RINOLFI e la STELLA, agendo in

locali della stessa, bloccandone il cancello di accesso con una catena munita di lucchetto; la
LUCCHETTO, ancora, aveva danneggiato il tettuccio di un’autovettura, salendo sopra la stessa.
L’affermazione di penale responsabilità pronunciata dal giudice di secondo grado in
ordine a tali imputazioni, sulle stesse sostanzialmente conforme a quella emessa in prima cura,
si è fondata, principalmente, sulle dichiarazioni testimoniali degli appartenenti alle Forze
dell’Ordine, nonché su riprese filmate e prove documentali.

2. Hanno presentato ricorso per cassazione avverso la precisata sentenza della Corte di
Appello l’avvocato Roberto Lamacchia, quale difensore di fiducia di ARESU Mario, CIENTANNI
Luca, COLOCCI Marco, DONATO Ennio Edoardo, LUCCHETTO Francesca, MARZUOLI Mattia,
PICCIONE Damiano, RICHETTO Francesco, RINOLFI Anton Frankovitch e STELLA Cecilia,
l’avvocato Marina Prosperi, quale difensore di fiducia di BOGGIA Alessandro, MASTROSIMONE
Domenico, MATTEI Marco, RUGOLINO Ernesto Maria e ZUANETTI Francesco, e l’avvocato
Massimo Pastore, quale difensore di fiducia di KUBANSKI Andrea.

2.1. Nel ricorso presentato dall’avvocato Lamacchia, sono sviluppati sei motivi.
2.1.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, congiuntamente, mancanza o
contraddittorietà della motivazione rispetto al materiale filmato in atti ex art. 606, comma 1,
lett. e), cod. proc. pen., circa la configurabilità del reato di resistenza a pubblico ufficiale nei
confronti di tutti gli imputati, nonché contraddittorietà della motivazione con riferimento alla
identificazione dell’imputato DONATO, nonché ancora contraddittorietà della motivazione in
relazione alle condotte degli imputati PICCIONE e RICHETTO.
L’impugnante lamenta, in primo luogo, che la ricostruzione dei fatti accolta dalla Corte
subalpina, laddove ha ritenuto sussistente una condotta di aggressione dei manifestanti in
danno delle forze dell’ordine, collide sia con il materiale filmato acquisito al fascicolo
processuale, rispetto al quale è data di fatto prevalenza, senza alcuna motivazione, a
dichiarazioni testimoniali, sia con le conclusioni della sentenza di primo grado, la quale aveva
argomentato sulla legittimità dell’azione di contenimento delle forze di polizia”, intrapresa a
seguito dei lanci di oggetti e dei gas contenuti negli estintori, e non già a seguito dello
scagliarsi violento dei dimostranti contro le forze dell’ordine (cfr. p. 15 sentenza I grado).

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modo coordinato, avevano costretto gli impiegati della filiale di una banca a trattenersi nei

Contesta, poi, l’individuazione dell’imputato DONATO quale soggetto appartenente alla
prima fila del corteo. Evidenzia, in proposito, sia che quest’ultimo ha ammesso semplicemente
di aver partecipato alla manifestazione, ma non certo di essere stato in prima fila, sia,
soprattutto, che la relazione di accertamenti tecnici dalla quale è tratta la convinzione che il
“giubbotto sequestrato al Donato corrisponde totalmente a quello indossato dal dimostrante
che compare nei citati fotogrammi” in realtà esprime un giudizio di non compatibilità tra
l’imputato e numerosi soggetti indicati nei fotogrammi come vestiti con un indumento

Contesta, ancora, che gli imputati PICCIONE E RICHETTO possano essere ritenuti
responsabili dei fatti per i quali è stata pronunciata condanna. Rileva, infatti, che tali imputati,
secondo la sentenza impugnata, non erano nella prima fila del corteo, né è sufficiente dire che
gli stessi fossero a ridosso di tale fila o che il PICCIONE “dava disposizioni ai compagni in prima
fila e accorreva a dar man forte agli stessi, quando avveniva l’urto con il cordone degli agenti”,
posto che non è precisato di quali disposizione si trattasse o in cosa consistesse il “dar man
forte”. Ancora, deve ritenersi ininfluente, ai fini della configurabilità del reato di resistenza, che
il RICHETTO abbia portato caschi ad altri manifestanti, trattandosi di strumenti meramente
difensivi.
2.1.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce mancanza di motivazione in ordine
all’omesso rispetto da parte della Forza Pubblica delle prescrizioni previste dagli artt. 22 e ss.
del T.U.L.P.S. e 40 del Reg. Es. T.U.L.P.S., e, quindi, alla configurabilità della scriminante
prevista dall’art. 393 bis cod. pen.
Censura, sul presupposto che le Forze dell’Ordine avrebbero proceduto a ‘caricare’ di
iniziativa i dimostranti, l’omessa motivazione in relazione al mancato rispetto delle procedure
previste per lo scioglimento degli assembramenti non autorizzati, e, quindi, alla configurabilità
della scriminante prevista dall’art. 393 bis cod. pen. Si rappresenta, inoltre, che tale doglianza
era stata specificamente prospettata con l’atto di appello.
2.1.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce mancanza di motivazione in ordine alla
ritenuta sussistenza, nei confronti di tutti gli imputati, del reato di lesioni, anche ai fini della
continuazione, sia sotto il profilo del concorso, sia sotto il profilo del dolo.
Si censura, in proposito che, anche a voler ritenere configurabile il delitto di resistenza a
pubblico ufficiale nelle condotte specificamente ascritte agli imputati, questo non implica la
volontà di cagionare lesioni: numerose dichiarazioni acquisite evidenziano che l’azione aveva
mere finalità dimostrative, di natura pacifica e simbolica; emerge quindi “una contraddittorietà
della motivazione rispetto al contenuto omogeneo delle dichiarazioni testimoniali” in questione.
2.1.4. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce mancanza di motivazione in ordine alla
sussistenza del reato di violenza privata nei confronti degli imputati LUCCHETTO, RINOLFI e
STELLA (la sentenza è divenuta definitiva nei confronti del COLOCCI), anche ai fini dell
continuazione, con riferimento agli artt. 606, comma 1, lett. b) ed e) e 110 cod. pen.

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compatibile con quello in sequestro.

Si lamenta, precisamente, che la Corte di appello non avrebbe fornito adeguata
motivazione sul perché le condotte poste in essere dai tre imputati precisati dovessero ritenersi
concordate con il COLOCCI, che aveva materialmente apposto la catena munita di lucchetto
alla uscita della filiale della banca, e non, invece, dirette ad altre finalità, come quella di
proteggere la STELLA mentre collocava uno striscione.
2.1.5. Con il quinto motivo, il ricorrente deduce contraddittorietà della motivazione, ex
art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in ordine alla sussistenza del reato di

Si censura, in particolare, l’osservazione secondo cui nessuna persona ragionevole
potrebbe non rappresentarsi il deterioramento della lamiera del tettuccio di un’auto quale
conseguenza della sua azione di salire sullo stesso, in quanto trattasi di deduzione formulata
sulla base della premessa che la LUCCHETTO sarebbe “donna di normale corporatura e quindi
di un peso di diverse decine di chilogrammi (come risulta dalle fotografie in atti)”. Si osserva,
infatti, che, in realtà, i filmati documentano una corporatura assolutamente minuta della donna
e che, comunque, la sentenza non indica quante decine di chilogrammi sono necessari per
deteriore la lamiera del tettuccio di un’autovettura.
2.1.6. Con il sesto motivo, il ricorrente deduce mancanza di motivazione, ex art. 606,
comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in relazione alla quantificazione della pena, nei confronti di
tutti gli imputati, con riferimento all’aumento per la continuazione per il reato di lesioni.
Si osserva, in primo luogo che la Corte di appello, riconoscendo la responsabilità degli
imputati per cinque episodi di lesioni, invece che per venti, ha rideterminato il segmento di
pena in quindici giorni di reclusione, mentre in primo grado, ritenuta la responsabilità per tutti
e venti i fatti, il semento di pena era stato fissato in giorni trenta di reclusione; la riduzione,
quindi, sarebbe non “congrua”, e, per di più, non supportata da alcuna motivazione. Inoltre,
stante l’assenza dì specificazioni, deve ritenersi che il primo giudice avesse applicato un
aumento pari ad un giorno e mezzo di reclusione per ciascun episodio di lesioni; di
conseguenza, la ridotta diminuzione di pena sarebbe in contrasto anche con il divieto di

reformatío in peius.
2.2. Nel ricorso presentato dall’avvocato Prosperi, sono sviluppati quattro motivi.
2.2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce inosservanza ed erronea applicazione
della legge penale ex art.606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 27
Cost., 40, 42 e 337 cod. pen. e 533 cod. proc. pen., per violazione del principio dell’oltre ogni
ragionevole dubbio” e dei criteri di imputazione delle responsabilità a titolo di concorso morale,
specificamente in relazione al delitto di resistenza a pubblico ufficiale.
Si censura che gli imputati BOGGIA, MASTROSIMONE, MATTEI, RUGOLINO e ZUANETTI
sarebbero stati condannati esclusivamente in ragione della loro presenza nelle file secondarie
del corteo, senza alcuna indicazione delle specifiche condotte dagli stessi poste in essere. Si
osserva, in proposito, che la sola presenza fisica di un soggetto sul luogo del fatto non integra
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danneggiamento, ascritto alla imputata LUCCHETTO, avendo riguardo all’elemento soggettivo.

gli estremi del concorso nel reato e che non sussiste alcuna responsabilità ex art. 110 cod.
pen. quando il destinatario di un’azione istigatrice sia già fermamente determinato a
commettere il reato.
2.2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce mancanza, contraddittorietà o
manifesta illogicità della motivazione in particolare in relazione alla configurazione del concorso
di persone nel reato, ex art.606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., avendo riguardo sia al
delitto di resistenza a pubblico ufficiale, sia al delitto di lesioni.

responsabilità sia addebitabile a titolo di concorso materiale o a titolo di concorso morale.
Invero, la decisione della Corte di appello, dopo aver rappresentato che le condotte poste in
essere dai cinque imputati furono di partecipazione personale o di supporto all’azione diretta a
travolgere il cordone di polizia, evidenzia che le stesse “fornirono un contributo causale
quantomeno rafforzando l’intento delittuoso” degli altri dimostranti. Il ricorso all’avverbio
“quantomeno” è indicativo del mancato scioglimento dell’alternativa; tuttavia, il concorso
materiale non si estrinseca nel “fornire un rafforzamento psicologico al fatto-reato posto in
essere dal correo”, e, “viceversa, chi fornisce un contributo psicologico, non può aver
commesso un fatto materiale”.
2.2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce mancanza, contraddittorietà o manifesta
illogicità della motivazione, in particolare per la mancata enunciazione delle ragioni di fatto su
cui la motivazione è fondata e per mancata enunciazione delle ragioni per le quali il giudice
ritiene inattendibili le prove contrarie in relazione al concorso nel reato per resistenza a
pubblico ufficiale, ex art.606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.
Si duole, precisamente, che la sentenza non ha indicato quali siano state le singole
condotte poste in essere dagli imputati BOGGIA, MASTROSIMONE, MATTEI, RUGOLINO e
ZUANETTI, e, quindi, che le stesse non possono essere considerate in rapporto di causalità
efficiente con le attività dei (supposti) concorrenti, né ha tenuto conto delle testimonianze,
specificamente segnalate, le quali avevano rappresentato che la manifestazione aveva scopi
assolutamente pacifici e che la compattezza delle file dei dimostranti si spiegava con l’esigenza
di proteggersi dalle cariche della polizia.
2.2.4. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce mancanza, contraddittorietà o
manifesta illogicità della motivazione in particolare per la mancata enunciazione delle ragioni di
fatto su cui la motivazione è fondata e per mancata enunciazione delle ragioni per le quali il
giudice ritiene inattendibili le prove contrarie in relazione al concorso nel reato di lesioni, ex
art.606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.
Ripropone, sul punto, le stesse osservazioni esposte nel precedente motivo con
riferimento al concorso nel reato di resistenza a pubblico ufficiale.

2.3. Nel ricorso presentato dall’avvocato Pastore, sono sviluppati due motivi.

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Si lamenta, precisamente, che la sentenza impugnata non avrebbe chiarito se la

2.3.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione alla condanna del
KUBANSKI per il reato di resistenza a pubblico ufficiale, mancanza, contraddittorietà o
manifesta illogicità della motivazione e travisamento del fatto e della prova.
Contesta, in particolare, che la sentenza impugnata, dopo aver premesso che la penale
responsabilità non può derivare dalla presenza dell’imputato nelle prime file, ha condannato il
KUBANSKI solo perché era in prima fila, ed era stato riconosciuto sia mentre reggeva lo
striscione, sia, successivamente, allorché aveva in mano un oggetto identificato in un

2.3.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, in relazione alla condanna del
KUBANSKI per il reato di violenza privata, mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità
della motivazione; travisamento del fatto e della prova; violazione ed inosservanza dell’art.
530, comma 2, cod. proc. pen.
Censura, precisamente, che, sebbene la condotta addebitatagli sarebbe quella di aver
impedito alle Forze dell’Ordine di avvicinarsi al coimputato Colocci mentre questi bloccava
l’accesso della filiale della banca, concorrendo a formare un ‘cordone di protezione’ a favore
dello stesso, nessun teste ha affermato che tale ‘cordone’ abbia impedito agli appartenenti alla
forza pubblica di avvicinarsi. Indica, specificamente, le deposizioni dei testi di polizia giudiziaria
Peronzi e Fusco, i quali non hanno riferito di essere stati impediti ad intervenire. Aggiunge,
inoltre, che il precisato “cordone” potrebbe essere stato organizzato anche per una diversa
finalità, e precisamente per impedire danni più gravi alla banca, in modo da evitare che
venisse “politicamente” danneggiato il corteo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi debbono essere accolti nei limiti di seguito indicati.
1.1. Per offrire un’esposizione più chiara ed organica, l’esame degli stessi sarà
effettuato raggruppando i motivi per omogeneità di vicende. Si procederà, pertanto, dapprima
all’esame dei motivi proposti con riferimento alla configurabilità dei reati di resistenza a
pubblico ufficiale e lesioni personali, quindi di quelli inerenti alle contestazioni di violenza
privata e di danneggiamento; infine, si esamineranno le questioni poste o rilevate di ufficio in
ordine al trattamento sanzionatorio.

I MOTIVI RELATIVI AI REATI DI RESISTENZA A PUBBLICO UFFICIALE E DI LESIONI

2. La sentenza impugnata ha affermato la penale responsabilità di tutti i ricorrenti per i
reati di resistenza aggravata a pubblico ufficiale ex artt. 81 cpv., 337 e 339, commi 1 e 2, cod.
pen. e di lesioni personali continuate ed aggravate nei confronti di cinque appartenenti alla
Forze dell’Ordine, ex artt. 61, n. 2, 81 cpv., 582, 585 e 576 in relazione all’art. 61, n. 2, cod.
pen.
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“sa m pietri no”.

2.1. A fondamento di questa conclusione, i giudici di appello hanno evidenziato,
innanzitutto, in linea generale, che:

verso le ore 13,00 del 19 maggio 2009, entrando da via Madama Cristina in corso
Marconi, “i componenti della parte avanzata del corteo (di cui facevano parte, fra gli
altri, tutti gli attuali imputati …) assumevano un’organizzazione paramilitare formando
più file serrate, costituite da soggetti con abbigliamento scuro e capi protetti da caschi,
la prima delle quali allineata dietro uno striscione recante la scritta «Un’altra volta,

utilizzabile come ariete”;

“giunti in prossimità della linea rossa, dalla prima fila del corteo uscivano due individui
travisati (gli attuali imputati CIENTANNI e COLOCCI) che spruzzavano gli agenti con il
contenuto di estintori creando una nuvola d’tfumo biancastro”;

alle ore 13,17 circa, “immediatamente dopo, … i manifestanti della prima fila, valendosi
anche dello striscione-scudo, si scagliavano con violenza contro lo schieramento degli
agenti, alcuni dei quali venivano colpiti da bastoni ed estintori”;

“solo a quel punto gli agenti effettuavano una carca di alleggerimento e lanciavano dei
lacrimogeni, subendo, per risposta, un fitto lancio di sassi e altri corpi contundenti,
nonché di lacrimogeni che venivano rilanciati, che proseguiva per alcuni minuti”.
Tale ricostruzione è stata effettuata, per come espressamente indicato nella sentenza

impugnata, sulla base delle testimonianze dei funzionari di polizia, e delle “inequivoche”
videoriprese acquisite in atti, ma anche, ad ulteriore conferma, delle affermazioni pronunciate
nell’ambito della radiocronaca degli avvenimenti da uno dei manifestanti, Pittavino Gianluca,
imputato nel presente processo ed assolto in appello, il quale aveva ripetutamente detto:
“siamo in corso Marconi, l’Onda ha tentato di sfondare il blocco del G8 …” “ci sono gli estintori,
l’onda ha usato gli estintori per cercare di sfondare eh … diciamo che veramente siamo in tanti
e ben determinati …” “Non possiamo sfondare più di tanto … Stiamo tempestando di lanci le vie
laterali”.
2.2. Nell’ambito di questo quadro di carattere generale, e sempre sulla base delle
testimonianze della polizia e delle videoriprese, la Corte torinese, con riferimento al delitto di
resistenza a pubblico ufficiale aggravata, ha individuato le responsabilità dei singoli imputati
rappresentando, in particolare, che:

ARESU Mauro, DONATO Ennio Edoardo, MARZUOLI Mattia, RINOLFI Anton Frankovitch e
STELLA Cecilia erano manifestanti che, posti nella prima fila del corteo, avevano
sorretto lo striscione-scudo, e, poi, brandendo lo stesso, si erano scagliati contro gli
agenti;

CIENTANNI Luca e COLOCCI Marco erano manifestanti che, dopo avere tenuto una
posizione a ridosso della prima fila del corteo, uno a destra e uno a sinistra, recando
entrambi un estintore, avevano iniziato l’attacco alle forze dell’ordine, scaricando sulle
stesse il contenuto dei medesimi estintori (il COLOCCI continuava poi nelle sue condotte
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un’altra onda», rinforzato da lastre di plastica rigida legate tra loro da assi e catene,

violente ingaggiando un corpo a corpo con gli agenti e scagliando sassi contro gli
stessi);

LUCCHETTO Francesca era una manifestante, che, posizionata tra la prima e la seconda
fila del corteo, subito dopo l’urto aveva lanciato sassi contro gli operanti;

PICCIONE Damiano e RICHETTO Francesco erano manifestanti, che, anch’essi
posizionati tra la prima e la seconda fila del corteo, non appena avveniva l’urto tra la
prima fila e le forze dell’ordine, intervenivano in soccorso dei compagni (il RICHETTO,

fila);

BOGGIA Alessandro, MASTROSIMONE Domenico, MATTEI Marco, RUGOLINO Ernesto
Maria e ZUANETTI Francesco erano manifestanti posti nella seconda fila del corteo, a
ridosso di “poche decine di centimetri dalla prima”, che, sistemati come la struttura di
una “organizzazione paramilitare”, si muovevano “abbracciati l’uno con l’altro,
indossavano felpe di colore scuro, erano muniti di caschi e guanti e imbracciavano dei
bastoni” e che, al momento dell’impatto con le Forze dell’Ordine avevano lanciato sassi
e torce fumogene;

KUBANSKI Andrea era tra i manifestanti che sorreggevano “lo striscione, rinforzato da
lastre di plastica legate tra loro da catene”, indossando un cappuccio, e, subito dopo, lo
scontro con le Forze dell’Ordine aveva lanciato corpi contundenti contro gli operanti,
tanto da essere inquadrato mentre aveva in mano un sampietrino.
2.3. Per quanto attiene al delitto di lesioni aggravate, i giudici distrettuali hanno

confermato l’affermazione di colpevolezza di tutti gli imputati precedentemente indicati con
riferimento alle ferite, fratture e contusioni subite da cinque agenti di Polizia in occasione e sul
luogo dell’impatto dei manifestanti contro la ‘barriera’ organizzata dalle Forze dell’Ordine dietro
la cd. ‘linea rossa’. Hanno osservato, in particolare, che, nei cinque casi in questione, le ferite
erano state procurate con colpi di estintore, di sassi o bastoni, mentre veniva forzata la
‘barriera’, o subito dopo, e che, quindi, tutti gli imputati in discorso, “partecipando
personalmente o supportando l’azione dei compagni volta a travolgere il cordone di polizia,
fornirono un contributo causale alla commissione” di tali reati, “quantomeno rafforzando
l’intento delittuoso” di coloro che materialmente infersero i colpi.

3. In considerazione del contenuto nella sentenza impugnata, non possono essere
accolte, innanzitutto, le censure articolate nella prima parte del primo motivo nonché nel
secondo motivo del ricorso proposto nell’interesse di Aresu, Cientanni, Colocci, Donato,
Lucchetto, Marzuoli, Piccione, Richetto, Rinolfi e Stella, laddove si contesta, in termini generali,
la stessa configurabilità del reato di resistenza a pubblico ufficiale.
3.1. Quanto al primo motivo, sono in primo luogo manifestamente infondate le
doglianze dirette a contestare che la decisione abbia correttamente motivato sulla sussistenza
di una condotta di aggressione posta in essere dai manifestanti nei confronti della Polizia.
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nelle fasi immediatamente precedenti, aveva distribuito caschi ai compagni della prima

La censura, infatti, deduce in maniera generica – e, quindi, aspecifica – che la Corte di
appello avrebbe dato prevalenza a dichiarazioni testimoniali rispetto al “materiale filmato”, e
alla sentenza di primo grado, laddove questa avrebbe offerto un’altra dinamica della vicenda.
In realtà, però, non viene precisato né quali sono le dichiarazioni testimoniali giudicate
prevalenti, né, soprattutto, quale sia il diverso contenuto del filmato, del quale si dice solo che
è “documento inequivoco”; formulata in questi termini, anzi, la censura si risolve in un
implicito, ma inequivoco, e quindi inammissibile, invito alla Corte di cassazione a rivedere il

con le altre risultanze istruttorie.
E’ inoltre del tutto infondata anche la deduzione dell’esistenza di contrasto tra la
sentenza impugnata e quella di primo grado, formulata attraverso il rilievo che quest’ultima, a
p. 15, non darebbe conto di un attacco violento dei manifestanti contro le Forze dell’Ordine,
bensì, ben diversamente, della legittimità di “un’azione di contenimento” compiuta da queste
ultime. Invero, l’esame complessivo della sentenza di primo grado consente di escludere
l’esattezza di questo rilievo: il Tribunale di Torino, infatti, non solo rappresenta che í
manifestanti, muniti dello striscione-scudo, avevano oltrepassato le linee di confine della cd.
linea rossa (p. 14), ed avevano assunto un atteggiamento “violento”, caratterizzato
dall’iniziativa di ‘sprigionare’ i gas dagli estintori sulla polizia, rendendo a questo punto
“necessaria un’azione di contenimento” (p. 15), ma testualmente riferisce del “tentativo di
sfondamento del cordone” di polizia o, analogamente, di un “attacco frontale” allo stesso,
allorché esamina le singole posizioni, come quella del CIENTANNI (p. 26), del MATTEI (p. 35) o
del Pittavino (p. 37). In ogni caso, la valutazione compiuta dalla Corte di appello è precisa ed
analitica ed è fondata sull’esame di fonti di prova che non sono state oggetto di alcuna
puntuale contestazione da parte delle difese dei ricorrenti.
3.2. E’ infondata, poi, la censura esposta nel secondo motivo, e che attiene alla
mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza della causa di giustificazione della reazione
legittima ad atti arbitrari dei pubblici ufficiali, sul presupposto che gli stessi avrebbero
procedure a ‘caricare’ di iniziativa i dimostranti, senza previamente impartire le intimazioni
prescritte dalle leggi e regolamenti di Pubblica Sicurezza.
E’ sufficiente rilevare, infatti, che la sentenza impugnata ha motivatamente spiegato
che l’attacco fu posto in essere dai manifestanti, tra i quali, appunto, tutti gli odierni ricorrenti,
escludendo, quindi, radicalmente, il presupposto necessario addotto dalla difesa, e cioè
l’essersi verificata una ‘carica’ di iniziativa da parte della Polizia. L’esclusione di tale
presupposto, però, impedisce radicalmente la possibilità di configurare l’ipotesi della reazione
legittima ad atti arbitrari del pubblico ufficiale. Deve così farsi applicazione del principio
secondo cui “in sede di legittimità, non è censurabile una sentenza per il suo silenzio su una
specifica deduzione prospettata con il gravame, quando risulti che la stessa sia stata disattesa
dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata” (così Sez. 1, n. 27825 del
22/05/2013, Caniello, Rv. 256340; nello stesso senso, cfr., anche, Sez. 6, n. 20092 del
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filmato, e ad apprezzare direttamente il contenuto di tale fonte di prova per poi raffrontarlo

04/05/2011, Schowick, Rv. 250105, e Sez. 4, n. 1146 del 24/10/2005, dep. 13/01/2006,
Mirabilia, Rv. 233187).
3.3. Deve conclusivamente osservarsi sul punto, e tenendo conto della ricostruzione dei
fatti da parte della Corte di appello, che costituisce resistenza a pubblico ufficiale la condotta di
chi aggredisce con violenza e minaccia gli appartenenti alle Forze dell’Ordine mentre questi
agiscono per assicurare il rispetto dei limiti territoriali fissati, per ragioni di ordine pubblico, allo
svolgimento di un corteo.

in forma morale, mediante comportamenti idonei a rafforzare l’altrui azione offensiva o ad
aggravarne gli effetti (così, specificamente in relazione a condotte poste in essere in occasione
di manifestazioni collettive, cfr. Sez. 6, n. 18485 del 27/04/2012, Carta, Rv. 252690, con
riferimento a soggetto che, pur non avendo partecipato alla successiva ‘sassaiola’ contro la
forza pubblica, si era avvicinato più volte agli agenti, fronteggiandoli in maniera ostile e poi
allontanandosene velocemente, nonché Sez. 6, n. 40504 del 26/05/2009, Torrisi, Rv. 245011,
concernente l’azione dei partecipanti ad una manifestazione sindacale che avevano tentato di
forzare un blocco di polizia istituito all’ingresso di un ente pubblico; per altro precedente,
relativo a persona che, assistendo ad una condotta di resistenza a pubblico ufficiale in
borghese, aveva maliziosamente posto in dubbio ad altra voce la qualifica di quest’ultimo, v.
Sez. 6, n.7445 del 02/04/1992, Gori, Rv. 190890)

4. Sono poi infondate, e debbono essere perciò rigettate, le censure relative
all’individuazione ed alla responsabilità dei singoli imputati per il delitto di resistenza aggravata
a pubblico ufficiale.
4.1. Il primo motivo del ricorso presentato nell’interesse di Aresu, Cientanni, Colocci,
Donato, Lucchetto, Marzuoli, Piccione, Richetto, Rinolfi e Stella, nella sua seconda parte,
censura l’individuazione dell’imputato DONATO Ennio Edoardo, e l’ascrivibilità di un significato
penalmente rilevante alle condotte poste in essere dagli imputati PICCIONE Damiano e
RICHETTO Francesco.

Il concorso in tale condotta, inoltre, può avvenire – oltre che in forma materiale – anche

4.1.1. Quanto al riconoscimento del DONATO, si deduce che l’individuazione
dell’imputato, fondata sulla corrispondenza del giubbotto sequestrato a casa del Donato con
quello indossato da un manifestante a volto coperto effigiato nelle videoriprese, si porrebbe in
contrasto con gli accertamenti tecnici della polizia, i quali evidenziano la non comparabilità del
dimostrante di cui al fotogramma n. 24, che indossava un giubbino esattamente
corrispondente a quello sequestrato a casa del Donato ed il medesimo Donato.
La doglianza è infondata perché trascura completamente un elemento decisivo che
emerge dal testo della sentenza impugnata: ben tre appartenenti alle Forze dell’Ordine hanno
riferito di aver individuato il Donato per averne “riconosciuto i lineamenti del viso, il taglio degli
occhi e i capelli neri, ricci e sudati” (cfr. pag. 35 della sentenza impugnata).

11

L

4.1.2. Quanto alla rilevanza della condotta del PICCIONE, il ricorrente deduce che la
sentenza impugnata avrebbe trascurato di dare il giusto rilievo alla circostanza che l’imputato
in questione non era esattamente in prima fila, ma a ridosso della stessa, e che avrebbe
condannato lo stesso sulla base della generica motivazione che questi “dava disposizioni ai
compagni in prima fila e accorreva a dar man forte agli stessi, quando avveniva l’urto con il
cordone degli agenti”.
In realtà, sul punto, la sentenza impugnata rimanda alle videoriprese ed alle deposizioni

grado, la quale, sulla base di tali fonti di prova, ha evidenziato che il PICCIONE, prima
dell’«assalto», fece segno alle Forze dell’Ordine di allontanarsi dal posto in cui si trovavano in
modo non propriamente amichevole, durante lo svolgimento della manifestazione si era
posizionato dietro “il manipolo che porta lo striscione”, nel corso della stessa era stato uno di
quelli che “va a gestire il corteo”, e, poi, dopo lo scontro con la Polizia, aveva fatto parte del
gruppo di quelli che “si ricompattano e danno luogo alla successiva azione, quella del lancio
ripetuto di oggetti”.
Questo essendo il comportamento concretamente ascritto al PICCIONE dalla Corte
d’appello, il ruolo così delineato è qualificabile come quello del concorrente morale, che ha, se
non proprio determinato, sicuramente rafforzato i compagni del corteo nella decisione di
‘attaccare’ il cordone della polizia nonché, successivamente, di intraprendere contro la stessa
un lancio di oggetti, e così di porre in essere la condotta di violenza e minaccia contro gli
appartenenti alle Forze dell’Ordine mentre si preoccupavano di evitare lo sconfinamento oltre i
limiti prestabiliti della cd. zona rossa.
4.1.3. Anche in riferimento alla rilevanza della condotta del RICHETTO, l’impugnante
deduce la genericità e l’equivocità del comportamento ascritto all’imputato nella sentenza
impugnata, in quanto descritto negli stessi termini riferiti al PICCIONE, con l’aggiunta del
comportamento consistito nella distribuzione di caschi ad altri manifestanti.
Pure a questo proposito è utile rappresentare che la sentenza impugnata rimanda alle
videoriprese ed alle deposizioni dei testi di polizia giudiziaria, che risultano più ampiamente
riportati nella sentenza di primo grado, la quale, sulla base di tali fonti di prova, ha evidenziato
che il RICHETTO, prima dell’assalto, aveva distribuito i caschi ad almeno tre persone della
prima fila, tra cui il RINOLFI Anton Frankovitch, e, poi, “travisato con passamontagna e occhiali
scuri” aveva “partecipa[to] allo scontro con le forze dell’ordine in corso Marconi subito a
ridosso della fila che sorregge lo striscione”.
Se questo è il comportamento attribuito al RICHETTO dal giudice di appello, anche la
posizione del medesimo è correttamente qualificabile come quella del concorrente morale che
ha rafforzato i compagni del corteo nella decisione di ‘attaccare’ il cordone della polizia, e così
di porre in essere la condotta di violenza e minaccia contro gli appartenenti alle Forze
dell’Ordine mentre si preoccupavano di evitare lo sconfinamento oltre i limiti prestabiliti della
cd. zona rossa.
12

dei testi di polizia giudiziaria, che risultano più ampiamente riportati nella sentenza di primo

4.2. I primi tre motivi del ricorso presentato nell’interesse di BOGGIA Alessandro,
MASTROSIMONE Domenico, MATTEI Marco, RUGOLINO Ernesto Maria e ZUANETTI Francesco,
che possono essere esaminati congiuntamente, censurano l’affermazione di responsabilità di
questi imputati (il secondo motivo peraltro è relativo anche al reato di lesioni) sia perché la
sola presenza degli stessi al corteo, per di più in una fila secondaria, non sarebbe dimostrativa
di un contributo penalmente rilevante all’altrui azione delittuosa, nemmeno come
rafforzamento del proposito criminoso, sia perché non sarebbe logicamente e giuridicamente

ordine al tipo di contributo prestato nel concorso del reato, e cioè indifferentemente in termini
di partecipazione materiale o morale, sia, infine, perché sarebbe stata completamente ignorata
la testimonianza di Roggero Luigi, il quale aveva espressamente affermato che il corteo aveva
intenzioni pacifiche, che i dimostranti erano schierati in modo compatto solo per proteggersi da
eventuali attacchi della polizia, e che quest’ultima aveva effettuato una “carica di manganellate
senza preavviso”.
4.2.1. Le doglianze appena indicate debbono essere esaminate a partire dall’ultima,
costituente il terzo motivo di ricorso, che attiene specificamente alla ricostruzione del fatto
sotto il profilo materiale ed obiettivo.
La stessa è infondata.
Si è detto, in precedenza, che la sentenza impugnata ha ricostruito le condotte di
BOGGIA Alessandro, MASTROSIMONE Domenico, MATTEI Marco, RUGOLINO Ernesto Maria e
ZUANETTI Francesco, indicando gli stessi come manifestanti posti nella seconda fila del corteo,
a ridosso di “poche decine di centimetri dalla prima”, che, sistemati come la struttura di una
“organizzazione paramilitare”, si muovevano “abbracciati l’uno con l’altro, indossavano felpe di
colore scuro, erano muniti di caschi e guanti e imbracciavano dei bastoni” e che, al momento
dell’impatto con le Forze dell’Ordine, avevano lanciato sassi e torce fumogene.
Tale ricostruzione è stata effettuata sulla base delle dichiarazioni del personale di polizia
giudiziaria, delle videoriprese e dei fotogrammi acquisiti in atti. Tuttavia, la sentenza
impugnata non ha trascurato la prova contraria addotta dalla Difesa, pur non facendo
menzione specifica del teste da questa indicato: innanzitutto, la corte torinese (p. 42 della
sentenza di secondo grado), richiama, sia pur incidentalmente, le motivazioni del primo
giudice, il quale aveva ritenuto le dichiarazioni dei testi a difesa inattendibili perché viziate da
“ingenuità, ipocrisia o intento difensivo” (p. 18 della sentenza di primo grado) e, con
riferimento al teste Roggero, aveva anche aggiunto che lo stesso aveva dovuto ammettere di
non essere stato in prima fila, ma a venti/trenta metri dall’inizio del corteo, avendo davanti
circa duecento persone (p. 20 della sentenza di primo grado). In secondo luogo, i giudici di
appello (p. 42-43 della sentenza di secondo grado) hanno dichiaratamente evidenziato che,
alla luce delle “risultanze probatorie” acquisite, le argomentazioni difensive dedotte con gli atti
di appello non erano “condivisibili” perché la condotta degli imputati non era stata quello di
“soggetti che si sarebbero limitati a partecipare alle prime file di un corteo di protesta,
13

possibile attribuire alla condotta accertata a carico degli imputati una qualificazione fungibile in

condividendo il proposito di realizzare una simbolica e pacifica violazione di una linea rossa”,
bensì quella di soggetti che “fornirono un contributo materiale e morale ad un’azione violenta
(il tentativo di sfondamento del cordone posto a tutela dell’area interdetta …)”. E’ perciò
comunque corretto, anche in relazione a questo profilo di censura, fare applicazione del
principio, già precedentemente richiamato, secondo cui “in sede di legittimità, non è
censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata con il
gravame, quando risulti che la stessa sia stata disattesa dalla motivazione della sentenza

nello stesso senso, cfr., anche, Sez. 6, n. 20092 del 04/05/2011, Schowick, Rv. 250105, e
Sez. 4, n. 1146 del 24/10/2005, dep. 13/01/2006, Mirabilia, Rv. 233187).
4.2.2. Tanto osservato, trova risposta, e deve perciò essere respinta, anche il primo
motivo di ricorso.
Il comportamento materialmente posto in essere dal BOGGIA, dal MASTROSIMONE, dal
MATTEI, dal RUGOLINO e dallo ZUANETTI, così come ricostruito dalla sentenza impugnata in
termini immuni da vizi, integra una condotta che, quand’anche non fosse di diretta aggressione
alle Forze dell’Ordine mentre queste si curavano di assicurare il rispetto dei limiti territoriali
prefissati, sarebbe comunque di rafforzamento della decisione dei compagni del corteo che,
avvalendosi anche dello scudo-striscione, avevano materialmente colpito gli appartenenti alla
polizia per realizzare il superamento della cd. zona rossa e costringere gli appartenenti alla
polizia a desistere dai compiti di istituto.
E’ evidente, infatti, che la condotta di un gruppo compatto di soggetti che, posti a
ridosso di “poche decine di centimetri dalla prima” fila ed ordinati in formazione simile ad una
“organizzazione paramilitare”, si muovevano “abbracciati l’uno con l’altro, indossavano felpe di
colore scuro, erano muniti di caschi e guanti e imbracciavano dei bastoni”, e che, al momento
dell’impatto con le Forze dell’Ordine lanciavano sassi e torce fumogene, ha anche fisicamente
sospinto i compagni in prima linea nell’azione di sfondamento del cordone predisposto dalle
Forze di Polizia, oltre a fornire agli stessi la sicurezza di poter contare su di un pieno appoggio,
e non a mani nude, nel compimento dell’operazione.
4.2.3. Muovendo da queste osservazioni, è poi agevole rilevare l’infondatezza anche del
secondo motivo di ricorso.
E’ sufficiente osservare, infatti, che la sentenza impugnata, una volta ricostruita la
condotta nei termini descritti, precisa che la stessa, così come oggettivamente individuata, è
idonea ad integrare sia il concorso materiale, sia “quantomeno” il concorso morale.
In effetti, è principio pacifico anche in dottrina, oltre che di comune applicazione
giurisprudenziale, quello secondo cui, nel concorso di persone nel reato, una determinata
condotta può costituire agevolazione alla esecuzione materiale del delitto e, insieme,
istigazione o rafforzamento del proposito criminoso. Non a caso, risulta principio ampiamente
consolidato quello secondo cui “non sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa
e sentenza, qualora l’imputato, cui sia stato contestato di essere l’autore materiale del fatto,
14

complessivamente considerata” (così Sez. 1, n. 27825 del 22/05/2013, Caniello, Rv. 256340;

sia riconosciuto responsabile a titolo di concorso morale, giacché tale modifica non comporta
una trasformazione essenziale del fatto addebitato, né può provocare menomazioni del diritto
di difesa, ponendosi in rapporto di continenza e non di eterogeneità rispetto all’originaria
contestazione” (cfr.: Sez. 2, n. 12207 del 17/03/2015, Abruzzese, Rv. 263017; Sez. 5, n.
15556 del 09/03/2011, Bruzzese, Rv. 250180; Sez. 1, n. 42993 del 25/09/2008, Pipa, Rv.
241825; Sez. 5, n. 7638 del 17/01/2007, Cannmarata, Rv. 235786; Sez. 5, n. 42691 del
03/06/2005, Barcacci, Rv. 232836; Sez. 5, n. 12458 del 21/01/1998, Rocci, Rv. 210231; Sez.

materiale al reato necessariamente implica … la contestazione di un concorso morale” nello
stesso (così, espressamente, Sez. 5, n. 42691 del 2005, cit.). Ne consegue che non implica
alcuna incertezza per gli imputati, né dà luogo al fenomeno patologico della cd. indifferenza
probatoria, la qualificazione giuridica ‘cumulativa’ di una condotta, precisamente individuata in
fatto, in termini sia di attività di esecuzione materiale del delitto, sia, comunque, di causa di
rafforzamento del proposito criminoso degli autori materiali della condotta.
4.3. Il primo motivo del ricorso presentato nell’interesse di KUBANSKI, infine, censura
l’affermazione di responsabilità del medesimo osservando che la sentenza impugnata avrebbe
condannato tale imputato solo perché questi si era posto in prima fila nella manifestazione,
aveva sorretto lo scudo-striscione ed era stato identificato nei momenti successivi al ‘contatto’
mentre teneva in mano un oggetto indicato come un sampietrino, senza considerare che tale
condotta era espressiva, al più, della volontà di violare simbolicamente la cd. zona rossa.
Anche questo motivo di ricorso è infondato.
In proposito, infatti, è sufficiente osservare che i giudici della Corte di appello hanno
evidenziato, anche alla luce delle videoriprese e dei fotogrammi acquisiti agli atti, operando
una ricostruzione oggettiva dei fatti immune da censure e contestata solo apoditticamente
dalla Difesa, che il Kubanski era soggetto il quale aveva dapprima “partecipa[to]
personalmente all’attacco contro gli agenti del cordone schierato in corso Marconi, che veniva
posto in essere proprio dagli individui che sorreggevano lo striscione-scudo che andava a
collidere con gli operanti”, e poi era concorso nel lancio di sassi e corpi contundenti.
Invero, se tale ricostruzione dei fatti è corretta, non può essere contestata nemmeno la
successiva inferenza della sentenza impugnata, secondo cui la condotta così descritta era
insieme azione di esecuzione materiale del delitto ed azione di rafforzamento del proposito
criminoso degli altri correi.

5. Sono infondate, ancora, e vanno quindi anch’esse rigettate, le censure relative
all’affermazione della responsabilità degli imputati per il delitto di lesioni volontarie aggravate.
5.1. Il terzo motivo del ricorso presentato nell’interesse degli imputati ARESU Mario,
CIENTANNI Luca, COLOCCI Marco, DONATO Ennio Edoardo, LUCCHETTO Francesca, MARZUOLI
Mattia, PICCIONE Damiano, RICHETTO Francesco, RINOLFI Anton Frankovitch e STELLA
Cecilia, censura la sentenza nella parte in cui ha condannato gli stessi per il reato di lesioni,
15

1, n. 3791 del 16/02/1994, Tiozzo, Rv. 198715), anche perché “l’accusa di partecipazione

deducendo che le condotte ascritte a titolo di resistenza, se pure si voglia ritenerle sussistenti,
non implicherebbero comunque né il dolo di lesioni, né il comune disegno criminoso delle
condotte illecite, tanto più che numerose testimonianze acquisite agli atti hanno asseverato
che la volontà più volte espressa dagli organizzatori del corteo era quella di procedere ad una
invasione simbolica e non violenta della cd. zona rossa.
Si tratta, tuttavia, di doglianza non fondata, ove si consideri, da un lato, la condotta
degli imputati come accertata dalla sentenza impugnata, allorché si è trattato dei profili

tipologia e la modalità delle lesioni per cui è intervenuta condanna, anch’essa per come
descritta nella decisione sottoposta a scrutinio.
Invero, le condotte degli imputati ARESU, CIENTANNI, COLOCCI, DONATO,
LUCCHETTO, MARZUOLI, PICCIONE, RICHETTO, RINOLFI e STELLA sono consistite nell’assalto
al cordone di polizia mediante l’effusione del contenuto di estintori (così COLOCCI e
CIENTANNI) o con l’uso dello striscione-scudo (materialmente brandito da ARESU, DONATO
MARZUOLI, RINOLFI e STELLA, sotto la direzione del PICCIONE e con l’ausilio del RICHETTO)
o, comunque, nel lancio di sassi nella fase immediatamente successiva (così LUCCHETTO).
Le lesioni per le quali la Corte di appello ha confermato la condanna sono state inferte
agli appartenenti alle Forze dell’Ordine subito dopo rassalto’, a colpi di estintore, di bastone o
di sassi (cfr. p. 37 s. della sentenza impugnata). Tale tipologia, modalità e collocazione
cronologica delle lesioni non è stata in alcun modo contestata nei ricorsi. Si aggiunga, ancora,
che di bastoni erano armati i componenti della seconda fila del corteo, come sì è detto con
riferimento alle posizioni dei coimputati BOGGIA, MASTROSIMONE, MATTEI, RUGOLINO e
ZUAN ETTI.
La considerazione coordinata di tali circostanze consente di osservare che è immune da
vizi logici o giuridici la conclusione espressa nella sentenza impugnata, secondo cui chi ha
voluto ed eseguito l’assalto, essendo questo caratterizzato dall’uso di plurimi strumenti atti ad
offendere, dai quali sono conseguite la frattura del setto nasale di un agente della Forza
Pubblica e le contusioni per altri quattro operanti, ha agito quanto meno con il dolo eventuale
di procurare dette lesioni personali. Può solo aggiungersi, per completezza, che pacifico risulta
il principio in forza del quale integra l’elemento psicologico del delitto di lesioni volontarie
anche il dolo eventuale (cfr. Sez. 6, n. 7389 del 24/01/2014, Bertocco, Rv. 258803, nonché
Sez. 5, n. 35075 del 21/04/2010, B., Rv. 248394).
5.2. Il secondo ed il quarto motivo del ricorso presentato nell’interesse degli imputati
BOGGIA Alessandro, MASTROSIMONE Domenico, MATTEI Marco, RUGOLINO Ernesto Maria e
ZUANETTI Francesco censurano la sentenza nella parte in cui ha condannato gli stessi per il
reato di lesioni, deducendo che non sarebbe logicamente e giuridicamente possibile attribuire
alla condotta accertata a carico degli imputati una qualificazione fungibile in ordine al tipo di
contributo prestato nel concorso del reato, e cioè indifferentemente in termini di partecipazione
materiale o morale (secondo motivo di ricorso), che, in linea generale, non sarebbe stata
16

attinenti le singole responsabilità per il reato di resistenza a pubblico ufficiale, e, dall’altro, la

individuata la condotta concretamente ascrivibile agli stessi (prima parte del quarto motivo di
ricorso), e che sarebbe stata completamente ignorata la testimonianza di Roggero Luigi, il
quale aveva espressamente affermato che il corteo aveva intenzioni pacifiche, che i
dimostranti erano schierati in modo compatto solo per proteggersi da eventuali attacchi della
polizia, e che quest’ultima aveva effettuato una “carica di manganellate senza preavviso”
(seconda parte del quarto motivo di ricorso).
5.3.1. Per quanto attiene alla censura formulata nel secondo motivo di ricorso, e che

termini di partecipazione morale o materiale, è sufficiente richiamare quanto evidenziato in
precedenza al punto 4.2.3. Si tratta, infatti, di doglianza formulata in termini unitari con
riferimento alla configurabilità tanto del reato di lesioni, quanto del reato di resistenza a
pubblico ufficiale.
5.3.2. In relazione alla censura esposta nella prima parte del quarto motivo di ricorso, e
che contesta l’individuazione della condotta concretamente ascrivibile agli imputati BOGGIA,
MASTROSIMONE, MATTEI, RUGOLINO e ZUANETTI, poi, è utile richiamare innanzitutto quanto
rilevato in precedenza al punto 4.2.2.
Invero, le condotte dei cinque imputati in questione, per come descritte dalla Corte di
appello, sono ben delineate e, in considerazione delle modalità, circostanze e tipologie di
lesioni per le quali è stata confermata la condanna, possono dirsi causalmente e
psicologicamente collegate a queste ultime.
Con riferimento al profilo materiale, è innegabile la rilevanza eziologica, rispetto alle
lesioni in contestazione, della condotta di soggetti che, posti a ridosso di “poche decine di
centimetri dalla prima” fila ed ordinati in formazione simile ad una “organizzazione
paramilitare”, si muovevano “abbracciati l’uno con l’altro, indossavano felpe di colore scuro,
erano muniti di caschi e guanti e imbracciavano dei bastoni”, e che, al momento dell’impatto
con le Forze dell’Ordine lanciavano sassi e torce fumogene. Si consideri, infatti, che, con il
descritto atteggiamento, i cinque imputati in questione hanno anche fisicamente sospinto i
compagni in prima linea nell’azione di sfondamento del cordone predisposto dalle Forze di
Polizia, e che alcune delle contusioni sono state cagionate proprio da colpi di bastone e di
sassi.
Con riferimento al profilo psicologico, poi, muovendo da questa ricostruzione dei fatti, è
sufficiente fare rinvio a quanto osservato in precedenza al punto 5.1.
5.3.3. Avendo riguardo, infine, all’ultima delle censure esaminate in questa parte della
sentenza, e che lamenta l’omessa considerazione della testimonianza del teste Roggero circa le
finalità pacifiche del corteo, è possibile replicare la risposta data in precedenza al punto 4.2.1.
La doglianza in esame, infatti, è del tutto sovrapponibile a quella formulata nella seconda parte
del terzo motivo di ricorso con riferimento al reato di resistenza a pubblico ufficiale, e non
richiede perciò indicazioni ulteriori.

17

contesta l’affermazione di responsabilità in quanto fondata su una qualificazione fungibile, in

I MOTIVI RELATIVI AI REATI DI VIOLENZA PRIVATA E DI DANNEGGIAMENTO

6. La sentenza impugnata ha anche affermato la penale responsabilità di alcuni degli
imputati del presente processo per ulteriori episodi avvenuti nel corso della manifestazione.
Precisamente, sono stati condannati COLOCCI Marco, KUBANSKI Andrea, LUCCHETTO
Francesca, RINOLFI Anton Frankovitch E STELLA Cecilia per aver commesso, in concorso tra
loro, il reato di violenza privata, nonché LUCCHETTO Francesca per danneggiamento

7. A fondamento della condanna per il delitto di violenza privata, i giudici di appello
hanno evidenziato che:

alle ore 12,40 (quindi, circa mezz’ora prima dell’«assalto» al cordone di polizia
precedentemente descritto), un gruppo dei dimostranti, passando per il corso Vittorio
Emanuele II, si avvicinò alla cancellata dell’agenzia bancaria SAI;

uno di essi, il COLOCCI, bloccò l’accesso della cancellata, apponendovi una catena con
lucchetto;

contemporaneamente, la LUCCHETTO, il KUBANSKI ed altri formarono un cordone che
impediva alla polizia di avvicinarsi, il RINOLFI, posizionato vicino al COLOCCI, accese un
fumogeno, e la STELLA, anch’ella nelle immediate adiacenze, appose sulla catena uno
striscione recante la dicitura “L’onda non pagherà questa crisi”.
Tale ricostruzione è stata effettuata, per come espressamente indicato nella sentenza

impugnata, sulla base delle testimonianze dei funzionari di polizia, e delle immagini
fotografiche acquisite agli atti.
La responsabilità della LUCCHETTO, del KUBANSKI, del RINOLFI e della STELLA è stata
affermata sul rilievo che gli stessi avevano posto in essere “condotte di supporto,
evidentemente concordate in precedenza”, le quali avevano consentito al COLOCCI di apporre
la catena e di bloccare gli impiegati all’interno della filiale della banca, in tal modo rafforzando
l’intento delittuoso di quest’ultimo.
7.1. I motivi di ricorso presentati in relazione al capo di imputazione in questione sono
fondati.
In particolare, nel quarto motivo di ricorso proposto nell’interesse di LUCCHETTO,
RINOLFI e STELLA, si deduce la mancata motivazione circa la sussistenza del previo concerto
tra gli odierni ricorrenti ed il COLOCCI, sia perché l’azione posta in essere da quest’ultimo
poteva essere vista come “una iniziativa del tutto autonoma non preventivata, non
preventivabile, né voluta dagli altri imputati”, sia perché le finalità della costituzione di un
“cordone di protezione” potevano essere ben diverse, come quella di consentire alla STELLA di
apporre indisturbata lo striscione.
Nel secondo motivo di ricorso proposto nell’interesse di KUBANSKI, poi, ci si duole che
la costituzione del “cordone di protezione” non era certamente volta ad impedire l’intervento
18

aggravato.

della polizia, poiché questa non era nelle vicinanze, e che potevano ipotizzarsi altre finalità
quale ragione di tale iniziativa.
7.2. Deve osservarsi, preliminarmente, che non è in discussione l’avvenuta
commissione del fatto di reato, per il quale è già divenuta irrevocabile la condanna nei
confronti del COLOCCI. Il problema, infatti, è di valutare se le condotte poste in essere dai
ricorrenti indicati, per come individuate nella sentenza impugnata, sono idonee ad integrare il
concorso degli stessi nel reato.

protezione” indubbiamente ha costituito un’agevolazione per il COLOCCI nel compiere
materialmente la condotta qualificata a norma dell’art. 610 cod. pen.
Sotto il profilo soggettivo, però, gli elementi valutati nella sentenza impugnata – non
suscettibili di ulteriore completamento, posto che, tra l’altro, sono state esaminate le riprese
filmate – non consentono di ritenere plausibile, al di là del ragionevole dubbio, l’affermazione,
contenuta nella sentenza impugnata, del previo concerto con il COLOCCI, né, in ogni caso, la
consapevolezza dei ricorrenti circa il tipo di azione che questi avrebbe posto in essere. Si
consideri, infatti, in primo luogo, che l’azione illecita in esame fu posta in essere ben prima
dello «sfondamento» della cd. zona rossa, e, quindi, in un momento in cui non era opportuno
creare disordini che avrebbero potuto compromettere l’ulteriore corso della manifestazione e,
così, la realizzazione dell’obiettivo ‘politico’ dello sconfinamento. Si osservi, poi, che la
‘chiusura’ delle persone presenti nella filiale della banca all’interno dei locali della stessa risulta
un’operazione fine a se stessa, né la stessa è stata giustificata in sentenza come funzionale alla
realizzazione degli obiettivi del corteo o dei manifestanti. Si aggiunga, ancora, che la creazione
del ‘cordone di protezione’ poteva essere diretta anche solo allo scopo di apporre lo striscione,
poi fissato dalla STELLA. In conclusione, pertanto, non è ‘irragionevole’ il dubbio che l’azione
posta in essere dalla LUCCHETTO, dal KUBANSKI, dal RINOLFI e dalla STELLA, pur costituendo
oggettivamente ausilio alla condotta del COLOCCI, sia stata compiuta al di fuori di ogni
previsione di quest’ultima, e, quindi, in assenza non solo del dolo diretto, ma anche del dolo
eventuale del delitto di cui all’art. 610 cod. pen.
7.3. In conseguenza delle esposte considerazioni, quindi, gli imputati LUCCHETTO,
KUBANSKI, RINOLFI e STELLA debbono essere assolti dall’imputazione di violenza privata per
non aver commesso il fatto, non essendo accertato in capo agli stessi, al di là del ragionevole
dubbio, il dolo di concorso con l’autore del delitto, il COLOCCI, già condannato con sentenza
divenuta irrevocabile nelle fasi precedenti del processo.

8. A fondamento della condanna per il delitto di danneggiamento aggravato, i giudici di
appello hanno evidenziato che:
• alcuni minuti dopo lo ‘scontro’ con le Forze dell’Ordine in corso Marconi, LUCCHETTO
Francesca saliva sul tetto di una Fiat Panda per parlare con i manifestandi utilizzando
un megafono;
19

Sotto il profilo oggettivo, la condotta consistita nell’organizzare un “cordone di

• dopo tale condotta, veniva constatata l’inflessione, e, quindi, il danneggiamento della
lamiera del tettuccio della precisata autovettura.
Tale ricostruzione è stata effettuata, per come espressamente indicato nella sentenza
impugnata, sulla base delle testimonianze dei funzionari di polizia, delle videoriprese e delle
immagini fotografiche acquisite agli atti.
La responsabilità della LUCCHETTO è stata affermata sul rilievo che la donna, salendo
sopra il tetto dell’autovettura, aveva consapevolmente fatto gravare il suo peso sulla lamiera,

carrozzeria del veicolo.
8.1. Il motivo di ricorso presentato in relazione al capo di imputazione in esame
(trattasi de quinto motivo di ricorso) è manifestamente infondato.
Con lo stesso, il ricorrente lamenta che il presupposto del ragionamento della Corte
torinese, secondo cui la LUCCHETTO è “donna di normale corporatura e quindi di un peso di
diverse decine di chilogrammi (come risulta dalle fotografie in atti)”, è viziato perché
contrastante con i filmati, che documentano, invece, una “corporatura assolutamente minuta”.
8.2. Come risulta evidente, la censura vuole argomentare su di un dato assolutamente
marginale ai fini della decisione: debbono infatti ritenersi corretti, e rispettosi del principio dell’
«al di là del ragionevole dubbio», sia l’assunto secondo cui il peso di un essere umano di età
adulta, salvo casi assolutamente abnormi, non indicati nel ricorso, è di diverse decine di
chilogrammi, sia la conseguente inferenza per cui, posto un peso di alcune decine di
chilogrammi a pressione sul tetto di una vettura (nella specie di piccola cilindrata), il materiale
di lamiera che subisce la pressione viene da questa deformato.

LE QUESTIONI ATTINENTI AL TRATTAMENTO SANZIONATORIO

9. La pena calcolata a titolo di aumento per la continuazione con riferimento ai delitti di
lesioni aggravate deve essere rideterminata per tutti gli imputati del presente processo.
Precisamente, deve essere accolto il motivo ricorso proposto sul punto nell’interesse di ARESU
Mario, CIENTANNI Luca, COLOCCI Marco, DONATO Ennio Edoardo, LUCCHETTO Francesca,
MARZUOLI Mattia, PICCIONE Damiano, RICHETTO Francesco, RINOLFI Anton Frankovitch e
STELLA Cecilia. Tale impugnazione, poi, in applicazione dell’art. 587 cod. proc. pen., giova
anche agli altri imputati BOGGIA Alessandro, MASTROSIMONE Domenico, MATTEI Marco,
RUGOLINO Ernesto Maria, ZUANETTI Francesco, e KUBANSKY Andrea.

10. Con il sesto motivo di ricorso, il ricorso proposto nell’interesse di Aresu, Cientanni,
Colocci, Donato, Lucchetto, Marzuoli, Piccione, Richetto, Rinolfi e Stella ha dedotto che la Corte
di appello, pur assolvendo gli imputati da quindici dei venti episodi di lesioni personali, ha
rideterminato l’aumento di pena calcolandolo complessivamente in quindici giorni di reclusione,
nonostante che il tribunale avesse inflitto, a titolo di aumento per i venti fatti di lesioni, un
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e, perciò, si era rappresentato come altamente probabilmente il deterioramento della

aumento di trenta giorni di reclusione; tale riduzione è censurata come non congrua,
immotivata e, comunque, in contrasto con il principio del divieto di reformatio in peius, posto
che l’omessa indicazione di criteri da parte del giudice di primo grado deve intendersi implicare
la decisione di infliggere una pena pari ad un giorno e mezzo di reclusione per ciascun
episodio.
10.1. In effetti, sia la sentenza di primo grado, sia quella di appello non motivano
specificamente in ordine ai criteri seguiti per la determinazione dell’aumento di pena applicato

mese, mentre la seconda, premesso che lo stesso “va diminuito a seguito dell’assoluzione da
alcuni dei fatti ivi contestati”, ha ridotto tale aumento a quindi giorni. Peraltro, i fatti di lesione
per i quali era intervenuta condanna in primo grado erano venti, e riguardavano “malattie”
giudicate guaribili da un minimo di due ad un massimo di quindici giorni; i fatti di lesione per i
quali è intervenuta condanna in appello sono cinque ed hanno riguardato “malattie” giudicate
guaribili da un minimo di quattro ad un massimo di quindici giorni.
10.2. La mancanza di una analitica specificazione, nella sentenza di primo grado, in
ordine ai singoli aumenti di pena può sembrare in contrasto con il disposto dell’art. 533,
comma 2, cod. proc. pen., che prevede una indicazione distinta della pena irrogata per
ciascuno dei reati per cui è stata pronunciata condanna. Tuttavia, prima di approdare a questa
conclusione, che, secondo un orientamento, determinerebbe addirittura la nullità della
sentenza impugnata In parte qua (cfr., tra le tante, Sez. 4, n. 28139 del 23/06/2015, Puggillo,
Rv. 264101; per l’orientamento contrario, la più recente massimata è Sez. 5, n. 29847 del
30/04/2015, Del Gaudio, Rv. 264551), occorre valutare se sia possibile individuare i criteri
seguiti dal giudice per fissare la sanzione. In effetti, tenendo conto che l’art. 533, comma 2,
cod. proc. pen. richiede espressamente al giudicante una specifica indicazione della pena da
infliggere per ciascun reato, che, nel caso di specie, le violazioni attenevano allo stesso titolo di
reato (lesioni personali dolose connotate dalle stesse aggravanti), e che i singoli episodi sono
tra di loro omogenei per modalità di produzione e per concreta gravità (tutti fatti per lesioni
volontarie da un minimo di due ad un massimo di quindici giorni di prognosi causati nel corso
della manifestazione), è ragionevole ritenere che la sentenza di primo grado abbia calcolato la
porzione di aumento per ciascun delitto in misura identica. Conseguentemente, deve
concludersi che il Tribunale irrogò per ciascun episodio di lesioni un aumento pari,
sostanzialmente, ad un giorno e mezzo di reclusione.
10.3. Muovendo da questa premessa, risulta allora corretto affermare che la sentenza di
appello, quando ha accolto l’impugnazione dei difensori escludendo la sussistenza di quindici
delle venti fattispecie di reato ritenute in prima cura, avrebbe dovuto rideterminare la pena
applicando il criterio seguito in primo grado, o – eventualmente – altro criterio più favorevole
agli imputati, per non incorrere nella violazione del divieto di reformatio in peius.
10.4. Corollario di questo rilievo è che l’aumento di pena relativo ai fatti di lesioni per gli
imputati ARESU, CIENTANNI, COLOCCI, DONATO, LUCCHETTO, MARZUOLI, PICCIONE,
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per i fatti di lesioni personali volontarie. Inoltre, la prima decisione ha fissato l’aumento in un

RICHETTO, RINOLFI e STELLA, ricorrenti sul punto, deve essere ridotto da trenta giorni a sette
giorni di reclusione, essendo cinque e non più venti gli episodi per i quali vi è condanna.
10.5. Deve essere perciò pronunciata sentenza di annullamento senza rinvio nei
confronti dei predetti imputati con riferimento all’aumento di pena applicato per i reati di
lesioni, da calcolarsi in complessivi sette giorni (e non già quindici giorni) di reclusione per
ciascuno di essi.

confronti degli altri imputati non impugnanti sul punto (BOGGIA, MASTROSIMONE, MATTEI,
RUGOLINO, ZUANETTI e KUBANSKI), in applicazione dell’istituto dell’estensione
dell’impugnazione (art. 587 cod. proc. pen.).
11.1. Occorre premettere, innanzitutto, che deve considerarsi “non ricorrente”, ai fini
dell’operatività dell’istituto in questione, anche il coimputato presente nel giudizio di cassazione
che non abbia impugnato il punto della decisione per il quale interviene annullamento.
Come si è osservato in una precedente pronuncia, “dal punto di vista sistematico si
manifesta evidente che

tertium non datur

rispetto al singolo punto della decisione: il ricorso

infatti attribuisce la cognizione della Corte di legittimità in relazione esclusivamente ai singoli
motivi effettivamente proposti (art. 609 c.p.p., comma 1) con le sole tassative eccezioni
previste dal capoverso dell’art. 609 c.p.p. e proprie o del sopravvenire di peculiari vicende
dopo la scadenza del termine utile per la proposizione del ricorso (es.: modifiche normative
favorevoli) o di preesistenti vizi rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del processo (es.:
nullità ex art. 179 c.p.p.). La qualità di «ricorrente», quindi, è strettamente e necessariamente
correlata ai motivi concretamente enunciati ed alle due evenienze specificamente e
tassativamente previste dal capoverso dell’art. 609 c.p.p. De resto, che si tratti d coimputato
che non ha per nulla impugnato la sentenza ovvero di coimputato che ha proposto ricorso ma
per motivi diversi, le due posizioni rispetto al diverso motivo non esclusivamente personale
proposto da altro coimputato «diligente» sono assolutamente sovrapponibili, sicché non solo
non vi è una ragione sistematica per differenziarle, ma ove una differenza fosse affermata, la
palese assenza di ragionevolezza che la caratterizzerebbe porrebbe con immediatezza evidenti
vizi di disparità ingiustificata di trattamento …” (così Sez. 6, n. 46202 del 02/10/2013, Serio,
Rv. 258155).
11.2. E’ possibile aggiungere, inoltre, che il motivo di ricorso afferente la pena proposto
nell’interesse di Aresu, Cientanni, Colocci, Donato, Lucchetto, Marzuoli, Piccione, Richetto,
Rinolfi e Stella non ha connotazioni “esclusivamente personali”, almeno nella parte accolta in
questa sede, perché censura la violazione del divieto di reformatio in peius in relazione ad un
criterio di determinazione della pena applicato in modo del tutto uniforme per tutti gli imputati
del presente processo.
11.3. Conseguentemente, l’aumento di pena relativo ai fatti di lesioni per gli imputati
BOGGIA, MASTROSIMONE, MATTEI, RUGOLINO, ZUANETTI e KUBANSKI, pur non essendo gli
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11. La medesima statuizione di annullamento con rinvio deve essere adottata anche nei

stessi ricorrenti sul punto, deve essere ridotto da trenta giorni a sette giorni di reclusione,
essendo cinque e non più venti gli episodi per i quali è pronunciata condanna.
11.4. Deve essere perciò pronunciata sentenza di annullamento senza rinvio anche nei
confronti dei predetti imputati con riferimento all’aumento di pena applicato per i reati di
lesioni, da calcolarsi in sette giorni (e non già in quindici giorni) di reclusione per ciascuno di
essi.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di KUBANSKI Andrea, STELLA
Cecilia, RINOLFI Anton Frankovitch e LUCCHETTO Francesca in ordine al capo 4) (art. 610
c.p.), per non aver commesso il fatto.
Annulla altresì la sentenza impugnata senza rinvio nei confronti di tutti i ricorrenti in
ordine all’aumento di pena per la continuazione con riferimento ai reati di lesioni personali.
Ridetermina per l’effetto la pena: – per LUCCHETTO, in otto mesi e ventidue giorni di
reclusione; – per KUBANSKI, STELLA e RINOLFI in otto mesi e sette giorni di reclusione
ciascuno; – per gli altri ricorrenti in otto mesi e sette giorni di reclusione ciascuno.
Rigetta nel resto i ricorsi.
Così deciso il 3 dicembre 2015

Il Consigliere estensore

President

P.Q.M.

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