Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19393 del 26/02/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 19393 Anno 2018
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: SCORDAMAGLIA IRENE

sul ricorso proposto da:
ABATE MIRKO nato il 10/01/1985 a SALERNO

avverso la sentenza del 07/12/2016 del GIUDICE DI PACE di AGROPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere IRENE SCORDAMAGLIA
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FELICETTA
MARINELLI
che ha concluso per
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto
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Data Udienza: 26/02/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con atto di impugnativa in data 19 dicembre 2016, Abate Mirko, imputato
dei delitti di cui agli artt. 594, 612 e 582 cod. pen., commessi in danno di Trezza
Anna in Ogliastro Cilento in data 25 agosto 2008, proponeva ricorso per cassazione
avverso la sentenza del Giudice di pace di Agropoli, che, in data 7 dicembre 2016,
preso atto della sua rinuncia alla prescrizione, aveva dichiarato non doversi

fatti contestati in parte non previsti dalla legge come reato e in parte non
costituenti reato, e aveva pronunciato assoluzione, ai sensi dell’art. 530, comma
2, cod. proc. pen., in relazione al delitto di cui all’art. 582 cod. pen..
2. Il ricorrente personalmente deduceva:
2.1. il vizio di motivazione da travisamento delle dichiarazioni rese dal
testimone Di Maio e dalla preterizione del contenuto di alcune audio registrazioni
acquisite al fascicolo del dibattimento, che sarebbero state in grado di dimostrare
l’insussistenza del fatto di minaccia ascrittogli o la non attribuibilità di questo alla
sua persona;
2.2. il vizio di violazione di legge, in relazione agli artt. 431, comma 1, lett.
a), 511, comma 4 e 336, cod. proc. pen., per avere il giudice erroneamente
utilizzato la querela a fini probatori rispetto al reato di cui al capo b) (art. 582,
cod. pen.).

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile.
1. Riconosciuta la legittimazione del ricorrente alla proposta impugnazione, in
forza dell’art. 37, comma 2, d.lgs. 274/2000 che consente all’imputato di
interporre ricorso per cassazione anche contro le sentenze di proscioglimento
pronunciate dal giudice di pace, deve darsi atto che, per affermata giurisprudenza
di questa Corte (Sez. U, n. 2451 del 27/09/2007 – dep. 16/01/2008, P.G. in proc.
Magera, Rv. 238195; Sez. 6, 20/11/2013, n. 49855, Filippi, Rv. 258029; Sez. 4,
n. 46849 del 03/11/2011, P.G. in proc. Di Carlantonio e altro, Rv. 252150),
sussiste l’interesse dell’imputato all’impugnazione della sentenza di assoluzione,
pronunciata con la formula ‘perché il fatto non costituisce reato’, al fine di ottenere
la più ampia formula liberatoria ‘perché il fatto non sussiste’, considerato che, a
parte le conseguenze di natura morale, l’interesse giuridico risiede nei diversi e
più favorevoli effetti che gli artt. 652 e 653 cod. proc. pen., connettono al secondo
tipo di dispositivi nei giudizi civili o amministrativi di risarcimento del danno e nel
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procedere in relazione ai reati di cui agli artt. 594 e 612 cod. pen., per essere i

giudizio disciplinare, a fronte degli effetti pregiudizievoli in tali giudizi derivanti
dall’adozione della prima formula assolutoria, salvo che il fatto reato non risulti, in
concreto, accertato nella sua materialità, e, pertanto, non sussista alcun
pregiudizio nella prospettiva di un successivo giudizio civile, stante la piena
autonomia di cognizione e di valutazione dell’organo investito del relativo giudizio
(Sez. 4, n. 22614 del 06/04/2017, Mastrandrea, Rv. 270205; Sez. 6, n. 6692 del
16/12/2014 – dep. 16/02/2015, P.G. e altro, Rv. 262393).

formalmente il solo elemento soggettivo del reato di minaccia (perché il fatto non
costituisce reato), tuttavia la motivazione della sentenza impugnata esclude la
sussistenza dello stesso elemento oggettivo del reato, per essere state ritenute le
espressioni ascritte all’imputato – una delle quali ‘scendi giù che ti faccio vedere
io’, peraltro neppure contestatagli nel capo di imputazione — prive di valenza
intimidatoria, rimanendo escluso, di conseguenza, ogni pregiudizio per
l’impugnante e, quindi, il suo stesso interesse al ricorso.
Nondimeno, al cospetto di siffatto percorso motivazionale, deve essere anche
ribadito il principio secondo il quale l’interesse dell’imputato all’impugnazione della
sentenza di proscioglimento al fine di ottenere la più ampia formula liberatoria,
deve essere riconosciuto soltanto allorquando egli deduca che l’accertamento del
fatto materiale oggetto del processo penale possa in concreto pregiudicare le
situazioni giuridiche soggettive a lui facenti capo in giudizi civili e amministrativi,
anche distinti rispetto a quelli di danno ovvero disciplinari (Sez. 4, n. 49710 del
04/11/2014, Di Cuonzo, Rv. 261178); sicchè, a tanto non essendosi adempiuto
da parte del ricorrente, l’impugnativa deve considerarsi inammissibile.
Ad ogni buon conto deve darsi atto che il ricorrente deduce vitia motivationis
(da travisamento di dichiarazioni o da omessa considerazione di documenti) senza,
tuttavia, addurre elementi dotati di univoca decisività, tali da disancorare la tenuta
complessiva dell’impianto argomentativo, così da pretendere una rivalutazione dei
fatti e delle prove non consentita al giudice di legittimità.
2. Quanto all’assoluzione pronunciata con riferimento al delitto di cui all’art.
582 cod. pen. con la formula «perché le prove raccolte non sono sufficienti a
giustificarne la condanna», ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen., può
farsi applicazione del principio di diritto enunciato dalla giurisprudenza civile di
questa Corte a mente del quale, ai sensi dell’art. 652 (nell’ambito del giudizio civile
di danno) e dell’art. 654 (nell’ambito di altri giudizi civili) cod.proc.pen., il giudicato
di assoluzione ha effetto preclusivo nel giudizio civile solo quando contenga un
effettivo e specifico accertamento circa l’insussistenza o del fatto o della
partecipazione dell’imputato e non anche quando l’assoluzione sia determinata
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Nel caso di specie, pur essendovi stata assoluzione con formula che esclude

dall’accertamento dell’insussistenza di sufficienti elementi di prova circa la
commissione del fatto o l’attribuibilità di esso all’imputato (Sez. 3 Civ., n. 4764
del 11/03/2016, T.M.F. ed altri contro B.A. ed altro, Rv. 639372 – 01). Donde
anche in questo caso non è ravvisabile alcun interesse all’impugnazione proposta.
4. Le superiori considerazioni esimono questa Corte dall’esaminare le residue
censure e impongono la declaratoria di inammissibilità del ricorso e la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento e della somma di Euro

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese di procedimento e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.

Così deciso il 26/02/2018.

Il Consigliere estensore

2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

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