Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19393 del 13/12/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 19393 Anno 2017
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
D’AMICO CARMELA N. IL 14/12/1976
ABBAGNARA MARIANO N. IL 02/05/1997
avverso l’ordinanza n. 3663/2016 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
12/07/2016
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA
SILVIO BONITO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.
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Data Udienza: 13/12/2016

La Corte, ritenuto in fatto e considerato in diritto

1. Con ordinanza del 12 luglio 2016 il Tribunale di Napoli, adito ai
sensi dell’art. 309 c.p.p., rigettava le istanze di riesame proposte da
D’Amico Carmela ed Abbagnara Mariano avverso la misura
cautelare della custodia in carcere in loro danno disposta dal GIP
del tribunale partenopeo, il precedente 25 maggio, perché
gravemente indiziati, entrambi, del reato di cui all’art. 416-bis c.p.
e, la sola D’Amico altresì, dei reati di cui agli artt. 74 e 73 dpr.
309/1990 aggravati ai sensi dell’art. 7 1. 203/1991 (rispettivamente
capi 1, 2 e 50 della rubrica provvisoria; il provvedimento in esame
non porta la indicazione né del luogo né del tempo dei commessi
reati).
1.2 A sostegno della decisione, confermando analoga valutazione
del giudice di prime cure, il tribunale richiamava, per la D’Amico,
l’attività di spaccio svolta dalla stessa insieme a tale Fico Wagner
presso la cittadina via Callas, piazza di spaccio gestita dal clan
omonimo; le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Grandulli,
Favarolo e Lauria, concordi nell’indicarla come incaricata di
acquistare la droga dai fornitori; i suoi legami familiari con le figure
apicali del clan D’Amico. Per Abbagnara Mariano il tribunale
osservava invece che la difesa aveva essenzialmente opposto la
incompetenza funzionale del giudice ordinario giacché minorenne
l’indagato al momento dei fatti contestatigli, eccezione infondata,
ad avviso del giudice territoriale, giacchè il reato permanente del
quale il predetto è accusato risulta commesso anche dopo il
raggiungimento della maggiore età. Quanto, infine, alla gravità
indiziaria a carico dell’indagato, si limitava il tribunale ad un
generico rimando “al materiale probatorio in atti” ed alle
“numerose conversazioni intercettate negli anni 2014/2015”,
dimostrative, per i giudicanti, delle attività illecite commesse per
conto del clan.
2. Ricorrono per l’annullamento dell’impugnata ordinanza entrambi
i predetti indagati, assistita dal difensore di fiducia, la D’Amico,
personalmente l’ Abbagnara.
2.1 Per la D’Amico la difesa ricorrente sviluppa due motivi di
impugnazione.
2.1.1 Col primo di essi denuncia il difensore violazione dell’art. 192
commi 3 e 4 c.p.p. e vizio della motivazione sul punto, in
particolare osservando: la motivazione a carico dell’indagata poggia
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sul generico richiamo a dichiarazioni collaborative, chiamate in
correità quelle del Favarolo e del Lauria, de relato quelle della
Grandulli; tali dichiarazioni si caratterizzano per la loro
contraddittorietà e per contenuti per nulla coerenti con le
conclusioni immotivatamente assunte dal tribunale; il Favarolo
infatti non ha mai indicato la piazza specifica di spaccio della
D’Amico, le ha attribuito una piena indipendenza dal clan e la
operatività dello spaccio in proprio (per il collaborante la prevenuta
non versava nulla al clan); il Lauria ha confermato l’autonomia
operativa dell’indagata, ha indicato in tale La Rocca Anna la
complice fidata utilizzata nell’attività di spaccio ed ha precisato i
luoghi della condotta senza mai menzionare quella di cui all’accusa
(via Callas); le dichiarazioni collaborative, pertanto, non si
riscontrano affatto vicendevolmente avendo contenuti del tutto
eterogenei e diversi, né tampoco sono riscontrate dalle dichiarazioni
de relato di Grandulli Maria, genericamente assertive di notizie,
comunque non corrispondenti all’ipotesi accusatoria, avute da una
sorella, a sua volta informata da altra sorella; anche le richiamate
intercettazioni nulla provano a carico dell’indagata; in primo luogo
trattasi di una sola intercettazione ambientale, quella del 22.3.2014,
dove si nomina una “Carmela” che avrebbe tagliato male la droga;
l’abitazione dell’intercettazione era frequentata anche da altra
Carmela, Carmela Ercolani, sorella di esponente apicale del gruppo,
Salvatore Ercolani, direttamente interessato ai traffici di
stupefacente, né il provvedimento impugnato motiva le ragioni per
le quali l’intercettazione farebbe riferimento all’indagata e non ad
altri.
2.1.2 Col secondo motivo di impugnazione la difesa ricorrente
denuncia violazione di legge e vizio della motivazione in relazione
all’accusa di cui all’art. 416-bis c.p., sostenuta esclusivamente su
una pretesa prova logica secondo la quale, in quanto familiare dei
D’Amico, l’indagata sarebbe sodale inserita nel clan, ancorchè in
tale qualità mai indicata da alcun collaboratore e neppure da Sarpa
Anna, moglie di D’Amico Giuseppe, la quale pure ha accusato in
correità tutte le cognate ad eccezione della indagata.
2.2.1 Abbagnara Mariano, da parte sua, sviluppa un solo motivo di
impugnazione, con esso denunciando violazione di legge e vizio
della motivazione, in particolare osservando: la motivazione
impugnata si caratterizza per un acritico e generico richiamo della
motivazione di prime cure; non risultano provate condotte
dell’indagato successive al compimento del diciottesimo anno di
età, circostanza che conferma la fondatezza della proposta
eccezione di incompetenza funzionale del giudice ordinario in
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3. Entrambi i ricorsi sono fondati, nei limiti che si passa ad esporre,
giacchè palesemente generiche le motivazioni impugnate sia in
riferimento alla posizione processuale della D’Amico che
dell’Abbagnara.
3.1 Per la D’Amico il difensore ha esibito i verbali dichiarativi dei
tre collaboratori richiamati in motivazione, dimostrando che gli
stessi concordano su un solo profilo in fatto, quello per il quale
l’indagata spacciava droga. Concordano altresì i due collaboratori
non de relato (Favarolo e Lauria) sulla ulteriore circostanza che la
D’Amico spacciava in proprio, senza alcun collegamento
significativo col clan omonimo, al quale infatti, secondo tale
versione, nulla versava. Sulle modalità dello spaccio e sui luoghi
della piazza ove esso avveniva l’ipotesi accusatoria non gode quindi
di alcuna conferma da parte delle dichiarazioni collaborative.
Di qui, ad avviso della Corte, la palese mancanza di motivazione e
la sua apparenza là dove sviluppata a sostegno della ricorrenza di
una apprezzabile gravità indiziaria delle accuse associative, in
concreto riscontrabile esclusivamente in relazione alla condotta di
spaccio (peraltro difensivamente non contestata).
In riferimento poi, in particolare, a quella riferibile all’art. 416-bis
c.p., va censurata la tesi secondo cui il vincolo familiare, di per sé,
comproverebbe la partecipazione associativa. Il vincolo familiare,
al più, integra dato indiziario, l’unico indicato dalla motivazione,
posto che la significatività dell’attività di spaccio, in quanto provata

favore di quello per i minorenni; l’unico episodio specifico
richiamato in motivazione illustrativo di una pretesa condotta
associativa dell’indagato si risolve in un palese travisamento,
giacché la distruzione della telecamera istallata dalla P.G. presso
una piazza di spaccio è riferibile non già all’indagato ma a Sacco
Salvatore in concorso con Castaldi Cito, come da allegata copia di
sentenza di condanna.
2.2.2 Nell’interesse dell’Abbagnara, in data 6 dicembre 2016,
risulta depositata memoria difensiva, sottoscritta dal difensore di
fiducia e, separatamente, documentazione tratta dall’ordinanza
cautelare del GIP. Con esse la difesa ribadisce la tesi secondo cui
tutte le fonti indiziarie indicate dal giudice della cautela,
partitamente indicate ed elencate, risultano rappresentative di
circostanze maturate prima del compimento della maggiore età da
parte dell’indagato, da ciò desumendo la fondatezza della eccezione
sulla incompetenza funzionale del giudice ordinario in favore di
quello per i minorenni.

in termini del tutto diversi da quelli rubricati, non può validamente
essere richiamata come ulteriore fonte indiziaria a carico.
Per la D’Amico, in conclusione, non risulta adeguatamente
argomentata la ricorrenza di un adeguato quadro probatorio circa le
contestate partecipazioni associative, quadro probatorio, giova
ribadirlo, viceversa riscontrabile per il reato di cui al capo sub n.
50) della rubrica, relativa all’attività di spaccio.
Il ricorso della ricorrente va pertanto rigettato a tale riguardo, tenuto
conto della circostanza che, come rilevato dal giudice del riesame,
per tale condotta la difesa ha semplicemente richiesto l’applicazione
di una misura meno afflittiva e che essa condotta, consumata con
Fico Wagner, è stata ritenuta logicamente provata in forza delle
conversazioni intercettate, puntualmente riportate nell’ordinanza
dispositiva della misura.
3.2 Venendo ora all’esame dell’impugnazione proposta
nell’interesse dell’Abbagnara, va dichiarata in primo luogo
infondata l’eccezione di incompetenza funzionale dall’interessato
illustrata in sede di merito e qui riproposta, giacchè la contestazione
fa riferimento a reato permanente, quale è il reato di cui all’art. 416bis c.p., con prosecuzione temporale oltre la maggiore età e perché
irrilevante la circostanza che, oltre la partecipazione associativa,
non siano provate condotte specifiche commesse dopo il
diciottesimo anno di età.
E’ infatti noto che spetta al giudice ordinario la competenza a
conoscere del delitto di natura permanente allorché la condotta
criminosa, benché iniziata quando l’imputato era ancora minorenne,
si sia protratta fino ad epoca successiva al raggiungimento della
maggiore età, trattandosi di una fattispecie di reato unica non
suscettibile di frazionamenti (principio consolidato, da ultimo: Sez.
6, n. 14995 del 12/02/2013, Rv. 255840; Conformi: N. 3277 del
1997 Rv. 208323, N. 37982 del 2004 Rv. 229738, N. 7057 del 2006
Rv. 234067, N. 9117 del 2011 Rv. 249617, N. 36570 del 2012 Rv.
253394, N. 14995 del 2013 Rv. 255840).
Quanto all’assenza di prove specifiche di reati fine e comunque di
condotte comprovanti partecipazione attiva all’associazione
temporalmente collocabili in epoca successiva al compimento della
maggiore età, appare utile richiamare anche in questo caso il
costante insegnamento della corte, fissato dalla nota sentenza delle
SS.UU., Mannino (n. 33748 del 12/07/2005, Rv. 231673) secondo
cui, in tema di associazione di tipo mafioso, la condotta di
partecipazione è riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e
organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio,
tale da implicare, più che uno “status” di appartenenza, un ruolo
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dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l’interessato
“prende parte” al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione
dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi. (In
motivazione la Corte ha osservato che la partecipazione può essere
desunta da indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili
regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della
criminalità di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi la
appartenenza nel senso indicato, purché si tratti di indizi gravi e
precisi – tra i quali, esemplificando, i comportamenti tenuti nelle
pregresse fasi di “osservazione” e “prova”, l’affiliazione rituale,
l’investitura della qualifica di “uomo d’onore”, la commissione di
delitti-scopo, oltre a molteplici, e però significativi “facta
concludentia” -, idonei senza alcun automatismo probatorio a dare
la sicura dimostrazione della costante permanenza del vincolo, con
puntuale riferimento, peraltro, allo specifico periodo temporale
considerato dall’imputazione).
Ebbene, nel caso in esame, la tesi difensiva è nel senso che dopo la
maggiore età nulla abbia commesso di penalmente rilevante
l’indagato, il quale peraltro le condotte riferibili all’associazione
avrebbe comunque consumato in precedenza, di guisa che, in
assenza di atteggiamenti di discontinuità e significativa presa di
distanza rispetto alla pregressa condotta, continua il deducente ad
essere partecipe dell’associazione stessa perché comunque a
disposizione di essa, dalla quale non risulta provato si sia mai
dissociato (Cass., sez. 5, n. 6882 del 6.11.2015, rv. 266064).
Nel merito invece, deve prendersi atto che l’ordinanza impugnata,
quanto alla gravità indiziaria a sostegno dell’accusa, richiama
genericamente “numerose conversazioni intercettate”, delle quali
nulla dice né sui tempi né sui contenuti, ed “il materiale probatorio
in atti”.
Giova allora rammentare che in tema di motivazione delle
ordinanze cautelari personali, la previsione di “autonoma
valutazione” delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di
colpevolezza, introdotta all’art. 292, comma primo, lett.c), cod.
proc. pen. dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, impone al giudice di
esplicitare le ragioni per cui egli ritiene di poter attribuire, al
compendio indiziario, un significato coerente all’integrazione dei
presupposti normativi per l’adozione della misura e non implica,
invece, la necessità di una riscrittura “originale” degli elementi
indizianti o di quelli riferiti alle esigenze cautelari. In tal senso Sez.
5, n. 11922 del 02/12/2015, Rv. 266428, la quale ha però precisato
che è legittima la motivazione “per relationem” soltanto quando
risponda ai predetti parametri decisionali di ordine normativo,
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Trasmessa copia ex art. 23
n. i ter L. 8-8-95 n. 332
soma, lì

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4. L’ordinanza, in conclusione, va cassata integralmente nei
confronti di Abbagnara Mariano e, limitatamente ai delitti
associativi, nei confronti di D’Amico Carmela, con rinvio al giudice
territoriale affinché, in piena libertà di giudizio, provveda ad un
nuovo esame delle istanze difensive alla luce dei rilievi innanzi
illustrati. Il ricorso della D’Amico va rigettato nel resto.
P. Q. M.

la Corte, annulla l’ordinanza impugnata nei confronti di Abbagnara
Mariano e, limitatamente ai delitti associativi, nei confronti di
D’Amico Carmela e rinvia per nuovo esame con integrale
trasmissione degli atti al Tribunale di Napoli in funzione di giudice
del riesame. Rigetta nel resto il ricorso della D’Amico.
DISPONE trasmettersi a cura della cancelleria, copia del
provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario ai sensi
dell’art. 94, comma 1 ter, disp. att. c.p.p..
Roma, addì 13 dicembre 2016

mentre devono ritenersi non corrispondenti all’obbligo di
“autonoma valutazione”, oltre alle motivazioni “graficamente
assenti”, quelle caratterizzate da un percorso motivazionale
sostanzialmente mancante o meramente apparente, ipotesi
palesemente ricorrente nel caso di specie.
La motivazione, inoltre, valorizza un solo episodio specifico,
l’abbattimento, da parte dell’indagato, di una telecamera installata
dalla P.G., del quale la difesa ha provato la riferibilità ad altri con
sentenza di condanna allegata al ricorso.

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