Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19387 del 13/12/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 19387 Anno 2017
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: SIANI VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RANNESI GIROLAMO N. IL 09/02/1962
avverso l’ordinanza n. 790/2015 TRIB. SORVEGLIANZA di
SASSARI, del 15/10/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO SIANI;
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Data Udienza: 13/12/2016

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento in epigrafe, reso il 15 ottobre – 11 novembre 2015,
il Tribunale di sorveglianza di Sassari ha rigettato l’istanza proposta il 19 maggio
2015 da Girolamo Rannesi, all’epoca detenuto nella Casa circondariale di Nuoro,
per l’accertamento positivo della sussistenza dell’impossibilità da parte sua di
prestare un’utile collaborazione in relazione alle sentenze di condanna per le
quali era stato emesso il provvedimento di esecuzione di pene concorrenti n.

3/2015 SIEP del 21 gennaio 2015.

2. Avverso il provvedimento ha interposto ricorso il difensore del Rannesi
chiedendone l’annullamento sulla base del seguente motivo.
Il provvedimento era viziato da violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed
e), cod. proc. pen., in relazione al disposto degli artt. 4-bis, comma 1-bis, e 58ter Ord. pen., non essendosi il Tribunale – nel valutare la fattispecie di
impossibilità ed inesigibilità del contributo collaborativo – uniformato ai principi
di diritto operanti in materia che avrebbero dovuto indurlo a non travalicare i
limiti dei fatti concreti per i quali il Rannesi era stato imputato e poi condannato.
Non attenendosi a tale principio il Tribunale aveva fatto carico al ricorrente:
di non aver collaborato al fine dell’accertamento di canali di approvvigionamento
delle sostanze stupefacenti con riferimento a fatti che non erano stati oggetto di
accertamenti ed indagini specifiche, onde acquisire contributi per fatti che non
avevano costituito oggetto di indagine; di non aver cooperato in ordine ai reati in
materia di armi, però con riguardo a situazioni di fatto non meglio specificate e,
dunque, generiche; di non aver collaborato per il ritrovamento dell’arma con cui
era stato compiuto l’omicidio Marino, basandosi però sull’affermazione dubitativa
formulata nel relativo processo di cognizione da Giuseppe Grazioso, non
considerando che, non trattandosi di fatto accertato in modo sicuro, il riferimento
era costituito da una situazione connotata da perplessità di fondo sulla sua
effettiva sussistenza storica e, dunque, inidonea allo scopo perseguito.

3. Il Procuratore generale ha prospettato la declaratoria di inammissibilità o,
in subordine, il rigetto del ricorso, atteso che le censure articolate dal ricorrente
non paiono scalfire la sostanza della motivazione resa dal Tribunale, da ritenersi
congrua, essendosi specificato nel provvedimento che, con riferimento ai due
sodalizi di appartenenza (associazione mafiosa e associazione dedita allo spaccio
di stupefacenti), sussistevano tutti i presupposti concreti per l’effettiva possibilità
della sua collaborazione, tenuto conto della funzione da lui in concreto svolta
nelle suddette organizzazioni, per cui non illogico era concludere che il Rannesi

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avrebbe

potuto

apportare

un

contributo

utile

sulla

specificazione

dell’articolazione dei sodalizi, sui ruoli rivestiti dagli associati al loro interno,
nonché sull’impiego e sulla destinazione delle armi usate nei vari delitti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. L’impugnazione si appalesa manifestamente infondata e, pertanto, va

2. E’ da premettere che il Tribunale, sulla deduzione del Rannesi circa
l’avvenuto completo disvelamento dei fatti con le sentenze relative ai fatti
associativi di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 e di cui all’art. 416 bis cod.
pen., anche in considerazione del gran numero di collaboratori (compresi
Giuseppe Pulvirenti, il suocero dell’istante ed altri congiunti) che avevano chiarito
le corrispondenti circostanze e le relative responsabilità, sicché altro contributo
cognitivo egli non avrebbe potuto apportare non avendo, peraltro, mai assunto
un ruolo di vertice nel clan, ha indicato la posizione dell’istante come quella di
persona che aveva fatto parte dell’associazione di stampo mafioso capeggiata da
Giuseppe Pulvirenti operante nelle località siciliane di Belpasso e Nicolosi e poi
Misterbianco, ed altre ancora fino ad alcuni quartieri di Catania.
E’ rilevante ricordare anche che i Giudici specializzati, illustrati l’orbita e lo
spessore criminale della suddetta cosca, hanno aggiunto che, se poteva
sostanzialmente convenirsi sul ruolo non di vertice giocato dal Rannesi
nell’associazione mafiosa e nei fatti delittuosi dalla stessa propugnati e da lui
commessi, doveva in pari tempo rilevarsi come nell’ambito dell’associazione
dedita allo spaccio di stupefacenti la funzione del medesimo fosse stata descritta
come la più attiva e dinamica del gruppo, ed hanno osservato ulteriormente che:
in materia di reati relativi alle armi la conoscenza del Rannesi era da ritenersi
certamente idonea a fornire elementi sul luogo in cui le stesse (non ritrovate)
erano custodite, anche con riguardo all’omicidio Marino, in quanto il fucile
utilizzato per la relativa azione di fuoco era stato dal Rannesi consegnato
all’esecutore Aldo Navarria, il quale l’aveva riconsegnato al suocero del Rannesi,
Giuseppe Grazioso, che, a sua volta, al momento della sua collaborazione, aveva
condotto gli inquirenti sul luogo della custodia, senza che l’arma venisse
rinvenuta, per cui il Grazioso aveva paventato che fosse stato proprio il Rannesi
a spostarla; nella consorteria criminale, il Rannesi risultava comunque cooptato
in un ambito di rilievo, anche perché aveva sposato la figlia del genero del
capoclan Giuseppe Pulvirenti; erano accertati i rapporti anche di ordine
cooperativo criminale con Santo Mazzei, con cui era stato “battezzato” ed

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dichiarata inammissibile, ex art. 606, comma 3, cod. proc. pen..

insieme al quale poi era stato arrestato mentre erano armati, personaggio – il
Mazzei – di rilievo nella tessitura dei rapporti fra il clan Pulvirenti ed altre
organizzazioni criminali, fatto che confermava la conoscenza da parte dell’istante
delle dinamiche criminali anche esorbitanti dalla sfera del clan di appartenenza;
dalla valutazione della complessiva situazione derivava la conclusione che il
Rannesi non era affatto nell’impossibilità pratica di fornire contributi collaborativi.

3. Puntualizzato l’ambito fattuale e comportamentale valutato nel

ordine alla verifica del superamento delle condizioni ostative alla fruizione di
determinati benefici stabilite dal combinato disposto della I. 26 luglio 1975, n.
354, art. 4-bis e art. 58-ter I 12 luglio 1991, n. 203, art. 2, è necessario che
nell’istanza il condannato prospetti, almeno nelle linee generali, elementi specifici
circa l’impossibilità o l’irrilevanza della sua collaborazione tanto da consentire il
superamento delle condizioni ostative all’esame del merito (alla luce dei principi
espressi nelle sentenze n. 306 del 1993, 357 del 1994 e 68 del 1995 della Corte
costituzionale, oltre che da Sez. U, n. 14 del 30/06/1999, Ronga, Rv. 214356),
non potendo non ritenersi che solo in tal caso è possibile valutare se la
collaborazione del condannato sia impossibile perché fatti e responsabilità sono
già stati completamente acclarati, o irrilevante perché la posizione marginale
nell’organizzazione criminale non consente di conoscere fatti e compartecipi
pertinenti a livello superiore, avendo come costante ed esclusivo riferimento, per
il rispetto del principio del contraddittorio e del diritto di difesa, i fatti contestati
nei giudizi di merito e le responsabilità individuali definitivamente accertate
ovvero escluse (v. in motivazione Sez. 1, 14/04/2011, n. 40130, Burcheri, n.
m.; Sez. 1, 12/02/2008, n. 18658, Sanfilippo, Rv. 240177).
Ribadito ciò, è da rilevare che la verifica concreta operata dal Tribunale di
Sorveglianza di Sassari non si profila aver decampato dai binari fissati dagli
indicati principi, avendo i Giudici di merito puntualizzato in modo logico ed
ancorato a riferimenti processuali e fattuali specifici le ragioni che – sia con
riferimento alle condanne riportate dal Rannesi per i delitti associativi ex art. 416
bis cod. pen. ed ex art. 74 d. Igs. n. 309 del 2990, sia con riferimento alla
condanna in materia di armi, sia con riferimento alle peculiarità della posizione
del Rannesi sempre per come riferibile ai fatti oggetto delle “numerose sentenze
di condanna” emesse a suo carico – fanno propendere con certezza per l’elevato
grado di intraneità del ricorrente ai rispettivi contesti associativi e malavitosi e,
più in generale, per l’evenienza di una sicura conoscenza da parte sua delle
dinamiche criminali relative alla sfera del clan di appartenenza ed anche ulteriori
rispetto ad essa.

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provvedimento impugnato, il Collegio conferma che, in punto di principio, in

Rispetto a tale dettagliata indicazione di situazioni specifiche afferenti alla
sfera del Rannesi, si profila

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chiaro che il Tribunale, avendo

argomentato in tema di fatti legati alla sua assodata appartenenza alle due
associazioni ed alla sua partecipazione anche a reati fine specifici e gravi, ivi
inclusi fatti omicidiari, non ha tratto una conclusione contraria al disposto degli
artt. 4-bis, comma 1-bis, e 58-ter I. n. 354 del 1975, né tantomeno illogica o
contraddittoria, stabilendo che sussisteva senz’altro materia per contributi
collaborativi ulteriori rispetto a quelli acquisiti da altri soggetti provenienti dallo

fornire un suo originale contributo collaborativo suscettibile di rilievo, sicché
l’assunto del Rannesi circa la dedotta inesigibilità della collaborazione risulta
obiettivamente non sostenibile e manifestamente privo di fondamento.

4. Alla stregua delle svolte considerazioni il ricorso deve essere dichiarato
inammissibile stante la sua manifesta infondatezza; dal ché consegue, ai sensi
dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
del procedimento e – per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione
(Corte cost., sent. n. 186 del 2000) – di una somma in favore della cassa delle
ammende nella misura che, in ragione dell’insieme delle questioni dedotte e
valutato il contenuto dei motivi, si stima equo determinare in euro 1.500,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.500,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 13 dicembre 2016

stesso ambiente e che il ricorrente non era affatto nell’impossibilità pratica di

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