Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19385 del 13/12/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 19385 Anno 2017
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: SIANI VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PICCOLO GAETANO N. IL 26/01/1959
avverso l ‘ ordinanza n. 1887/2013 TRIB. SORVEGLIANZA di
NAPOLI, del 04/11/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO STANI;
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Data Udienza: 13/12/2016

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RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento in epigrafe, reso il 4 – 12 novembre 2014, il
Tribunale di sorveglianza di Napoli, decidendo sull’appello proposto da Gaetano
Piccolo (detenuto dal 10 luglio 2007 in espiazione di pene riportate con condanne
per concorso in omicidio aggravato, violazione della legge sulle armi, diverse
estorsioni aggravate ex art. 7 I. n. 203 del 1991 ed altro) avverso l’ordinanza
emessa dal Magistrato di sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere in data 14
gennaio 2013 con cui aveva dichiarato il Piccolo delinquente abituale e gli aveva

applicato la misura di sicurezza della casa di lavoro per anni due, ha rigettato
l’appello, delibando negativamente le due doglianze articolate dall’appellante: la
prima, riguardante l’incompetenza territoriale del Magistrato di sorveglianza che
aveva reso il provvedimento, in ragione del fatto che egli era detenuto a Novara,
dunque fuori dalla circoscrizione di Santa Maria Capua Vetere, già all’atto
dell’avvio del presente procedimento, e, la seconda, attinente al merito, per
dedotta mancanza della pericolosità sociale.

2. Avverso il provvedimento ora indicato ha interposto ricorso il Piccolo
chiedendone la declaratoria di nullità.
A sostegno dell’impugnazione il ricorrente, con unico motivo, ha lamentato
la violazione di legge inerente alla violazione del criterio di competenza
territoriale, essendo egli detenuto nel carcere di Novara già all’atto dell’istanza,
per cui il Magistrato di sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere non era dotato
di competenza ad emettere il provvedimento che era stato poi gravato di
appello, senza che il Tribunale di sorveglianza di Napoli avesse accolto la sua
doglianza, come avrebbe dovuto fare, perché la nullità integrata dall’emissione
del primo provvedimento da parte di giudice territorialmente incompetente era di
carattere generale a regime intermedio, deducibile – e dedotta – con l’atto di
impugnazione.
Secondo il ricorrente, l’avere il Magistrato di sorveglianza proceduto a
trattare il procedimento e l’averlo definito in carenza di competenza aveva dato
luogo ad un atto abnorme che aveva finito per inficiare anche il provvedimento
del Giudice di appello.

3.

LAI•

Il Procuratore generale ha chiesto l’annullamento senza rinvio del

provvedimento impugnato relativamente all’affermazione della propria
competenza e la disposizione di trasmissione degli atti al Tribunale di
sorveglianza di Novara in ordine alla decisione sulla proposta impugnazione.
Sulla natura della competenza in esame, l’Autorità requirente, esposti

2

dettagliatamente i due orientamenti assunti, alternativamente, dalla
giurisprudenza con riferimento a quella della magistratura di sorveglianza,
orientamenti rispettivamente attestati sulla competenza territoriale, da un lato, e
sulla competenza funzionale, dall’altro, ha sollecitato l’adesione alla seconda
alternativa, con l’effetto che tale competenza dovrebbe ritenersi inderogabile ed
il vizio sarebbe da rilevare anche di ufficio in ogni stato e grado.
A completamento viene evidenziato dal Procuratore generale il fatto che nel
caso di specie il detenuto è anche a regime ex art. 41 bis Ord. pen.. il ché

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La questione di competenza sollevata dal Piccolo con il ricorso è da
stimarsi, in primo luogo, ammissibile ed, in secondo luogo, fondata, con le
conseguenze che ne derivano.

2. Il Tribunale, per addivenire all’approdo reiettivo, ha preso in esame le due
doglianze sollevate dall’appellante, in ordine all’incompetenza territoriale del
Magistrato dì sorveglianza e poi in ordine al merito ed ha osservato, in
particolare, che: sul primo punto, la questione era preclusa in forza del disposto
dell’art. 21 cod. proc. pen., norma che abilitava la parte a sollevare l’eccezione di
incompetenza per territorio prima della conclusione dell’udienza preliminare ed,
in mancanza di questa udienza, nel termine previsto dall’art. 491, comma 1, cod.
proc. pen., vale a dire subito dopo aver compiuto per la prima volta
l’accertamento della costituzione delle parti, che nel procedimento di

sorveglianza era da reputarsi equivalesse alla prima udienza di trattazione;
invece, nel presente caso la questione di competenza territoriale non era stata
sollevata in primo grado, ma con l’atto di impugnazione; nel merito doveva
ritenersi rilevante il dato per cui il decreto ministeriale di sottoposizione del
Piccolo al regime di cui all’art. 41 bis I. n. 354 del 1975 dava atto che questi era
inserito nel clan Belforte o Mazzacane, organizzazione camorristica tuttora
operante in Marcianíse, mentre poi l’informativa della Questura del 3 novembre
2014 segnalava che il Piccolo era da considerarsi elemento di vertice di tale
organizzazione e persona pericolosissima per la sicurezza pubblica, tenuto anche
conto che la persistente operatività del clan era confermata dall’ordinanza di
custodia cautelare emessa dal G.i.p. del Tribunale di Napoli n. 501/14 eseguita
dalla locale Squadra Mobile il 3 novembre 2014 nei confronti di alcuni suoi
esponenti per associazione mafiosa ed altri delitti aggravati dalla finalità di
agevolare l’associazione stessa.

3

corroborerebbe la natura funzionale della competenza.

3. Il Collegio ritiene che l’interpretazione orientata ad inquadrare la
competenza territoriale del Tribunale e del Magistrato di sorveglianza come
attratta nell’ambito di quella funzionale (o territoriale inderogabile) si appalesi
più persuasiva.
3.1. Il quadro normativo primariamente rilevante è costituito dal’art. 677
cod. proc. pen. al lume del quale, la competenza in questione, rubricata come
competenza per territorio ed avente ad oggetto le materie attribuite alla

sorveglianza che hanno giurisdizione sull’istituto di prevenzione o di pena in cui
si trova l’interessato all’atto della richiesta, della proposta o dell’inizio di ufficio
del procedimento, con la specificazione che, quando l’interessato non è detenuto
o internato, la competenza, se la legge non dispone diversamente, appartiene al
tribunale o al magistrato di sorveglianza che ha giurisdizione sui luogo in cui
l’interessato ha la residenza o il domicilio.
La norma stabilisce anche che, se la competenza non può essere
determinata secondo il criterio sopra indicato, essa appartiene al tribunale o al
magistrato di sorveglianza del luogo in cui fu pronunciata la sentenza di
condanna, di proscioglimento o di non luogo a procedere, e, nel caso di più
sentenze di condanna o di proscioglimento, al tribunale o al magistrato di
sorveglianza del luogo in cui fu pronunciata la sentenza divenuta irrevocabile per
ultima.
Deve aggiungersi che, per uno specifico settore della materia penitenziaria,
ossia per il procedimento di disposizione e di proroga del regime detentivo
differenziato regolato dal comma 2 dell’art. 41 bis Ord. pen., alla stregua del
comma 2-quinquies della stessa norma, il detenuto o l’internato nei confronti del
quale è stata disposta o prorogata l’applicazione del regime di cui si tratta,
possono proporre reclamo avverso il provvedimento applicativo, reclamo su cui è
competente a decidere il tribunale di sorveglianza di Roma.
3.2. Va anche precisato che, con riguardo al criterio principale fissato per
individuare la competenza, ossia il luogo dell’istituto di prevenzione o di pena in
cui si trova l’interessato al momento della proposizione dell’atto introduttivo del
procedimento di sorveglianza, esso viene correlato al luogo di espiazione della
pena, all’evidente fine di agevolare i rapporti con l’istituto in cui interviene
l’espiazione, fonte essenziale di dati e notizie sui soggetti sottoposti al
trattamento rieducativo, mentre non si ritiene ordinariamente rilevante il luogo
in cui la presenza del detenuto o dell’internato sia determinata da esigenze di
giustizia meramente transitorie e non si protragga per un lasso apprezzabile.
Viene infatti affermato che la previsione normativa è nel senso che ai fini

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magistratura di sorveglianza, appartiene al tribunale o al magistrato di

dell’individuazione della competenza deve aversi riguardo al luogo in cui “si
trova” l’interessato al momento della richiesta, essendo necessaria l’esistenza di
rapporto caratterizzato da apprezzabile stabilità tra il detenuto e l’istituto di
assegnazione, rimanendo escluso che possa assumere rilevanza la mera
presenza fisica dell’interessato in qualsiasi istituto, determinata da ragioni di
mera occasionalità, come quelle costituite dai passaggi in transito per ragioni di
giustizia: invero, queste ultime condizioni appaiono prive di quel minimum di
stabilità necessaria per permettere agli organi competenti un rapporto con il

per l’impostazione della fase trattamentale (v., fra le altre, Sez. 1, n. 43517 del
19/09/2013, Parabita, Rv. 257172; Sez. 1, n. 11069 del 10/03/2010, Ambesi,
Rv 246791).
Traspare da questo condivisibile orientamento la necessità ermeneutica di
individuare nei criteri attributivi della competenza quella determinatezza
sufficiente a renderli strumento idoneo a fungere da presidio della garanzia
normativa del giudice naturale, teleologicamente volto ad assicurare il risultato
più proficuo del procedimento di sorveglianza, l’oggetto del quale è costituito
dalla valutazione diagnostica e prognostica comportamentale della personalità
dell’interessato nelle migliori condizioni di conoscibilità del medesimo.
Nel contempo l’opzione normativa mira a comprimere il rischio di accesso a
viziate applicazioni o strumentalizzazioni della norma stessa, esito maggiormente
perseguibile quando si acceda a modelli procedimentali caratterizzati da
preclusioni.
Alla stregua di questi obiettivi si coglie la ragione per la quale l’ordinamento
ha, con ogni ragionevolezza, fissato il criterio della massima prossimità al luogo
di vita dell’interessato per stabilire il giudice di sorveglianza competente, come
dimostra anche l’individuazione del criterio della residenza e del domicilio al fine
del radicamento della competenza per il procedimento di sorveglianza in ipotesi
di soggetto non detenuto.
E’ intuitivo che – in questa materia molto importante e delicata, siccome
attinente all’esecuzione della pena detentiva ed, in ogni caso, all’impostazione ed
alla verifica della proficua realizzazione del percorso emendativo che, per dettato
costituzionale, si deve ad essa coordinare – ogni spazio lasciato a pratiche di
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nell’individuazione dell’ufficio di sorveglianza competente

costituisce un potenziale limite alla funzionale gestione della fase esecutiva e
dello stesso iter trattamentale.
Opera, poi, come si desume dalla lettera stessa della disposizione, il
principio generale della perpetuati° iurisdictionis.
3.3. Venendo al punto della natura della competenza e, quindi, del limite

5

detenuto idoneo all’impostazione dell’esame della sua personalità, fondamento

entro cui essa può essere eccepita o rilevata, si osserva da parte di una cospicua
corrente interpretativa (a cui ha aderito il Tribunale che ha reso l’ordinanza
impugnata) che, in carenza di altra specifica disposizione, ritiene doversi far
riferimento al disposto dell’art. 21, comma 2, cod. proc. pen., con l’effetto che la
competenza, di natura essenzialmente territoriale, può essere rilevata o eccepita
a pena di decadenza, solo in apertura di udienza o, comunque, prima della sua
conclusione (cfr. in tal senso, fra le altre, Sez. 1, Sentenza n. 3113 del
09/12/2014, dep. 2015, Torneo, Rv. 261923; Sez. 1, n. 25816 del 05/06/2002,
Avignone, Rv. 221599; Sez. 1, n. 2117 del 02/04/1996, Bellicini, Rv. 204415).

Nella prospettiva ora richiamata si assegna un ruolo dirimente al disposto
dell’art. 21, comma 2, c.p.p., considerato come norma di carattere generale,
salvo poi a differenziare l’esito esegetico quanto all’individuazione, in mancanza
dell’udienza preliminare, della fase entro la quale la questione possa essere
rilevata od eccepita: entro la fase dedicata al controllo della costituzione delle
parti (così Sez. 1, n. 47528 del 02/12/2008, Pulci, Rv. 242074), oppure prima
della conclusione dell’udienza camerale davanti al giudice di sorveglianza della
prima fase (in tal senso Sez. 1, n. 36144 del 30/06/2004, Garofalo, Rv.
229582).
A questo orientamento si contrappone altra interpretazione la quale muove
dalla considerazione che la competenza in parola configura una vera e propria
competenza funzionale, al pari di quella del giudice dell’esecuzione, in quanto
tale inderogabile e rilevabile d’ufficio anche in sede di ricorso per cassazione (v.
la motivazione di Sez. 1, n. 43517 del 19/09/2013 cit.).
In tale direzione si è più di recente considerata impropria la qualificazione
della competenza dei giudici (magistrato o tribunale) della sorveglianza, ai sensi
dell’art. 677, comma 1, c.p.p., in termini di mera competenza territoriale,
reputandosi invece adeguata alla materia regolata la qualificazione di tale
competenza come funzionale inderogabile.
L’arresto che si è motivatamente espresso in tal senso (Sez. 1. n. 16372 del
20/03/2015, De Gennaro, Rv. 263324, con richiamo anche di più risalente
precedente: Sez. 1, n. 3375 del 13/12/1979, dep. 1980, Pesa, Rv. 144348)
evidenzia che non può annettersi pregio all’obiezione – fondata sul dato
puramente letterale della rubrica dell’art. 677 c.p.p. (la quale recita:
“Competenza per territorio”) – inerente alla rilevanza di tale elemento per
addivenire alla qualificazione di questa competenza come pienamente
ragguagliabile a quella regolata dall’art. 21 cod. proc. pen., dovendo in proposito
ribadirsi che “le partizioni sistematiche di una legge (titoli, capi, rubriche, ecc.)
non integrano né fanno parte del testo legislativo e quindi non vincolano
l’interprete … la disciplina normativa sulla formazione delle leggi prevedendo che

6

L.>

solo i singoli articoli siano oggetto di esame e di approvazione da parte degli
organi legislativi” (Sez. 5, n. 1614 del 12/10/1982, dep. 1983, Clemenzi, Rv.
157528).
Questa tesi, invece, assegna determinante importanza al rilievo esegetico
che la competenza del magistrato e del tribunale di sorveglianza si radica in
funzione del collegamento ordinamentale tra l’ufficio giudiziario e lo stabilimento
di pena compreso nella relativa circoscrizione ove “si trova l’interessato all’atto
della richiesta, della proposta o dell’inizio di ufficio del procedimento”.

collegamento, è ad esso che va annesso primario rilievo per la qualificazione
della competenza in esame.
3.4. Pare utile ricordare anche che, con riferimento al settore dei
provvedimenti emessi ex art. 41 bis Ord. pen., nel testo vigente prima
dell’entrata in vigore della I. n. 94 del 2009, la competenza a decidere sui
reclami in ordine ai provvedimenti di sospensione delle normali regole di
trattamento dei detenuti e degli internati, si era costantemente ritenuta
attribuita al Tribunale di sorveglianza avente giurisdizione sull’istituto di pena cui
era “assegnato” il detenuto o l’internato sottoposto al regime di cui all’art. 41-bis
della legge 26 luglio 1975 n. 354, a nulla rilevando il luogo ove il reclamo fosse
stato presentato in conseguenza di eventuali trasferimenti a qualsiasi titolo
disposti, con l’espressa specificazione che si trattava di una competenza
inderogabile, rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio (v. Sez.
1, n. 45114 del 26/10/2010, Simeoli, Rv. 249037; Sez. 1, n. 21339 del
24/04/2008, Broccatelli, Rv. 240087).
Successivamente all’entrata in vigore della citata I. n. 94 del 2009,
l’introduzione nella disposizione suindicata del comma

2-quinquies

ha

contemplato – sempre con specifico riferimento al procedimento innescato dal
reclamo proposto dal detenuto o dall’internato nei confronti del quale sia stata
disposta o prorogata l’applicazione del regime di cui al comma 2 della stessa
norma (ovvero dal relativo difensore) – la competenza a decidere del Tribunale
di sorveglianza di Roma, della cui inderogabilità non appare possibile dubitare,
fermo restando che questa competenza è limitata ai provvedimenti ministeriali di
sottoposizione del detenuto al trattamento differenziato previsto dall’art. 41 bis
cit. nonché a quelli dì proroga o revoca dello stesso, e, quindi, alla verifica della
sussistenza dei presupposti legittimanti il suo mantenimento, inalterata, per il
resto, la competenza del magistrato di sorveglianza del luogo di detenzione,
prevista in via generale dall’art. 677 cod. proc. pen., per le questioni riguardanti
i profili applicativi delle singole restrizioni e la loro incidenza sui diritti soggettivi
del detenuti (per tutte cfr. Sez. 1, n. 37835 del 10/09/2015, Russo, Rv.

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Essendo quello della funzione l’elemento rilevante del criterio di

264622).

4. Orbene, nel quadro indicato, si profila per il Collegio giusto non vincolare
l’opzione relativa alla qualificazione della competenza disegnata per la
magistratura di sorveglianza dall’art. 677 cod. proc. pen. alla rubrica che la
definisce territoriale e limitarsi a ricercare nel disposto dell’art. 21 cod. proc.
pen. la disciplina regolatrice dell’istituto, pur se l’art. 21 cit. radica il limite di
rilevabilità ed eccepibilità del difetto di competenza territoriale con il riferimento

Più aderente alla collocazione sistematica dell’istituto ed al collegamento con
la funzione dell’istituto dove si trova il detenuto o l’internato stabilito dalla norma
si profila ritenere che la disciplina di cui all’art. 677 cod. proc. pen. inerisca ad
una competenza di natura funzionale, del tutto omologabile a quella del giudice
dell’esecuzione, siccome compenetrata nel medesimo ambito ed, in quanto tale,
inderogabile e rilevabile d’ufficio in ogni stato del procedimento; competenza,
come si è visto, già assodata per il – pur peculiare – settore dei procedimenti
scaturenti da reclamo avverso i provvedimenti di instaurazione e proroga del
regime differenziato ex art. 41 bis Ord. pen., ove il criterio di collegamento è
stato progressivamente fissato nei sensi prima richiamati (criterio di
collegamento non rilevante in questo procedimento, non vedendosi in tema di
disposizione o proroga del regime differenziato, sicché anche per i detenuti
assoggettati al relativo regime, qual è il Piccolo, si applicano, come si è visto, le
regole operanti in via ordinaria).
Fornisce conforto a questo orientamento il rilievo che, secondo la disciplina
dell’art. 677 cod. proc. pen., il criterio operante per la persona non detenuta
richiama, in via subordinata, lo stesso discrimen

relativo alla sentenza divenuta

irrevocabile per ultima – previsto dall’art. 665 cod. proc. pen., con riferimento
alla disciplina che fissa la competenza del giudice dell’esecuzione: anche in quel
caso l’individuazione del /ocus costituisce una conseguenza del collegamento
scaturente dall’individuazione del provvedimento divenuto irrevocabile per
ultimo.
Non è, nella stessa prospettiva, irrilevante la considerazione che per il
procedimento di esecuzione regolato dagli artt. 665 e ss. cod. proc. pen. non si
dubita che la competenza abbia carattere funzionale, assoluto e inderogabile, di
guisa che la nullità conseguente alla sua inosservanza può essere rilevata
d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del procedimento (arg., ad esempio, ex
Sez. 1, n. 31946 del 04/07/2008, Hincapie Zapata, Rv. 240775), con salvezza,
naturalmente, della preclusione derivante dal giudicato, nel senso che la relativa
questione non può più essere fatta valere dopo l’avvenuta definizione del

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a udienza – quella preliminare – che non si attaglia all’esecuzione.

procedimento (v. sul punto Sez. 1, n. 49378 del 02/12/2009, De Sano, Rv.
245953).
Appare allora consequenziale osservare che, in un ambito, quello esecutivo,
connotato dalla previsione della competenza funzionale e inderogabile quanto a
tutte le questioni idonee a influire sul titolo, mal si concilierebbe la qualificazione
della competenza nel diritto processuale penitenziario – che dell’esecuzione
costituisce parte non meno qualificante ed anzi più delicata, siccome volta a
regolare la materia che attinge direttamente la sfera della persona destinataria
dei pregnanti effetti scaturenti dal titolo – come equiparata alla competenza

territoriale di cognizione.
Pertanto, in carenza di espresse specificazioni normative di segno diverso, è,
per la Corte, consentaneo al suo inquadramento sistematico e coerente con la
complessiva disciplina dell’esecuzione concludere, con precipuo riferimento alla
fattispecie oggetto di disamina, che la competenza del magistrato e del tribunale
di sorveglianza – quando, ai sensi dell’art. 677 cod. proc. pen., viene stabilita in
funzione del collegamento tra l’ufficio giudiziario e l’istituto di pena compreso
nella circoscrizione ove si trova l’interessato all’atto della richiesta, della proposta
o dell’inizio di ufficio del procedimento – è una competenza di natura funzionale
e, di conseguenza, inderogabile e rilevabile di anche di ufficio, in ogni stato del
procedimento.

5. Nel procedimento tipico oggetto del presente vaglio, afferente alla
dichiarazione di abitualità nel reato, il Magistrato di sorveglianza di Santa Maria
Capua Vetere ha provveduto in data 14 gennaio 2013, previa sua instaurazione
ufficiosa nei confronti di Gaetano Piccolo, il quale però era detenuto nella Casa
circondariale di Novara, ove era giunto in tempo largamente antecedente, ossia il
20 giugno 2008.
Appare ineludibile quindi la constatazione che il Magistrato di sorveglianza
competente, ai sensi degli artt. 677 e 678 cod. proc. pen., ad instaurare il
procedimento per la suddetta declaratoria e ad emettere il relativo
provvedimento era quello di Novara.
Il Tribunale di sorveglianza di Napoli, sollevata dall’impugnante la questione
della competenza territoriale, trattandosi di competenza funzionale, avrebbe
dovuto prendere in considerazione la stessa e determinarsi di conseguenza
annullando l’ordinanza appellata ed investendo del thema decidendum il giudice
competente, come sopra indicato.
Siccome tale approdo non è stato raggiunto, la Corte deve, in accoglimento
del ricorso, disporre l’annullamento senza rinvio sia dell’ordinanza del Tribunale
di sorveglianza di Napoli resa in sede di appello, sia dell’ordinanza resa dal

9

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Magistrato di sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere in data 14 gennaio 2013,
con la conseguente disposizione di trasmissione degli atti al Magistrato di
sorveglianza di Novara, dotato di competenza a decidere la questione
dell’abitualità nel reato del Piccolo.

P.Q.M.
Annulla, senza rinvio, l’ordinanza impugnata nonché l’appellata ordinanza
del Magistrato di sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere 14 gennaio 2013 e

Così deciso il 13 dicembre 2016

dispone la trasmissione degli atti al Magistrato di sorveglianza di Novara.

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