Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19379 del 12/02/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 19379 Anno 2018
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: AMATORE ROBERTO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
LEONI TIZIANA nato il 11/03/1975 a SORGONO

avverso la sentenza del 26/10/2016 della CORTE APPELLO di CAGLIARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ROBERTO AMATORE
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GIUSEPPE
CORASANITI
che ha concluso per

Il Proc. Gen. conclude per l’annullamento senza rinvio
Udito il difensore
LA DIFESA DI PARTE CIVILE CHIEDE IL RIGETTO DEL RICORSO E DEPOSITA
CONCLUSIONI E NOTA SPESE
L’AVV.TO MONALDI SI RIPORTA AL RICORSO

Data Udienza: 12/02/2018

RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Cagliari, in integrale riforma della sentenza
di assoluzione per il reato di diffamazione aggravata emessa dal Tribunale di Cagliari ed in
accoglimento dell’appello del P.G. presso la Corte di Appello di Cagliari e delle costituite parti
civili, ha dichiarato, tra gli altri, LEONI TIZIANA colpevole del predetto reato e l’ha condannata
alla pena di giustizia, oltre al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile.
Avverso la predetta sentenza ricorre l’imputato, per mezzo del suo difensore, affidando la sua

1.1 Denunzia il ricorrente erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 51 e
595 cod. pen. ed in relazione all’art. 21 Cost..
Osserva la difesa che la Corte di appello aveva ritenuto insussistente la scriminante
dell’esercizio del diritto di critica in quanto non ricorreva né il requisito della verità della notizia
( per come veicolata attraverso il volantino distribuito presso il nosocomio di Cagliari ) né il
requisito della continenza espressiva.
Sostiene la difesa della ricorrente che la Corte territoriale aveva fatto malgoverno dei principi
affermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di limiti dell’esercizio del diritto di critica,
atteso che la critica si sostanzia nell’espressione di un giudizio ovvero, più genericamente, di
una opinione che, per sua natura, non può pretendersi rigorosamente obiettiva e non può che
essere fondata su una interpretazione necessariamente soggettiva di fatti ovvero di
comportamenti al punto tale che, in tale ambito, il criterio della verità obiettiva degrada a
mero presupposto della scriminante dell’esercizio del diritto costituzionalmente garantito alla
manifestazione del pensiero.
Osserva ancora la difesa che, in questa ottica interpretativa, nel contenuto del volantino
occorreva distinguere le espressioni descrittive dei fatti criticati, e ciò in modo ironico e
parossistico, da quelle in cui veniva espresso un aspro giudizio riguardo le condotte tenute dal
protagonista di questa vicenda infausta, che aveva visto morire un paziente nel reparto di
psichiatria in seguito ad un trattamento sanitario obbligatorio che era stato eseguito mediante
costrizione fisica e cura famacologica.
Si evidenzia che, in seguito all’istruttoria dibattimentale, era emerso che il reparto diretto dal
Dott. Turri era uno tra i pochi, in Italia, ove venisse ancora effettuato l’elettroschok e in cui

si

facesse ricorso abitualmente alla contenzione. Era, altresì, emerso che Giuseppe Casu era
stato legato mani e piedi per sette giorni senza soluzioni di continuità, in assenza di pratiche
fisioterapeutiche ovvero di somministrazione di farmaci antitrombotici, nonostante fosse in
stato di profonda sedazione. Altrettanto pacifico era inoltre la circostanza che il Casu fosse
stato trovato morto, alle sei del mattino, ancora legato per mani e piedi.
Ne conseguiva che – secondo le doglianze della difesa – non poteva certo definirsi il caso
descritto nel sopra menzionato volantino di protesta come un semplice episodio di mala sanità,
come peraltro ritenuto anche dalla commissione tecnico sanitaria di inchiesta e come percepito
dalla stessa opinione pubblica, che aveva veicolato il proprio sconcerto e la propria
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impugnativa ad una unica ragione di doglianza variamente articolata.

disapprovazione attraverso articoli di stampa, la costituzione di comitati di protesta e persino
attraverso la produzione di canzoni di denunzia della tragica vicenda.
Si evidenzia che – al di là dell’esito dei due procedimenti penali incardinati nei confronti della
odierna parte civile per omicidio colposo e sequestro di persona ( esito che aveva visto, poi, il
Dott. Turri essere assolto da entrambi le accuse ) – risulta evidente che il fatto, così descritto,
poteva essere sussunto nell’alveo applicativo dell’art. 586 cod. pen..
Si evidenziava, peraltro, che nella stessa sentenza di assoluzione del Dott. Turri pronunciata

nesso di causalità tra la morte del Casu e il trattamento sanitario somministrato, a causa della
sottrazione di una parte del cadavere di quest’ultimo, vicenda per la quale era stato, poi,
indagato anche il primario del reparto di anatomia patologica.
Ciò detto, osserva la difesa come l’utilizzo nel predetto volantino di espressioni come “manieri
forti”, “violenza sanitaria” ovvero “assassinio” non era diretto a descrivere le condotte
attribuite al Dott. Turri, ma, al contrario, solo a trasferire un sentimento comune nella opinione
pubblica in quel determinato frangente.
Così doveva ritenersi che la vicenda della morte del paziente era stata enfatizzata nel volantino
al fine di richiamare l’attenzione dei suoi destinatari secondo una tecnica redazionale tipica
delle comunicazioni dei membri di un comitato di protesta ed al solo fine di portare a
conoscenza dell’opinione pubblica che la causa del decesso doveva essere individuata nella
somministrazione di un trattamento sanitario ritenuto inaccettabile e disumano.
Osserva sempre la difesa – come censura alla sentenza impugnata in punto di scrutinio del
requisito della continenza espressiva – che la critica contenuta nel volantino era invero
ancorata ad una determinata situazione di fatto, e cioè all’uso eccessivo e disumano della
contenzione nel reparto psichiatrico e alla pratica dell’elettroscok, senza alcun riferimento a
critiche alla persona ovvero alla vita privata del Dott. Turri.
Sostiene inoltre la difesa che l’attribuzione del termine “assassino” non doveva essere letto
come l’attribuzione al medico di un fatto determinato, e cioè dell’omicidio volontario del
paziente, quanto piuttosto come manifestazione di una critica, seppur espressa in termini
aspri, alle terapie somministrate nel reparto psichiatrico di cui il Dott. Turri era il primario.

CONSIDERATO IN DIRITTO
2. Il ricorso è inammissibile.
Tutte le doglianze sono manifestamente infondate e comunque, in parte, anche inammissibili
perché versate in fatto.
Non è comunque rintracciabile nella motivazione impugnata il denunziato vizio di violazione di
legge.
Peraltro, la motivazione resa dalla Corte distrettuale risulta giuridicamente corretta ed è
pianamente condivisibile in ordine all’accertato superamento, nel caso di specie, dei limiti posti
all’esercizio del diritto di critica, e cioè, più in particolare, del profilo, da un lato, della non
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dalla Corte di Appello di Cagliari era riferito che non era stata raggiunta la prova scientifica del

veridicità del fatto addebitato alla persona offesa ( si accusa il primario, costituito parte civile,
di omicidio, chiamandolo addirittura “assassino”, mentre era stato solo accusato – e poi
prosciolto – per il reato di omicidio colposo e per quello di sequestro di persona ) e, dall’altro,
della continenza espositiva.
2.1 In termini ancora generali, occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza di questa
Corte, il diritto di critica si differenzia da quello di cronaca in quanto non si concreta nella
narrazione di fatti, ma nell’espressione di un giudizio o di un’opinione che, come tale, non può

contesto espositivo, a qualificare quest’ultimo come prevalentemente valutativo, anziché
informativo, i limiti dell’esimente sono quelli costituiti dalla rilevanza sociale dell’argomento e
espressione

di

correttezza

della

(Sez. 5, Sentenza n. 11211 del 24/11/1993 Ud. (dep. 06/12/1993 ) Rv. 196459).
2.1.1 Sotto il primo profilo tra quelli sopra tratteggiati ( e per quanto qui interessa ), va
puntualizzato, tuttavia, che in tema di diffamazione a mezzo stampa, l’esercizio del diritto di
critica richiede la verità del fatto attribuito e assunto a presupposto delle espressioni criticate,
in quanto – fermo restando che la realtà può essere percepita in modo differente e che due
narrazioni dello stesso fatto possono perciò stesso rivelare divergenze anche marcate – non
può essere consentito attribuire ad un soggetto specifici comportamenti mai tenuti o
espressioni mai pronunciate, per poi esporlo a critica come se quei fatti o quelle espressioni
fossero effettivamente a lui riferibili; pertanto, limitatamente alla verità del fatto, non sussiste
alcuna apprezzabile differenza tra l’esimente del diritto di critica e quella del diritto di cronaca,
costituendo

per

presupposto

entrambe

di

operatività

Sez. 5, Sentenza n. 7662 del 31/01/2007 Ud. (dep. 23/02/2007 ) Rv. 236524).
Peraltro, va aggiunto che, in tema di diffamazione a mezzo stampa, ricorre l’esimente
dell’esercizio del diritto di cronaca qualora, nel riportare un evento storicamente vero, siano
rappresentate modeste e marginali inesattezze che riguardino semplici modalità del fatto,
senza

modificarne

struttura

la

essenziale

Sez. 5, Sentenza n. 41099 del 20/07/2016 Ud. (dep. 30/09/2016 ) Rv. 268149 ; cfr. anche
Sez. 5, sentenza n. 28258 del 08/04/2009, P.C. in proc. Frignani ed altro, RV. 244200 ).
2.1.2 Sotto il secondo profilo ( e cioè il limite della continenza espositiva ), non può essere
trascurato che, in tema di diffamazione, espressioni che trasmodino in un’incontrollata
aggressione verbale del soggetto criticato e si concretizzino nell’utilizzo di termini gravemente
infamanti e inutilmente umilianti superano il limite della continenza nell’esercizio del diritto di
critica ( Sez. 5, Sentenza n. 29730 del 04/05/2010 Ud. (dep. 28/07/2010 ) Rv. 247966 ).
2.2 Ciò posto, osserva la Corte come la motivazione resa dalla Corte di merito sia rispettosa
dei principi affermati da questo giudice di legittimità in tema di legittimo esercizio del diritto di
critica, atteso che, invero, da un lato, risulta superato — come correttamente argomentato dal
giudice di appello — il limite oggettivo della veridicità del fatto addebitato alla persona offesa
per come veicolato nel volantino descritto nel capo di imputazione ( giacché il primario era
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essere rigorosamente obiettiva. Ove il giudice pervenga, attraverso l’esame globale del

stato descritto come un “assassino”, mentre il procedimento penale a suo carico era comunque
per il diverso reato di omicidio colposo, accusa dalla quale era stato, poi, definitivamente
prosciolto ) e, dall’altro, non risulta rispettato il limite della continenza espositiva posto che
l’utilizzo della espressione sopra ricordata rappresenta, all’evidenza, una manifestazione
violenta ed inaccettabile della libertà di critica e di manifestazione del pensiero, come tale
diretta solo ad aggredire verbalmente il soggetto criticato e a determinare una gratuita ( ed
inutile ) umiliazione di quest’ultimo.

territoriale, senza – come detto — neanche confrontarsi con le corrette argomentazioni
utilizzate da quest’ultima e proponendo solo censure volte ad una rivalutazione del merito della
decisione.
3. La inammissibilità del ricorso rende del tutto irrilevante la prescrizione del reato, che
risulterebbe decorsa in data 18.11.2016, quindi in epoca successiva alla pronuncia della
sentenza impugnata (Sez. U., sentenza n. 32 del 22/11/2000, Rv. 217266).
5. Alla inammissibilità consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al
versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare
in euro 2000.
6. In base al principio della soccombenza, l’imputata deve essere condannata, alla rifusione
delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento e della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende, nonché alla
refusione delle spese di parte civile, liquidate in euro 1.800, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 12.2.2019

Il ricorso finisce, dunque, per reiterare le doglianze già ampiamente trattate dalla Corte

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