Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19378 del 14/03/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 19378 Anno 2013
Presidente: BIANCHI LUISA
Relatore: MASSAFRA UMBERTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MARIANI FRANCO N. IL 28/02/1970
avverso la sentenza n. 127/2011 CORTE APPELLO di CAGLIARI, del
29/05/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/03/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. UMBERTO MASSAFRA
XitalP /i161,
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per, tiaid~»)435 ti 4Zs,tS0,

Udito, per la parte civile,
Udit i difensor Av

O

Data Udienza: 14/03/2013

Ritenuto in fatto
Ricorre per cessazione il difensore di fiducia di Mariani Franco avverso la sentenza
emessa in data 29.5.2012 dalla Corte di Appello di Cagliari con la quale veniva
confermata quella del Tribunale di Oristano in data 11.6.2010 che aveva riconosciuto
il predetto colpevole del delitto di cui all’art. 590 c.p. per avere, in qualità di titolare
di un centro estetico, cagionato a Onnis Paola -per colpa consistita in negligenza ed
Imperizia- lesioni personali (ustioni di 1° e 2° grado con esiti ipercromici post
in giorni 20, sottoponendola a trattamento laser di fotodepilazione con utilizzo di
apparecchiatura laser a luce pulsata, senza averla preventivamente informata sui
rischi del trattamento nei soggetti di carnagione scura; fatto avvenuto in Oristano tra
Il gennaio ed il 21.3.2005), condannando l’imputato alla pena di 30 giorni di
reclusione, convertita nella corrispondente pena pecuniaria di euro 1.140,00 di
multa, nonché al risarcimento dei danni a favore della parte civile Onnis Paola, da
liquidarsi in separato giudizio.
Il Tribunale era pervenuto a tale conclusione sulla scorta delle ritenute attendibili 4e dichiarazioni rese al dibattimento dalla persona offesa e di quanto accertato dal consulente del
P.M..
Il ricorrente deduce la violazione di legge:
1.

eccependo, preliminarmente, l’intervenuta prescrizione del reato contestato (non

considerando né interruzioni né sospensioni del periodo previsto);
2. non essendo stata valutata la deposizione della persona offesa, costituita parte civile ed
interessata, con il supporto di necessari riscontri;
3. per il mancato riconoscimento della scriminante di cui all’art. 50 cod. pen. richiamando
altresì, sul punto, il disposto dell’art. 5 cod. civ.;
4. assumendo la mancata integrazione del concetto di “malattia” nel caso in questione;
5. rappresentando la carenza di responsabilità del Mariani che non aveva eseguito il
trattamento.
Considerato in diritto
Il ricorso è inammissibile essendo le censure mosse aspecifiche e non consentite nella presente
sede oltre che manifestamente infondate.
In particolare, quelle sub 2), 4) e 5) della premessa sono aspecifiche avendo riproposto in
questa sede sostanzialmente le medesime doglianze rappresentate dinanzi alla Corte
territoriale e da quel giudice disattese con motivazione compiuta e congrua, immune da vizi ed
assolutamente plausibile laddove ha ribadito sia l’attendibilità delle dichiarazioni della persona
offesa riscontrata dal contenuto delle deposizioni del consulente del P.M.e del dr. Cadeddu
(pag. 5 sent.), sia l’integrazione della nozione di malattia giuridicamente rilevante, sia la
responsabilità diretta del Mariani, attesa la sua posizione di garanzia nell’ambito del centro

estetico da lui gestito.
2

infiammatori su entrambe le gambe) dalle quali derivava malattia giudicata guaribile

Ed è stato affermato che “è inammissibile il ricorso per cessazione fondato su motivi che
ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame,
dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero,
dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la
mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a
fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice
censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 comma 1
conformi, quale: Sez. II, 15.5.2008 n. 19951, Rv. 240109).
E’ appena il caso di sottolineare, quanto al concetto di malattia, che questa Corte di legittimità
ha ritenuto rientrare nell’ambito delle lesioni, perfino le ecchimosi, le contusioni, quelle
provocate da sostanze urticanti, quella, ancorché localizzata, che risulti di lieve entità e non sia
influente sulle condizioni organiche generali (onde lo stato di malattia perdura fino a quando
sia in atto il suddetto processo di alterazione) e comunque quelle alterazioni da cui derivi una
limitazione funzionale o un significativo processo patologico ovvero una compromissione delle
funzioni dell’organismo, anche non definitiva, ma comunque significativa (Cass. pen. Sez. IV,
n. 17505 del 19.3.2008, Rv. 239541): sicchè quelle riscontrate ai danni della persona offesa
non possono certo esorbitare dalla fattispecie contestata.
Quanto al motivo sub 3) non risulta, invece, che sia stato oggetto di doglianza in sede di
appello e quindi sarebbe improponibile ex art. 606, 3 0 comma c.p.p..
Ad ogni modo, laddove si ritenga la rilevabilità ex officio della scriminante invocata, si osserva
che in tema di lesioni personali, il consenso dell’avente diritto ha efficacia, come causa
giustificatrice, se viene prestato volontariamente nella piena consapevolezza delle conseguenze
lesive all’Integrità personale, ma nel caso di specie il consenso non vi era, poiché finalizzato
solo al miglioramento delle condizioni cutanee e non già al loro, sia pur temporaneo,
peggioramento.
Del resto, fermo restando che le lesioni riportate non erano state comunque preventivate, in
tema di lesioni personali, non può in ogni caso operare, come causa giustificatrice, il consenso
dell’avente diritto, che va espresso da parte del paziente a seguito di una informazione
completa sugli effetti e le possibili controindicazioni del trattamento al quale intende sottoporsi,
quando l’azione delittuosa sia diretta a provocare ferite nel corpo della persona offesa non
preventivamente determinabili. In tal caso la prestazione di un valido consenso -quale
manifestazione di un atto di disposizione del proprio corpo ex art 5 cod. civ.- rimane impedita
dalla impossibilità di una completa valutazione del suo ambito di operatività (Cass. pen. Sez.
V, n. 57 del 6.11.1980, Rv. 147216 e successive conformi).
Quanto alla prescrizione non risulta ad oggi maturata, atteso il periodo di sospensione di mesi
7 e giorni 14 nel solo giudizio di appello (e quindi il termine di sette anni e mesi sei previsto
per il reato contestato verrebbe a spirare il 4.5.2013). Ad ogni modo, si rammenta che
l’inammissibilità originaria del ricorso preclude ogni possibilità sia di far valere sia di rilevare di

3

lett. c), all’inammissibilità” (Cass. peri. Sez. IV, 29.3.2000, n. 5191 Rv. 216473 e successive

ufficio, ai sensi dell’art. 129 coda proc. pen., l’estinzione del reato per prescrizione, specie se
maturata dopo la sentenza di appello (Cass. Pen. Sez. IV, n. 49817 del 6.11.2012, Rv.
254092).
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che, alla luce dei principi
affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa,
si ritiene equo determinare in euro 1.000,00.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di C 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 14.3.2013

P.Q.M.

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