Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19377 del 25/11/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 19377 Anno 2017
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: MANCUSO LUIGI FABRIZIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE TRIBUNALE DI
NAPOLI
nei confronti di:
SABATINO FABIO nato il 14/08/1979 a NAPOLI
ROMANO ENRICO nato il 02/04/1969 a NAPOLI

avverso l’ordinanza del 26/03/2015 del GIP TRIBUNALE di NAPOLI
sentita la relazione svolta dal Consigliere LUIGI FABRIZIO MANCUSO;

Data Udienza: 25/11/2016

Il Pubblico ministero, in persona del dott. Sante Spinaci, Sostituto
Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, ha concluso
chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 26 marzo 2015, il Tribunale di Napoli, adito

ministero per ottenere la rideterminazione, invocata come correzione di
errori materiali, delle pene inflitte a Sabatino Fabio e Romano Enrico con
sentenza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del predetto
Tribunale, in esito a giudizio abbreviato, il 10 febbraio 2014, divenuta
esecutiva il 9 febbraio 2015 per rinuncia degli imputati ai rispettivi appelli.

2. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli ha
proposto ricorso per cassazione, ribadendo che il Giudice dell’udienza
preliminare del Tribunale di Napoli, nell’emettere la suddetta sentenza
condannatoria, era incorso in alcuni errori di calcolo ingiustificabili e che il
giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto correggerli, in linea con la
giurisprudenza di legittimità.

3. L’avv. Angela Senese, in difesa del Sabatino, ha presentato
memoria di replica con la quale si è associata alla richiesta di rigetto del
ricorso contenuta nella requisitoria, già sopra richiamata, del Procuratore
generale della Repubblica presso questa Corte.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La giurisprudenza di legittimità ha spiegato che non configura un
caso di inesistenza giuridica o abnormità del provvedimento l’applicazione
di pena illegale, per errore nella determinazione o nel calcolo di essa, e,
ove la sua determinazione sia frutto non di argomentata valutazione, ma
di palese errore giuridico o materiale, se ne impone la rettifica o la
correzione da parte del giudice dell’esecuzione, nel rispetto dei principi
contenuti nell’art. 25, comma secondo, Cost. e nell’art. 7 CEDU, i quali
escludono la possibilità d’infliggere una pena superiore a quella applicabile
al momento in cui il reato è stato commesso (Sez. 1, n. 14677 del
20/01/2014 – dep. 28/03/2014, Medulla, Rv. 25973301). Nel giudizio di

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quale giudice dell’esecuzione, rigettava la richiesta presentata dal Pubblico

legittimità, l’illegalità ab origine della pena, inflitta in senso favorevole
all’imputato, può essere corretta dalla Corte di cassazione solo in presenza
di specifico motivo di impugnazione da parte del Pubblico ministero,
essendo limitato il potere di intervento d’ufficio, in sede di legittimità, ai
soli casi nei quali l’errore sia avvenuto in danno dell’imputato (Sez. 5, n.
44897 del 30/09/2015 – dep. 09/11/2015, Galiza Lima, Rv. 26552901). In
tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, ove il giudice abbia

favorevole all’imputato, si ha un errore al quale la Corte di cassazione, in
difetto di specifico motivo di impugnazione da parte del Pubblico ministero,
non può porre riparo, né con le formalità di cui agli artt. 130, 619 cod.
proc. pen., perché si versa in ipotesi di errore di giudizio e non di errore
materiale del computo aritmetico della pena; né in osservanza all’art. 1
cod. pen. ed in forza del compito istituzionale proprio della Corte di
cassazione di correggere le deviazioni da tale disposizione: ciò in quanto la
possibilità di correggere in sede di legittimità la illegalità della pena, nella
specie o nella quantità, è limitata all’ipotesi in cui l’errore sia avvenuto a
danno e non in vantaggio dell’imputato, essendo anche in detta sede non
superabile il limite del divieto della reformatio in peius (enunciato per il
giudizio di appello, ma espressione di un principio generale, valevole anche
per il giudizio di cassazione) (Sez. 5, n. 771 del 15/02/2000 – dep.
29/03/2000, P.M. in proc. Bosco, Rv. 21572701).
Le massime esposte rendono evidente che nel giudizio di
cassazione, nell’ambito del processo di cognizione, la rideterminazione
della pena inflitta non può avvenire – qualora la sua illegalità non sia stata
dedotta con impugnazione del Pubblico ministero – se detta illegalità non
si sia risolta in un danno per il condannato. A fortiori, e con particolare
riguardo alla situazione che qui interessa, deve ritenersi che detta
condizione – l’illegalità in pregiudizio del condannato – sia indispensabile
per la rideterminazione in sede di esecuzione della pena illegale inflitta dal
giudice della cognizione con sentenza divenuta irrevocabile.

2. Nel caso in esame, deve affermarsi che la rideterminazione
invocata dal Pubblico ministero avrebbe carattere correttivo di errori non
solo materiali, ma richiederebbe interventi valutativi e condurrebbe ad
effetti peggiorativi per i condannati. L’operazione, quindi, è preclusa al
giudice dell’esecuzione, alla luce dei principi richiamati, come giustamente
notato nell’ordinanza impugnata.

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inflitto una pena in contrasto con la previsione di legge ma in senso

3. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

P. Q. M.

A scioglimento della riserva, assunta il 24 novembre 2016, rigetta
il ricorso.

Così deciso in Roma, 25 novembre 2016.

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