Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19377 del 12/02/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 19377 Anno 2018
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: MAZZITELLI CATERINA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
DI LILLO LEONARDO nato il 07/03/1988 a BARLETTA
LUZZI FRANCESCO nato il 05/05/1983 a COSENZA

avverso la sentenza del 05/12/2016 del TRIBUNALE di COSENZA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere CATERINA MAZZITELLI
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GIUSEPPE
CORASANITI
che ha concluso per

Il Proc. Gen. conclude per il rigetto
Udito il difensore
SI DA PER FATTA LA RELAZIONE SU ACCORDO DELLE PARTI
L’AVVOCATO DAVOLI SI RIPORTA AL RICORSO
L’AVVOCATO FERRO SI RIPORTA AL RICORSO

Data Udienza: 12/02/2018

Il Procuratore Generale, nella persona del Sost. Proc. Gen. dott. Giuseppe Corasaniti, ha
concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
I difensori degli imputati Luzzi e De Lillo, avv. Davoli Vincenzo, in sost. dell’avv. Esposito
Achille, e avv. Giuseppina Ferro, in sost. dell’avv. Ernesto Gallo, hanno concluso riportandosi al
ricorso.

1. Con sentenza, emessa in data 5 dicembre 2016, il Tribunale di Cosenza rigettava l’appello
proposto dagli imputati avverso la sentenza, emessa dal Giudice di Pace locale in data 23
maggio 2016, con la quale Di Lilla Leonardo e Luzzi Francesco erano stati assolti dal reato di
cui all’art. 594 cod. pen. ed erano stati condannati, in ordine ai reati ex art. 612 e 582 cod.
pen., perché, in concorso fra loro, avevano minacciato un male ingiusto a Gencarelli Francesco,
cagionando, nel contempo, a quest’ultimo e al fratello Robertino lesioni personali, giudicate
guaribili, rispettivamente in giorni sei e cinque( fatti commessi in Luzzi ( CS) il 14 giugno
2009).
2. Entrambi gli imputati, tramite il difensore di fiducia, hanno proposto ricorso per
cassazione, con cui allegano vizi di legittimità, ex art. 606, lett. b) ed e).
Segnatamente, Di Lillo assume il difetto di competenza del giudice del merito del primo
grado, trattandosi di reati, in fatto, aggravati, ai sensi dell’art. 612 c. n. 2, il primo, e dell’art.
585, c. n 2, il secondo, per l’uso di un’arma impropria, costituita da una chiave svita bulloni e
da un manico di ferro. Si tratterebbe, invero, di profili di competenza per materia, suscettibili
di essere rilevati in ogni stato e grado del giudizio, ai sensi dell’art. 21 c.p.p.. L’improcedibilità
dell’azione, tra l’altro, scaturirebbe dall’art. 366 cod. proc. pen., norma che impone alla
persona offesa dal reato l’onere di esercitare il suo diritto, manifestando la volontà che si
persegua il reato. Solo Gencarelli Francesco era stato debitamente generalizzato, al momento
della presentazione della querela. Per di più, l’attribuzione, da parte del giudice d’appello, a
tutti gli imputati delle stesse condotte, in via generica, senza distinzioni di ruolo e di
responsabilità, comporterebbe la mancata specifica attribuzione di responsabilità a carico
dell’esponente, non essendo possibile individuare con esattezza i singoli autori delle diverse
azioni delittuose. Ciò sarebbe avvalorato dalla nebulosità della deposizione resa dal teste D’Acri
Sergio. A ciò si dovrebbe poi aggiungere la mancata dimostrata incidenza sulla sfera psichica
della P.O. delle frasi pronunciate dagli imputati.
Analoghe censure, in relazione alla competenza del giudice del primo grado di giudizio e
all’improcedibilità dell’azione, sono poi state svolte dall’imputato Luzzi, tramite il richiamo degli
art. 4 e 6 del D.Ivo n. 274 del 2000 e dell’art. 366 cod. proc. pen..Ed ancora, ulteriore
inosservanza della legge penale, oltre a profili di illogicità della motivazione, deriverebbe sia
dalla mancata indicazione di elementi accusatori, a carico del prevenuto, sia dal mancato
riscontro di un processo patologico evolutivo, inquadrabile come malattia, come tale

RITENUTO IN FATTO

giuridicamente rilevante, agli effetti della sussistenza del reato di lesioni personali. Ultimo
corollario sarebbe poi costituito dalla violazione del principio generale, secondo il quale la
responsabilità penale va affermata al di là di ogni ragionevole dubbio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono palesemente infondati.

menzione alcuna, in fatto, dell’uso di un’arma, nel corso dello svolgimento degli accadimenti di
causa. Ne consegue la mancata contestazione delle dedotte circostanze aggravanti e
l’inconferenza dei rilievi, circa profili di incompetenza per materia, rilevabili ex officio in ogni
stato e grado del procedimento.
Quanto poi alle ulteriori censure, va detto che il Tribunale ha esposto, nel provvedimento
impugnato, una motivazione congrua, coerente e logica.
Ed invero, si dà atto, nella sentenza, che entrambi

i Gencarelli, al momento della

presentazione della querela erano stati regolarmente identificati, ad opera della polizia
giudiziaria, ed entrambi avevano manifestato la volontà di sporgere querela, sottoscrivendo il
relativo verbale.
Relativamente, invece, alla ricostruzione dei fatti di causa, si evidenzia che l’episodio è
indicato quale rissa scaturita da un sinistro stradale, intervenuto tra il veicolo, a bordo del
quale si trovavano i due imputati, e altra vettura, condotta da Gencarelli Francesco. Le
deposizioni, rese dai testi D’Acri e Martino, avevano avvalorato tale ricostruzione, poi
completata dalle dichiarazioni, rese dal teste Gencarelli Francesco, circa le minacce rivoltegli
nell’occasione. Il fratello Gencarelli Robertino, sopraggiunto sul luogo, aveva confermato
l’aggressione, subita dal fratello Francesco, e a sua volta era stato aggredito anch’egli.
L’individuazione dei due imputati era stata poi compiuta a seguito del riconoscimento,
compiuto dalle parti lese e dai due testi.
La ricostruzione del giudice risulta esaustiva e compiuta, oltre che logica e coerente, ragion
per cui non si ravvisa alcun vizio di natura argomentativa né, tanto meno, vizi di violazione di
legge, con riferimento alla certezza della dichiarazione di responsabilità penale degli imputati.
2. Alla luce delle considerazioni esposte va dichiarata l’inammissibilità dei ricorsi, con
contestuale condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della
somma, che si stima equo fissare in C 2.000,00, a favore della Cassa delle ammende.

2

La contestazione degli addebiti, ex art. 594, 612, primo comma, e 582, c.p., non contiene

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento e della somma di C 2.000,00 a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 12/02/2018

Caterina Mazzitelli

111

Il Presidente
(Sa_
.)o ,c..
) Antonio Bruno

Il Consigliere estensore

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