Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19371 del 21/10/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 19371 Anno 2017
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: MANCUSO LUIGI FABRIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE
DI AVEZZANO
nei confronti di:
FELLI WALTER N. IL 31/07/1974
avverso l’ordinanza n. 48/2014 TRIBUNALE di AVEZZANO, del
19/11/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUIGI FABRIZIO
MANCUSO;
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Data Udienza: 21/10/2016

:

Letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del dott.
Pasquale Fimiani, Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso
questa Corte, il quale ha concluso per l’annullamento con rinvio del
provvedimento impugnato.

RITENUTO IN FATTO

dell’esecuzione, presentata il 22 luglio 2014, Walter Felli, tramite
difensore, chiedeva l’applicazione della disciplina del reato continuato in
ordine a undici sentenze di condanna emesse nei suoi confronti, divenute
irrevocabili.

2. Con ordinanza del 19 novembre 2014, il giudice dell’esecuzione
riconosceva la continuazione, determinando la pena complessiva in anni
tre di reclusione ed euro 500,00 di multa.

3. Il Procuratore della Repubblica presso il predetto Tribunale ha
proposto ricorso per cassazione datato 2 dicembre 2014, deducendo che
la sola condizione di tossicodipendente non è sufficiente a giustificare la
continuazione e che il giudice dell’esecuzione non ha valutato la distanza
temporale tra tutti i reati, commessi in un arco compreso fra il 2003 e il
2011, né i precedenti del richiedente. Inoltre, la pena base è stata
considerata erroneamente, perché essa era quella di anni due di
reclusione ed euro 600,00 di multa, inflitta per il reato di ricettazione
considerato più grave nella sentenza del Tribunale di Teramo del 5 aprile
2011. L’istanza, peraltro, è la mera riproposizione, per nove tra le undici
sentenze che ne formano oggetto, di precedente istanza già valutata.

4.

Il Procuratore Generale presso questa Corte, nel

concludere, come sopra riportato, per l’annullamento del provvedimento
impugnato, ha dedotto che il giudice dell’esecuzione ha omesso di
motivare sulla rilevanza delle due sentenze ulteriori sentenze indicate
nell’istanza, rispetto alle nove già esaminate con la precedente ordinanza
che aveva escluso il medesimo disegno criminoso.

2

1. Con istanza al Tribunale di Avezzano, in funzione di Giudice

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, in tema di
applicazione della continuazione, l’identità del disegno criminoso,
caratterizzante l’istituto disciplinato dall’art. 81, comma secondo, cod.
pen., postula che l’agente si sia previamente rappresentato e abbia
unitariamente deliberato una serie di condotte criminose e non si

invece, la sua opzione a favore della commissione di un numero non
predeterminato di reati, i quali, seppure dello stesso tipo, non sono
identificabili

a priori

nelle loro principali coordinate, rivelando una

generale propensione alla devianza che si concretizzante, di volta in
volta, in relazione alle varie occasioni ed opportunità esistenziali (Sez. 1,
n. 15955 del 08/01/2016 – dep. 18/04/2016, P.M. in proc. Eloumari, Rv.
266615).
L’identità del disegno criminoso è apprezzabile sulla base degli
elementi costituiti dalla distanza cronologica tra i fatti, dalle modalità
della condotta, dalla tipologia dei reati, dal bene tutelato, dalla
omogeneità delle violazioni, dalla causale, dalle condizioni di tempo e di
luogo, essendo a tal fine sufficiente la sola constatazione di alcuni
soltanto di essi, purché significativi (Sez. 1, n. 11564 del 13/11/2012 dep. 12/03/2013, Daniele, Rv. 255156).
L’analogia dei singoli reati, l’unitarietà del contesto, l’identità della
spinta a delinquere e la brevità del lasso temporale che separa i diversi
episodi, singolarmente considerate, non costituiscono indizi necessari di
una programmazione e deliberazione unitaria, però ciascuno di questi
fattori, aggiunto ad un altro, incrementa la possibilità dell’accertamento
dell’esistenza di un medesimo disegno criminoso, in proporzione logica
corrispondente all’aumento delle circostanze indiziarie favorevoli (Sez. 1,
n. 12905 del 17/03/2010 – dep. 07/04/2010, Bonasera, Rv. 246838; Sez.
1, n. 44862 del 05/11/2008 – dep. 02/12/2008, Lombardo, Rv. 242098).
La consumazione di più reati in relazione allo stato di
tossicodipendenza non è condizione necessaria o sufficiente ai fini del
riconoscimento della continuazione, ma ne costituisce comunque un
indice rivelatore che deve formare oggetto di specifico esame da parte del
giudice dell’esecuzione, qualora emerga dagli atti o sia stato altrimenti
prospettato dal condannato (Sez. 1, n. 18242 del 04/04/2014 – dep.
30/04/2014, Flammini, Rv. 259192).

3

identifica con il programma di vita delinquenziale del reo, che esprime,

La valutazione in ordine alla sussistenza, in relazione alle concrete
fattispecie, dell’unicità del disegno criminoso, è compito del giudice di
merito, la cui decisione sul punto, se congruamente motivata, non è
sindacabile in sede di legittimità (Sez. 4, n. 10366 del 28/05/1990 – dep.
16/07/1990, Paoletti, Rv. 184908). L’indagine che si impone alla
riflessione del giudice chiamato a delibare un istanza di applicazione della
disciplina della continuazione deve concentrarsi su tre essenziali

logica e della congruità, dell’asserita esistenza di un unico, originario
programma delittuoso; indi, analizzare i singoli comportamenti incriminati
per individuare le particolari, specifiche finalità che appaiono perseguite
dall’agente; infine, verificare se detti comportamenti criminosi, per le loro
particolari modalità, per le circostanze in cui si sono manifestati, per lo
spirito che li ha informati, per la finalità che li ha contraddistinti, possano
considerarsi, valutata anche la natura dei beni aggrediti, come
l’esecuzione, diluita nel tempo, del prospettato, originario, unico disegno
criminoso (Sez. 1, n. 1721 del 22/04/1992 – dep. 25/06/1992, Curcio,
Rv. 190807).

2. La giurisprudenza di legittimità ha anche affermato che il
principio della preclusione processuale, derivante dal divieto di bis in
idem, opera anche in sede esecutiva, iscrivendosi in esso la regola che
impone al giudice dell’esecuzione di dichiarare inammissibile la richiesta
che costituisca mera riproposizione di altra già rigettata, basata sui
medesimi elementi (Sez. 1, n. 3736 del 15/01/2009 – dep. 27/01/2009,
P.M. in proc. Anello, Rv. 24253301).
La pronuncia del giudice dell’esecuzione di parziale rigetto della
richiesta di applicazione della continuazione preclude la riproposizione
della richiesta rispetto ai reati per cui è stato escluso il riconoscimento del
reato continuato (Sez. 1, n. 36337 del 16/03/2016 – dep. 01/09/2016,
P.M. in proc. Morteo, Rv. 26856201).

3. Sulla base dei predetti principi, nel caso in esame deve
affermarsi la fondatezza del ricorso per cassazione.
3.1. Il giudice dell’esecuzione, con riferimento ai reati già
precedentemente valutati con ordinanza del medesimo giudice in data 5
giugno 2014, avrebbe dovuto ritenere inammissibile l’istanza, poiché essa
costituiva evidente riproposizione mera di quella che aveva già avuto

4

problemi: dapprima, verificare la credibilità intrinseca, sotto i profili della

I

esito negativo. Ai fini del riconoscimento della continuazione, infatti, non
può attribuirsi alcun carattere innovativo, in mancanza di dati nuovi
significativi, al semplice fatto che l’istanza più recente indicava, fra i titoli
cui si riferiva, anche due sentenze diverse rispetto a quelle cui si riferiva
l’ordinanza di rigetto, impugnata con ricorso per cassazione rigettato da
questa Corte con sentenza del 28 ottobre 2015, n. 26683/16.
3.2. Con riguardo al riconoscimento della continuazione fra i soli

richiesta più recente, la motivazione che dovrebbe sostenere logicamente
l’ordinanza impugnata reca, dopo l’elencazione dei principi di diritto che
regolano la materia, l’apodittica affermazione della unicità del disegno
criminoso dedotta dall’istante, ma non espone riflessioni ricollegabili al
caso, in quanto non indica riferimenti specifici ai dati emergenti dalle
pronunce di condanna. Essa omette, in definitiva, una disamina articolata
capace di mettere in luce tutti gli elementi rilevanti e di spiegare le
ragioni per le quali essi siano idonei a dimostrare che i reati in
discussione siano avvinti dal medesimo disegno criminoso. Si riscontra,
quindi, carenza di motivazione.

4. Per le ragioni esposte, l’ordinanza impugnata deve essere
annullata, senza rinvio, limitatamente al riconoscimento della
continuazione, che va esclusa, tra i reati considerati con la ordinanza del
medesimo giudice in data 5 giugno 2014. Relativamente al
riconoscimento della continuazione fra gli altri reati, l’ordinanza
impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Avezzano, che
provvederà a nuovo esame senza incorrere nei vizi riscontrati.

P. Q. M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata limitatamente al
riconoscimento della continuazione, che esclude, tra i reati considerati
con la ordinanza del medesimo giudice 05/06/2014. Annulla nel resto la
ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Avezzano.
Così deciso in Roma, 21 ottobre 2016.

reati che formano oggetto delle sentenze di condanna inserite nella

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