Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19369 del 05/02/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 19369 Anno 2018
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: FIDANZIA ANDREA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
TARRICONE VINCENZO nato il 26/01/1940 a CORATO
TARRICONE MICHELE nato il 30/07/1974 a ANDRIA

avverso la sentenza del 26/01/2015 della CORTE APPELLO di BARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ANDREA FIDANZIA
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore MARIA
FRANCESCA LOY
che ha concluso per

Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita’ dei ricorsi.
Udito il difensore

ki) •

41 C-3″tt –

II difensore presente insiste per l’accoglimento dei ricorsi invocando l’ammissione

seppur ad una doppia conforme; inoltre eccepisce l’incostituzionalità degli artt.
216 ultimo comma – 223 ultimo comma Regio Decreto 16.03.1942 n.267 in
relazione agli artt. 3-4-41-27-117 1 comma della Costituzione quest’ultimo
anche in relazione dell’artt. 8 CEDU e 1 prot. n. 1 CEDU nella parte in cui
prevedono che la condanna per uno dei fatti, detti articoli

Data Udienza: 05/02/2018

conseguono obbligatoriamente per la durata di anni 10 come pene accessorie
della inabilitazione all’esercizio di imprese commerciali e della incapacità ad
esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa. (Vedasi ordinanza n. 52613/17

emessa dalla I sez. penale della Corte di Cassazione).

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RITENUTO IN FATTO

Con sentenza emessa in data 26 gennaio 2015 la Corte d’Appello di Bari ha confermato la
sentenza di primo grado con cui Tarricone Vincenzo, amministratore unico della Prestige s.r.I.,
dichiarata fallita in data 11.4.2001 e Tarricone Michele, titolare della Prestige 2 Donna, sono

patrimoniale, documentale e preferenziale, il secondo, per il concorso nella bancarotta
distrattiva di beni strumentali e merci aziendali, capi di abbigliamento per un valore di C circa
137.000,00 a seguito dell’affitto concesso dal Tarricone Vincenzo a quest’ultimo a prezzo vile
del ramo d’azienda pari a C 24.000,00.
2. Con atto sottoscritto dal loro difensore hanno proposto separatamente ricorso per
cassazione gli imputati affidandolo ai seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo Tarricone Vincenzo deduce violazione di legge in relazione
all’art. 216 n. 1 L.F., per difetto dell’elemento distrattivo, e violazione di legge e vizio di
motivazione in ordine alla adesione della Corte di merito alle conclusioni del giudice di primo
grado ed alla consulenza tecnica del Pubblico Ministero.
In primis, lamenta il ricorrente di aver già dedotto nell’atto di appello che il valore dei
beni asseritamente distratti era stato calcolato al loro prezzo iniziale d’acquisto e non al loro
valore residuo, tenuto conto dell’ammortamento dell’obsolescenza, e che l’impianto d’allarme
era già stato inventariato assieme al registratore di cassa nel lotto 11.
Inoltre, alcuni beni asseritamente distratti, come il telaio in ferro blindato, la vetrina in
ferro con vetri blindati e il portone in legno erano stati installati in occasione della
ristrutturazione dell’immobile e facevano ormai parte dell’immobile per destinazione.
Orbene, sul punto, la sentenza impugnata si era limitata a richiamare quanto
argomentato dal G.U.P. del Tribunale di Trani il quale, a sua volta, nulla aveva affermato in
ordine alle osservazioni dei consulenti tecnici di parte dell’imputato.
2.2. Con il secondo motivo Tarricone Vincenzo ha dedotto violazione di legge in
relazione all’art. 216 n. 3 L.F. per mancanza di dolo specifico.
Lamenta il ricorrente che non vi è stata bancarotta preferenziale né a favore di
Caripuglia né del Banco di Napoli, in quanto i versamenti non furono effettuati dalla Prestige
s.r.l. ma da terzi e/o con denari provenienti da terzi. In particolare, relativamente al
versamento di £ 29.044.050 a favore di Caripuglia, attraverso l’escussione diretta da parte
dell’istituto di credito del pegno su titoli di stato di proprietà di Falco Maria, madre
dell’amministratore, costituito a garanzia dello scoperto di conto corrente, relativamente al

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stati condannati alla pena di giustizia, il primo per i delitti di bancarotta fraudolenta

versamento della somma di £ 37.386.400 a favore del Banco di Napoli, con il ricavato della
vendita di un bene personale di Tarricone Vincenzo.
Invoca, inoltre, il ricorrente il difetto dell’elemento psicologico, essendo i pagamenti
stati fatti non per favorire alcuni creditori in danno di altri ma per ridurre il passivo bancario.
2.3. Con il terzo motivo Tarricone Vincenzo e con il primo Tarricone Michele hanno dedotto,
con atto separato ma dal contenuto identico, violazione di legge e vizio di motivazione in
ordine alla contestata distrazione di beni strumentali e merci aziendali a seguito dell’affitto
d’azienda.

nell’atto di appello in ordine alla congruità del valore delle merci trasferite in conto vendita ed
alla congruità del canone di affitto d’azienda, limitandosi a richiamare la sentenza di primo
grado, che aveva aderito alle conclusioni del consulente del P.M..
2.4. Con il secondo motivo Tarricone Michele ha dedotto violazione di legge in relazione
all’art. 69 c.p. in relazione al mancato riconoscimento del giudizio di prevalenza delle
attenuanti generiche, beneficio di cui era meritevole in ragione dell’incensuratezza.
2.5. All’udienza del 5.2.2018 i ricorrenti hanno sollevato la questione di legittimità
costituzionale degli artt. 216 ult. comma e 223 ult. comma L.F. nella parte in cui prevedono
che alla condanna per uno dei fatti previsti in detti articoli conseguono obbligatoriamente per la
durata di dieci anni le pene accessorie della inabilitazione all’esercizio di una impresa
commerciale e della incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa, con
riferimento 3,4,41 e 27, 117 Cost, quest’ultimo in relazione agli artt. 8 Cedu e 1 Protocollo n. 1
Cedu, con sospensione del giudizio e trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Va preliminarmente dichiarata innammissibile la questione di legittimità costituzionale degli
artt. 216 ult. comma e 223 ult. comma L.F. sollevata dai ricorrenti .
Va premesso che la questione in esame è stata dichiarata inammissibile dalla Consulta con
sentenza n. 134 del 21 maggio 2012.
E’ pur vero che la soluzione data alla questione dall’organo competente è dipesa dal petitum
formulato dai rimettenti (una pronuncia additiva che rendesse applicabile l’art. 37 cod. pen.),
in ordine al quale la Corte ha ritenuto che “sono inammissibili le questioni di costituzionalità
relative a materie riservate alla discrezionalità del legislatore e che si risolvono in una richiesta
di pronuncia additiva a contenuto non costituzionalmente obbligato”.
Tuttavia, la Corte Costituzionale – pur auspicando una riforma delle pene accessorie nel loro
complesso (e non solo di quelle previste dalla legislazione fallimentare) – non ha inteso cogliere
l’occasione per estendere l’indagine alla “pura” costituzionalità delle norme denunciate, come
pure era in suo potere fare (e come ha fatto – concretamente – in molteplici occasioni), sul
presupposto, implicito, che gli artt. 216 e 223 della legge fallimentare non contrastino con le
norme costituzionali richiamate. Né può essere condivisa, invero, l’opinione di quanti
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,….„….„..

Lamentano i ricorrenti che la Corte territoriale non ha tenuto conto delle censure svolte

sostengono che la pronuncia sopra richiamata conterrebbe un “monito”, rivolto dalla Corte al
legislatore, affinché si affretti ad adeguare la disciplina delle pene accessorie ai principi della
Costituzione repubblicana con i quali – si assume – quelle norme contrasterebbero.
A prescindere dal tenore letterale delle espressioni utilizzate nella sentenza del 2012,
costituisce orientamento consolidato del giudice costituzionale che la rigidità del sistema
sanzionatorio collide col “volto costituzionale” dell’illecito penale allorché concerna le pene fisse
nel loro complesso e non anche i “trattamenti sanzionatori che coniughino articolazioni rigide
ed articolazioni elastiche, in maniera da lasciare comunque adeguati spazi alla discrezionalità

(così, Corte Cost.., ordinanza n. 91 del 2008, che ribadisce principi già affermati nelle sentenze
n. 188 dell’8 novembre 1982 e n. 50 del 2 aprile 1980, che hanno ritenuto legittime
costituzionalmente previsioni di pene pecuniarie fisse, anche di importo elevato, congiunte a
pene detentive variabili). Peraltro, per giurisprudenza costante del giudice delle leggi, la scelta
e la quantificazione delle sanzioni per i singoli fatti punibili rientra nella discrezionalità del
legislatore, il cui esercizio è censurabile solo nel caso di manifesta irragionevolezza (ex
plurimis, sentenze n. 22 del 2007, n. 394 del 2006 e n. 144 del 2005): irragionevolezza che
non è dato ravvisare a fronte di reati che, anche in astratto, sono considerati gravi dal
legislatore, come dimostrato dalla cornice edittale – minima e massima – ad essi riferibile.
Non può quindi darsi corso alla richiesta di sospensione del processo, avanzata dai ricorrenti,
né alla richiesta, pure da lui formulata, di investire nuovamente della questione la Corte
Costituzionale.
2. Il primo motivo di Tarricone Vincenzo è fondato.
La Corte territoriale è effettivamente incorsa in un’omessa motivazione.
La sentenza impugnata non ha, infatti, mimimamente risposto alle specifiche censure dedotte
dal ricorrente in appello in ordine al contestazione di cui al n. 2 del capo di imputazione (beni
distratti per un valore di circa C 13.000,00).
Né peraltro il richiamo per relationem effettuato dalla sentenza d’appello a quella di primo
grado è in questo caso sufficiente a far ritenere adempiuto l’obbligo motivazionale.
A tal proposito, è pur vero che questa Corte ha più volte affermato che la sentenza di
appello può motivare “per relationem” con riferimento alla pronuncia di primo grado, nel caso
in cui le censure formulate a carico della sentenza del primo giudice non contengano elementi
di novità rispetto a quelli già esaminati e disattesi dallo stesso. Il giudice del gravame non è
infatti tenuto a riesaminare una questione formulata genericamente nei motivi di appello che
sia stata già risolta dal giudice di primo grado con argomentazioni corrette ed immuni da vizi
logici (Sez. 6, n. 31080 del 14/06/2004 – dep. 15/07/2004, Cerrone, Rv. 229299).
Tuttavia, nel caso di specie, il giudice di primo grado, pur dando atto a pag. 17 dei rilievi
dei consulenti tecnici dell’imputato, in ordine alla contestata distrazione di beni mancanti
dall’inventario (doglianze poi trasfuse da Tarricone Vincenzo nel secondo motivo d’appello),
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del giudice, ai fini dell’adeguamento della risposta punitiva alle singole fattispecie concrete”

non aveva disatteso tali censure omettendo, a sua volta, qualsiasi motivazione sul punto.
3. Il secondo motivo di Tarricone Vincenzo è inammissibile.
Il ricorrente in questi motivo, a differenza che negli altri, non ha denunciato vizi di
motivazione, limitandosi a ripropone le stesse censure già svolte in appello (difetto
dell’elemento psicologico), che si appalesano inammissibili in quanto di mero fatto, essendo
finalizzate a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio esaminato dai giudici di
merito e ad accreditare una diversa ricostruzione del fatto.
Il terzo motivo di Tarricone Vincenzo è inammissibile anche perché manifestamente

infondato.
Va osservato che il ricorrente ha lamentato il vizio della carenza, contraddittorietà e manifesta
illogicità della motivazione, senza neppure curarsi di specificare i passaggi della sentenza
impugnata che sarebbero affetti dai lamentati, con conseguente genericità della censura.
Peraltro, la predetta doglianza svolta nei confronti della sentenza di secondo grado (che ha
richiamato integralmente quella di primo grado) appare manifestamente infondata.
I giudici di merito hanno fornito una soluzione giuridicamente corretta, essendo orientamento
consolidato di questa Corte che ove l’atto distrattivo consista nell’occultamento di beni sociali,
la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni che in epoca anteriore o prossima al
fallimento erano nella disponibilità della società dichiarata fallita, può essere desunta dalla
mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della destinazione dei beni suddetti al
soddisfacimento delle esigenze della società o al perseguimento dei relativi fini (Sez. 5, n.
8260 del 22/09/2015 – dep. 29/02/2016, Aucello, Rv. 267710; Cass., sez. 5^, 17/04/2013, n.
22894, rv. 255385; Cass., sez. 5^, 08/03/2013, n. 23749).
L’imposizione di un onere della prova nei termini sopra illustrati a carico dell’amministratore si
giustifica, infatti, a tutela del ceto creditorio perché è l’amministratore responsabile della
gestione dei beni sociali e risponde nei confronti dei creditori della conservazione della
garanzia dei loro crediti, con la conseguenza che solo lo stesso può chiarire, proprio in quanto
artefice della gestione, quale destinazione effettiva hanno avuto i beni sociali (Cass. 26
gennaio 2011, n. 7588, id., Rep. 2011, voce cit., n. 64, in motivazione).
Il ricorrente non ha assolto a tale onere, neppure a livello di semplice allegazione, non essendo
pertinente l’affermazione che la curatrice avv. Gagliardi non aveva proceduto alla valutazione
effettiva della merce. Negli stessi motivi d’appello (pag. 13), il ricorrente aveva dato atto che
dalla relazione redatta dalla curatrice fallimentare era emerso che in epoca prossima al
fallimento della merce era stata venduta sottocosto, ricavandosi la somma di € 185.000,00,
importo che risultava dalla scritture contabili. Dunque del tutto ultronea sarebbe stata la
valutazione effettiva della merce da parte della curatrice.
5. Il quarto motivo di Tarricone Vincenzo ed il primo motivo di Tarricone Michele sono
infondati al limite della inammissibilità.
I ricorrenti nell’atto di appello avevano, con censure generiche, contestato l’accusa di
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4.

incongruità del canone nel contratto di affitto d’azienda senza, tuttavia, indicare le ragioni per
cui tale canone doveva ritenersi congruo.
Ne consegue che l’affermazione contenuta nei ricorsi secondo cui sarebbe stata nell’atto di
appello pienamente dimostrata la congruità del canone e del valore delle merci trasferite, oltre
che inammissibile, in quanto in fatto, è manifestamente infondata.
Inoltre, inammissibile in quanto tardiva la censura dei ricorrenti secondo cui l’elemento
della congruità non sarebbe stato considerato e/o valutato né dalla consulenza tecnica del

Orbene, da un attento esame, degli atti di appello emerge che se è pur vero che i
ricorrenti avevano reiteratamente affermato la congruità del canone e del valore delle merci,
tuttavia, gli stessi mai avevano censurato la mancata valutazione da parte della consulenza
tecnica del Pubblico Ministero e del giudice di primo grado della congruità del canone, di talchè
tale doglianza si appalesa inammissibile in quanto non consentita a norma dell’art. 606
comma 3 0 c.p.p..
Va, infine, osservato che il giudice di primo grado, la cui motivazione è stata richiamata
per relationem da quello d’appello, ha evidenziato che la distrazione, nel caso di specie, è
stata perpetrata per effetto dell’affitto di azienda della fallita da Vincenzo a Michele Tarricone,
con cui è stata sottratta l’intera azienda alla massa fallimentare, e ciò allo scopo di consentire
a quest’ultimo, già socio della società fallita, di continuare la gestione, facendo peraltro
figurare come fatturati pagamenti di canoni in realtà mai avvenuti, tanto che sono poi stati
transatti dallo stesso Tarricone Michele.
In ordine a tale ultimo profilo, condividibilnnente entrambi i giudici di merito hanno
osservato che il pregiudizio per i creditori può derivare non solo dalla perdita dei beni distratti
ma anche dal rendere più difficile e costoso, sia sotto il profilo materiale che giuridico, il loro
recupero, oltre al rilievo che il valore di un immobile dì proprietà della fallita, se occupato da
un diverso soggetto, si presenta in condizioni svantaggiate per qualsiasi eventuale operazione
di vendita o diversa utilizzazione.
Orbene, con tali precise argomentazioni i ricorrenti non si sono minimamente confrontati.
Peraltro, se è pur vero che i giudici di merito, nel valutare la distrazione nei termini sopra
illustrati, non hanno seguito fedelmente l’impostazione del capo 5 della rubrica, i ricorrenti, sul
punto, non hanno sollevato alcuna contestazione né in appello né nel ricorso per cassazione.
Anche ove si ritenesse in astratto che le due sentenze dei giudici di merito possano essere
incorse, sotto questo profilo, nel divieto di cui all’art. 521 c.p.p., tale eventuale violazione
dovrebbe comunque ritenersi senz’altro sanata. E’, infatti, principio consolidato di questa
Corte che la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza integra una nullità a
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Pubblico Ministero né dal giudice di primo grado.

regime intermedio che, in quanto verificatasi in primo grado, può essere dedotta fino alla
deliberazione della sentenza nel grado successivo; ne consegue che detta violazione non può
essere dedotta per la prima volta in sede di legittimità (sez. 4 n. 19043 del 29/03/2017, Rv.
269886).
6. Il secondo motivo di Tarricone Michele è inammissibile.
Va osservato che la determinazione del trattamento sanzionatorio, la concessione o meno

giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei
soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della
pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (Sez. 6 n. 41365 del 28 ottobre
2010, Straface, rv 248737).
Nel caso di specie, la Corte territoriale, nel negare le attenuanti generiche, ha
coerentemente evidenziato la gravità delle condotte contestate desumibile dalla intensità del
dolo mostrato nella perpetrazione delle stesse (con particolare riguardo alla cessione del ramo
d’azienda).
7. Il rigetto integrale del ricorso di Tarricone Michele comporta la condanna dello stesso al
pagamento delle spese processuali.
Quanto a Tarricone Vincenzo, la sentenza impugnata deve essere annullata con riferimento
al reato di cui all’art. 216 L.F. punto 2) della rubrica e deve disporsi il rinvio ad altra Sezione
della Corte d’Appello di Bari per la quantificazione della pena.
Il ricorso del Tarricone Vincenzo deve essere comunque rigettato nel resto.

P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata relativamente alla posizione di Tarricone Vincenzo con
riferimento al reato di cui all’art. 216 L.F. punto 2) della rubrica e rinvia ad altra sezione della
Corte d’Appello di Bari per la quantificazione della pena.
Rigetta il ricorso nel resto e rigetta altresì il ricorso di Tarricone Michele che condanna al
pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2018
Il consigliere estensore

Il Presidente

delle attenuanti generiche, o il bilanciamento delle circostanze rientrano nell’ambito di un

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