Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19367 del 21/10/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 19367 Anno 2017
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: MANCUSO LUIGI FABRIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ARBI FAHIMI ALIAS N. IL 20/10/1983
avverso l’ordinanza n. 1014/2015 TRIBUNALE di FIRENZE, del
20/10/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUIGI FABRIZIO
MANCUSO;
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Data Udienza: 21/10/2016

Letta la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del dott.
Giovanni Di Leo, Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso
questa Corte, il quale ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio
dell’ordinanza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

Tribunale di Firenze, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava la
richiesta di Arbi Fahimi, tendente ad ottenere, ai sensi dell’art. 671 cod.
proc. pen., l’applicazione della disciplina della continuazione in ordine a
reati giudicati con due sentenze di condanna emesse nei suoi confronti,
divenute irrevocabili.

2. L’avv. Antonio Bertei, difensore di Arbi Fahimi, ha proposto
ricorso per cassazione, richiamando l’art. 606, comma 1 lettera e), cod.
proc. pen. e deducendo carenza e contraddittorietà della motivazione in
ordine alla ritenuta insussistenza del medesimo disegno criminoso
richiesto per l’applicazione dell’art. 671 cod. proc. pen. Dopo aver
ricordato i principi fissati dalla giurisprudenza di legittimità in materia, il
ricorrente afferma che il giudice dell’esecuzione non avrebbe considerato
che i reati oggetto della prima sentenza – resistenza e falsa dichiarazione
sulla propria identità a un pubblico ufficiale – sarebbero stati commessi
appena tredici giorni prima di quelli giudicati con la seconda sentenza ancora falsa dichiarazione sulla propria identità a un pubblico ufficiale e
reingresso dello straniero nel territorio dello Stato dopo l’espulsione –

e

che tutte le condotte sarebbero state finalizzate a nascondere

la

condizione di clandestino dell’agente e ad evitargli l’allontanamento dal
territorio dello Stato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, in tema di
applicazione della continuazione, l’identità del disegno criminoso,
caratterizzante l’istituto disciplinato dall’art. 81, comma secondo, cod.
pen., postula che l’agente si sia previamente rappresentato e abbia
unitariamente deliberato una serie di condotte criminose e non si
identifica con il programma di vita delinquenziale del reo, che esprime,

2

1. Con ordinanza emessa all’udienza del 20 ottobre 2015, il

invece, la sua opzione a favore della commissione di un numero non
predeterminato di reati, i quali, seppure dello stesso tipo, non sono
identificabili

a priori

nelle loro principali coordinate, rivelando una

generale propensione alla devianza che si concretizzante, di volta in
volta, in relazione alle varie occasioni ed opportunità esistenziali (Sez. 1,
n. 15955 del 08/01/2016 – dep. 18/04/2016, P.M. in proc. Eloumari, Rv.
266615).

elementi costituiti dalla distanza cronologica tra i fatti, dalle modalità
della condotta, dalla tipologia dei reati, dal bene tutelato, dalla
omogeneità delle violazioni, dalla causale, dalle condizioni di tempo e di
luogo, essendo a tal fine sufficiente la sola constatazione di alcuni
soltanto di essi, purché significativi (Sez. 1, n. 11564 del 13/11/2012 dep. 12/03/2013, Daniele, Rv. 255156).
L’analogia dei singoli reati, l’unitarietà del contesto, l’identità della
spinta a delinquere e la brevità del lasso temporale che separa i diversi
episodi, singolarmente considerate, non costituiscono indizi necessari di
una programmazione e deliberazione unitaria, però ciascuno di questi
fattori, aggiunto ad un altro, incrementa la possibilità dell’accertamento
dell’esistenza di un medesimo disegno criminoso, in proporzione logica
corrispondente all’aumento delle circostanze indiziarie favorevoli (Sez. 1,
n. 12905 del 17/03/2010 – dep. 07/04/2010, Bonasera, Rv. 246838; Sez.
1, n. 44862 del 05/11/2008 – dep. 02/12/2008, Lombardo, Rv. 242098).
La valutazione in ordine alla sussistenza, in relazione alle concrete
fattispecie, dell’unicità del disegno criminoso, è compito del giudice di
merito, la cui decisione sul punto, se congruamente motivata, non è
sindacabile in sede di legittimità (Sez. 4, n. 10366 del 28/05/1990 – dep.
16/07/1990, Paoletti, Rv. 184908). L’indagine che si impone alla
riflessione del giudice chiamato a delibare un istanza di applicazione della
disciplina della continuazione deve concentrarsi su tre essenziali
problemi: dapprima, verificare la credibilità intrinseca, sotto i profili della
logica e della congruità, dell’asserita esistenza di un unico, originario
programma delittuoso; indi, analizzare i singoli comportamenti incriminati
per individuare le particolari, specifiche finalità che appaiono perseguite
dall’agente; infine, verificare se detti comportamenti criminosi, per le loro
particolari modalità, per le circostanze in cui si sono manifestati, per lo
spirito che li ha informati, per la finalità che li ha contraddistinti, possano
considerarsi, valutata anche la natura dei beni aggrediti, come

3

Jt,-

L’identità del disegno criminoso è apprezzabile sulla base degli

l’esecuzione, diluita nel tempo, del prospettato, originario, unico disegno
criminoso (Sez. 1, n. 1721 del 22/04/1992 – dep. 25/06/1992, Curcio,
Rv. 190807).

2. Sulla base dei predetti principi, nel caso in esame deve
affermarsi la fondatezza del ricorso.
La motivazione che dovrebbe sostenere logicamente l’ordinanza

dedotta dall’istante; non espone alcuna riflessione; non indica riferimenti
specifici ai dati emergenti dalle pronunce di condanna; omette, in
definitiva, una disamina articolata capace di mettere in luce tutti gli
elementi rilevanti e di spiegare le ragioni per le quali essi non siano idonei
a dimostrare – o escludano – che i reati in discussione siano avvinti dal
medesimo disegno criminoso.

3. Per le ragioni esposte, l’ordinanza impugnata deve essere
annullata, con rinvio al Tribunale di Firenze, che provvederà a nuovo
esame senza incorrere nei vizi riscontrati.

P. Q. M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al
Tribunale di Firenze.
Così deciso in Roma, 21 ottobre 2016.

impugnata reca l’apodittica negazione dell’unicità del disegno criminoso

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