Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19367 del 10/04/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 19367 Anno 2013
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: DE MARZO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli
avverso l’ordinanza datata 08/01/2013 del Tribunale di Napoli R.G. 9607/2012
nei confronti di Ambrosio Luigi, nato a San Giuseppe Vesuviano il 21/11/1975
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita in Camera di Consiglio la relazione svolta dal Consigliere Giuseppe De Marzo;
udito il Procuratore Generale, in persona del Dott. Gioacchino Izzo, che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza datata 08/01/2013 il Tribunale di Napoli ha accolto la richiesta di riesame
proposta da Luigi Ambrosio avverso l’ordinanza applicativa nei suoi confronti della custodia
cautelare in carcere in relazione ai reati di cui agli artt. 416 bis, commi primo, secondo,
terzo, quarto, quinto e sesto, cod. pen., nonché a fatti di bancarotta fraudolenta
patrimoniale e documentale.
1.1. Il Tribunale, dopo avere rilevato che dagli atti di indagine emergevano gravi indizi in
ordine all’esistenza e all’operatività criminale, nel territorio di San Giuseppe Vesuviano, San
Gennaro Vesuviano, Ottaviano e zone limitrofe, del cd. clan Fabbrocino, ha ritenuto
insussistente la gravità indiziaria in ordine alla partecipazione a quest’ultimo dell’Annbrosio.

Data Udienza: 10/04/2013

A quest’ultimo, in particolare, è stato contestato di avere fatto parte del sodalizio in esame e
di avere contribuito ai suoi scopi illeciti, avendo rivestito il ruolo di prestanome, quale
formale legale rappresentante della International Moda s.r.I., facente capo in realtà al boss
Biagio Bifulco, e avendo continuato a lavorare, anche dopo il fallimento della International
Moda s.r.I., nelle società a quest’ultimo riconducibili.
Secondo il Tribunale, tuttavia, le emergenze investigative avevano rivelato che la
International Moda s.r.l. era amministrata di fatto dal coindagato Umberto Ambrosio, longa
manus del Bifulco ed unico referente di Luigi Ambrosio, il quale aveva agito come mero

Il provvedimento impugnato ha sottolineato, al riguardo: che nelle numerose conversazioni
intercettate l’interlocutore di Luigi Ambrosio non era mai stato direttamente il Bifulco; che gli
unici rapporti diretti si erano registrati quando il Bifulco, il 10/10/2008, aveva ottenuto il
permesso di lasciare la casa lavoro, grazie ad un contratto di lavoro subordinato presso la
sua società Faville 2 s.r.I.: in tale periodo i due avevano lavorato insieme e l’Ambrosio aveva
svolto mansioni di autista e di factotum; che, tuttavia, tali circostanze non erano
sintomatiche di alcun ruolo attivo, né consapevole; che del pari l’utilizzazione da parte del
Bifulco e di Umberto Ambrosio di utenze cellulari intestate a Luigi Ambrosio poteva essere
spiegata con l’attivazione di queste ultime ad insaputa dell’intestatario; che anche Umberto
Ambrosio non poteva essere considerato un partecipe dell’associazione, avendo egli agito
come alter ego del solo Bifulco nelle attività imprenditoriali, nelle quali questi aveva investito
i suoi capitali e, in definitiva, in forza di un rapporto esclusivo e personale con il Bifulco,
sorretto da chiari ed esclusivi tornaconti economici personali del medesimo Umberto
Ambrosio.
1.2. Con riguardo ai fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale documentale, concernenti la
International Moda s.r.I., il Tribunale, pur ritenendo l’attribuibilità degli stessi a Luigi
Ambrosio, in relazione al suo ruolo di amministratore di diritto piegatosi alle decisioni di
Umberto Ambrosio, ha escluso, per le medesime ragioni riassunte supra sub 1.1., la
sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 7 I. n. 203 del 1991. Inoltre ha ritenuto insussistenti
le esigenze cautelar’, in ragione del fatto che le condotte contestate erano risalenti nel
tempo (la dichiarazione di fallimento era del marzo 2008), nonché del ruolo meramente
esecutivo svolto — peraltro solo per tale società -, dell’incensuratezza e dell’ammissione di
responsabilità. Tali elementi andavano valutati unitamente all’emissione di misura cautelare
nei confronti dei reali amministratori della holding del Bifulco e al sequestro delle sue
società.
2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica
presso il Tribunale di Napoli, il quale lamenta violazione di legge nonché carenza e
contraddittorietà della motivazione.
Quest’ultima, in particolare, è colta nel fatto che l’ordinanza impugnata ammette la presenza
imprenditoriale e commerciale del clan Fabbrocino nel territorio di riferimento, ma poi

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dipendente, con un ruolo che avrebbe mantenuto anche in altre società.

riconduce l’attività del Bifulco, gestita in prima persona da Umberto Ambrosio attraverso
numerosi prestanome, tra i quali uno dei più fidati è proprio Luigi Ambrosio, ad un’iniziativa
personale. Il ricorso lamenta, inoltre, la mancata considerazione dello svolgimento, da parte
di quest’ultimo, delle funzioni di autista e di factotum nel periodo di fraudolenta sottrazione
del Bifulco alla casa lavoro, e della presenza dell’Ambrosio a diversi incontri presso
l’abitazione di Brescia alla presenza degli altri indagati.
Le critiche sopra riportate sono utilizzate dal ricorrente anche per censurare la ritenuta
insussistenza dell’aggravante di cui all’art. 7 I. n. 203 del 1991.

1. Il ricorso è fondato.
La motivazione dell’ordinanza impugnata muove dalla premessa dell’esistenza del clan
Fabbrocino e del ruolo apicale ricoperto da Biagio Bifulco e precisa che il sodalizio criminale
si pone “ancor’oggi indubbiamente come gruppo che, vantando una forza intimidatrice
potente, basata proprio sul vincolo associativo e capace di esercitare (attraverso la
condizione di assoggettamento e omertà) un pieno controllo del territorio con la
sottoposizione ad estorsione delle principali attività economiche, adotta come nuova
strategia di guadagno quella di amministrare in proprio attività imprenditoriali condotte con
investimento di capitali illeciti derivanti dall’attività camorrista e gestite con metodi mafiosi”.
Immediatamente dopo si legge che “in tale direzione va sicuramente la reggenza del Bifulco
e del Cesarano” (pag. 3 dell’ordinanza impugnata).
Ora, appare effettivamente assente una reale motivazione quanto all’affermazione che
Umberto Ambrosio, immediato referente del ricorrente, sia un alter ego del “solo” Bifulco,
nelle attività imprenditoriale in cui questi ha investito i suoi capitali, pur essendo
verosimilmente consapevole della illecita provenienza degli stessi e dello spessore criminale
,

del suo dominus (pag. 7 dell’ordinanza Impugnata), dal momento che il perseguimento di
interessi personali da parte dell’Ambrosio non esclude la consapevole partecipazione agli
scopi dell’associazione.
Inoltre appare contraddittorio con la sopra ricordata premessa il ritenuto carattere
meramente individuale degli investimenti.
Siffatte carenza e contraddittorietà si saldano poi con una valutazione atomistica degli
specifici elementi a carico dell’odierno ricorrente, il quale, oltre ad assumere un ruolo di
prestanome nella ‘società gestita da Umberto Ambrosio per conto del Bifulco, ha agito
operativamente alle dipendenze del primo e, soprattutto, ha svolto mansioni di autista e di
factotum del Bifulco (pag. 6 dell’ordinanza impugnata).
Tali profili fattuali, unitamente all’utilizzo da parte del Bifulco e di Umberto Ambrosio di
utenze cellulari intestate al ricorrente, appaiono rivelatori di una particolare fiducia riposta
dal capo clan in quest’ultimo e non appaiono approfonditi in una visione unitaria.
Al riguardo deve ribadirsi che per “gravi indizi di colpevolezza” ex art. 273 c.p.p., devono
intendersi tutti quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa, che, contenendo

3

CONSIDERATO IN DIRITTO

in nuce tutti o soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova, non
valgono di per sè a provare oltre ogni dubbio la responsabilità dell’indagato ai fini della
pronuncia di una sentenza di condanna, e tuttavia consentono, per la loro consistenza, di
prevedere che, attraverso il prosieguo delle indagini, saranno idonei a dimostrare tale
responsabilità, fondando nel frattempo una qualificata probabilità di colpevolezza (di recente,
si veda Sez. 1, n. 20563 del 13/04/2011, Palmanova, Rv. 250296, in motivazione).
Le superiori considerazioni investono anche la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 7 I. n.
203 del 1991 in relazione ai contestati fatti di bancarotta.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Napoli.
Così deciso in Roma il 10/04/2013

Il Componente estensore

Si impone, pertanto, l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.

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