Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19364 del 20/10/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 19364 Anno 2017
Presidente: DI TOMASSI MARIASTEFANIA
Relatore: MANCUSO LUIGI FABRIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CREA DOMENICO N. IL 28/08/1951
avverso l’ordinanza n. 358/2014 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 20/10/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUIGI FABRIZIO
MANCUSO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 20/10/2016

Letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del dott.
Paolo Canevelli, Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso
questa Corte, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso e la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

RITENUTO IN FATTO

funzione di giudice dell’esecuzione, Crea Domenico, premesso che con
sentenza della predetta Corte in data 15 dicembre 2012, divenuta
irrevocabile il 22 gennaio 2014, gli era stata irrogata la pena di anni sei e
mesi undici di reclusione per i reati, uniti dal vincolo della continuazione,
di cui agli artt. 110, 416-bis, commi primo, secondo, terzo, quarto e
quinto, 640-bis cod. pen., invocava la rideterminazione della pena per il
reato più grave, sulla base dei parametri sanzionatori più favorevoli
successivamente fissati dall’art. 416-ter cod. pen.

2. Con ordinanza del 20 ottobre 2015, il giudice dell’esecuzione
rigettava l’istanza.

3. L’avv. Sandro Furfaro ha proposto ricorso per cassazione con
atto depositato il 18 novembre 2015. Deduce la violazione dell’art. 2 cod.
pen., con riguardo alla intangibilità del giudicato ritenuta dal giudice
dell’esecuzione benché si versi in ipotesi di sopravvenienza di lex mitior.
Richiama, sul piano generale, la giurisprudenza della Corte costituzionale,
la giurisprudenza di legittimità, la dottrina, la giurisprudenza della Corte
EDU, affermando che il giudicato viene eliso a seguito di legge più
favorevole, sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata
dell’art. 2, quarto comma, cod. pen. Sostiene che la condotta per la quale
il Crea è stato condannato, ai sensi degli artt. 110 e 416-bis cod. pen.,
vada sussunta nella norma incriminatrice di cui all’art. 416-ter cod. pen.,
il cui trattamento sanzionatorio risulta oggi più favorevole. Per l’ipotesi in
cui la Corte Suprema di cassazione non ritenga percorribile
l’interpretazione dell’art. 2, quarto comma, cod. pen. secondo il principio
di eguaglianza, espone questione di legittimità costituzionale, che afferma
non manifestamente infondata in relazione agli artt. 3 e 117 Cost.
(quest’ultimo in rapporto all’art. 7 CEDU), dell’art. 2, quarto comma, cod.

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1. Con istanza rivolta alla Corte di appello di Reggio Calabria, in

pen., nella parte in cui esclude l’applicabilità della legge più favorevole
nei casi di sentenza divenuta irrevocabile.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, in tema di
associazione di tipo mafioso, assume il ruolo di

concorrente esterno il

dell’associazione e privo dell’affectio societatís,

fornisce un concreto,

specifico, consapevole e volontario contributo, sempre che questo esplichi
un’effettiva rilevanza causale e quindi si configuri come condizione
necessaria per la conservazione o il rafforzamento delle capacità
operative dell’associazione (o, per quelle operanti su larga scala come
Cosa nostra,

di un suo particolare settore e ramo di attività o

articolazione territoriale) e sia diretto alla realizzazione, anche parziale,
del programma criminoso della medesima (Sez. U, n. 33748 del
12/07/2005 – dep. 20/09/2005, Mannino, Rv. 23167101). Tale contributo
può ben connettersi ad un accordo mediante cui un esponente politico si
impegni, in cambio della promessa di voti nell’ambito di elezioni
amministrative, a favorire l’organizzazione criminale nell’aggiudicazione
di appalti ed in genere nei futuri rapporti con la P.A. Non osta, in tal
senso, la specifica previsione di cui all’art. 416-ter cod. pen., la quale
mira piuttosto ad estendere la punibilità ai casi nei quali lo scambio
elettorale politico-mafioso, non risolvendosi in contributo al
mantenimento o rafforzamento dell’associazione, resterebbe irrilevante
secondo il combinato disposto degli artt. 110 e 416-bis cod. pen. (Sez. 1,
n. 4043 del 25/11/2003 – dep. 03/02/2004, Cito, Rv. 22999101; nella
specie, la Corte ha confermato la qualificazione a titolo di concorso
esterno del patto stipulato da un candidato ad elezioni comunali, la cui
stessa conclusione aveva rafforzato l’associazione mafiosa, anche nei
rapporti tra questa ed organizzazioni rivali, per l’aspettativa di favoritismi
da parte della nuova amministrazione locale). Ai fini della configurabilità
del reato di scambio elettorale politico-mafioso (art. 416-ter cod. pen.) è
sufficiente un accordo elettorale tra l’uomo politico e l’associazione
mafiosa, avente per oggetto la promessa di voti in cambio del
versamento di denaro, mentre non è richiesta la conclusione di ulteriori
patti che impegnino l’uomo politico ad operare in favore dell’associazione
in caso di vittoria elettorale. Ne consegue che, nell’ipotesi in cui tali

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soggetto che, non inserito stabilmente nella struttura organizzativa

ulteriori patti vengano conclusi, occorre accertare se la condotta
successivamente posta in essere dal predetto a sostegno degli interessi
dell’associazione che gli ha promesso o procurato i voti assuma i caratteri
della partecipazione ovvero del concorso esterno all’associazione
medesima, configurandosi, oltre il reato sopra indicato, anche quello di
cui all’art. 416-bis cod. pen. (Sez. 6, n. 43107 del 09/11/2011 – dep.

2.

Sulla base dei predetti principi, pienamente condivisibili e

ancora attuali nonostante le riforme novellatrici dell’art. 416-ter cod.
pen., deve affermarsi la correttezza giuridica dell’ordinanza impugnata. Il
giudice dell’esecuzione, infatti, non si è limitato a ricordare, sotto il profilo
degli effetti sul giudicato penale, la differenza di efficacia fra la
successione di leggi penali e la declaratoria di illegittimità costituzionale
di una norma che prevede e punisce un determinato reato, né a
rimarcare che è inibito, ai sensi dell’art. 2, quarto comma, cod. pen.,
applicare norme più favorevoli eventualmente approvate dal legislatore
dopo che una sentenza di condanna sia divenuta irrevocabile. L’ordinanza
impugnata, infatti, sia pur premettendo una valutazione di superfluità
dell’esame in proposito, ha poi risolto negativamente, nel rispetto dei
principi evocati nel superiore paragrafo, il quesito circa la possibilità che
l’art. 416-ter ricomprenda le condotte già ritenute integranti il delitto di
cui agli artt. 110 e 416-bis cod. pen. Sul punto, è pregnante
l’affermazione della eterogeneità delle due condotte. E, proprio in
considerazione di essa, è esclusa nel caso in esame la ricorrenza di un
fenomeno di successione di norme penali ed è superata la tematica
relativa all’interpretazione dell’art. 2, quarto comma, cod. pen., in ordine
al quale la proposta questione di illegittimità costituzionale è
conseguentemente priva di rilevanza, assorbita ogni riflessione circa il
profilo della manifesta infondatezza.

3. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile,
per manifesta infondatezza, in applicazione dell’art. 606, comma 3, cod.
proc. pen. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., il ricorrente va
condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento della
somma di euro 1.500,00 alla Cassa delle ammende, non essendo dato
escludere – alla stregua del principio di diritto affermato da Corte cost. n.

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22/11/2011, P.G. in proc. Pizzo e altro, Rv. 25137001).

186 del 2000 – la sussistenza dell’ipotesi della colpa nella proposizione
dell’impugnazione.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.500,00 alla

Così deciso in Roma, 20 ottobre 2016.

Cassa delle ammende.

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