Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19360 del 05/10/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 19360 Anno 2017
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: MANCUSO LUIGI FABRIZIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
GIORLANDO ANTONINO nato il 28/09/1953 a PALERMO

avverso l’ordinanza del 05/04/2016 del TRIB. LIBERTA di PALERMO
sentita la relazione svolta dal Consigliere LUIGI FABRIZIO MANCUSO;
lette/sentite le conclusioni del PG MARILIA DI NARDO

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Data Udienza: 05/10/2016

Il Pubblico ministero, in persona della dott.ssa Marilia Di Nardo,
Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, ha
concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità o, in subordine, il
rigetto del ricorso.
L’avv. Graziella D’Agostino, in sostituzione dell’avv. Vincenzo
Giambruno, difensore di Giorlando Antonino, ha concluso chiedendo

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza datata 8 aprile 2016, il Tribunale di Palermo, in
sede di riesame, confermava l’ordinanza in data 11 marzo 2016, con la
quale il Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale, in
considerazione della ritenuta sussistenza di esigenze cautelari e di gravi
indizi di colpevolezza, sulla base di risultanze di intercettazioni di
conversazioni, aveva disposto la misura della custodia in carcere nei
confronti di Giorlando Antonino, in ordine ai reati, accertati in S. Martino
delle Scale il 14 febbraio 2014, di detenzione illegale e cessione di una
pistola, arma comune da sparo, a Di Lorenzo Giovanni.

2.

L’avv. Vincenzo Giambruno, difensore del Giorlando, ha

proposto ricorso per cassazione datato 10 maggio 2016, con il quale si
deduce, richiamando l’art. 606, comma 1 lettere b), e), cod. proc. pen.,
erronea applicazione degli artt. 2 e 4 legge 895 del 1967, 192, 273, 274,
275 cod. proc. pen., nonché difetto di motivazione. La condotta del
Giorlando è estranea ai delitti contestati. Il quadro accusatorio è
costituito esclusivamente da intercettazioni ambientali dal contenuto
criptico, comunque prive di riscontri. Il presunto possesso in capo al Di
Lorenzo di una pistola, non verificato, non dimostrerebbe che a costui
l’arma sia stata ceduta dal Giorlando. Se è vero che vi sono stati contatti
fra i due e che dopo le conversazioni essi si sono visti, il contenuto delle
intercettazioni è tale che nemmeno per via interpretativa o attraverso un
notevole sforzo di fantasia è possibile pensare o immaginare che
l’incontro fosse destinato a perfezionare la cessione di un’arma. Nessun
elemento consente di escludere che si sia trattato di altro oggetto né che
la pistola potesse essere già nella disponibilità del soggetto incontrato dal
Giorlando. Costui parla di «quelle cose», utilizzando cioè il plurale e
determinando la presunzione logica che potesse trattarsi di altro. La

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l’accoglimento del ricorso.

sentenza della Corte suprema di cassazione n. 9006 del 1997 stabilisce
che la condotta ascritta all’imputato deve essere provata per intero e che
la condanna non può essere basata su un quadro probatorio incompleto
superato e sull’assunto che i fatti provati consentono di immaginare con
sufficiente approssimazione i fatti non provati. Nel caso in esame, le
intercettazioni non solo non costituiscono prova ma nemmeno indizio. La
principale fonte di prova dell’accusa sarebbe rappresentata da

da altri elementi di prova. In tema di applicazione di misure cautelari
personali, qualora gli elementi a carico di un soggetto siano costituiti
dalle conversazioni tra coindagati captate nel corso di operazioni di
intercettazioni, il giudice è chiamato a un rigoroso apprezzamento non
solo della credibilità soggettiva dei dichiaranti dialoganti, dell’attendibilità
intrinseca e della convergenza in senso accusatorio di quanto da essi
affermato, ma anche della convergenza di tali dichiarazioni con dati certi.
Il vaglio critico delle risultanze probatorie non è stato operato dal Giudice
per le indagini preliminari né dal Tribunale del riesame e da ciò deriva
vizio sia di diritto sia motivazionale. Prima ancora che sul piano giuridico,
le argomentazioni utilizzate nell’ordinanza impugnata sono fallaci sul
piano logico, perché attribuiscono un ruolo criminoso al Giorlando,
mentre i dialoghi intercettati sono poco chiari e non vi sono altri riscontri
(quali videoriprese, servizi di osservazione) che dimostrino la reale
disponibilità dell’arma. Le intercettazioni non forniscono prova piena del
fatto delittuoso ma sarebbero riferibili a fatti imprecisati il cui contenuto
non è sostenuto da ulteriori elementi obiettivi. L’articolo 192 cod. proc.
pen. impone che la valutazione delle intercettazioni, se prive di riscontri
oggettivi, sia espletata al giudice in particolare attenzione e rigore, cioè in
proporzione al contenuto limitato del compendio probatorio, assente in
questo caso. Il vuoto probatorio su cui si basa l’ordinanza impugnata non
può riverberarsi in senso negativo sull’indagato, attraverso un giudizio di
presunta responsabilità che si fonda su conversazioni dal contenuto
dubbio. I giudici del merito compiono un ragionamento assolutamente
privo di logica, non sussistendo elementi di alcun tipo che possano far
pensare che il Giorlando fosse in possesso di un’arma e che
successivamente l’abbia ceduta ad altri. La prova in esame non offre dati
positivi certi e convincenti ma assai generici e, comunque, privi dei
requisiti di legge per l’applicazione della misura cautelare massimamente
restrittiva. L’ordinanza impugnata è in contrasto con l’orientamento

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intercettazioni telefoniche ed ambientali che, però, non sono riscontrate

costante della giurisprudenza di legittimità. In tema intercettazioni di
conversazioni o comunicazioni, il presupposto dei gravi indizi di reato va
inteso non in senso probatorio, ossia come valutazione del fondamento
dell’accusa, ma come vaglio di particolare serietà delle ipotesi delittuose
configurate, le quali non devono risultare meramente ipotetiche, essendo
al contrario richiesta una sommaria ricognizione degli elementi dai quali
sia dato desumere la seria probabilità della avvenuta consumazione di un

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato. Il Tribunale ha
attentamente analizzato le risultanze disponibili ed è pervenuto, senza
incorrere in alcun errore di diritto, all’affermazione della sussistenza sia di
gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati ipotizzati, sia di esigenze
cautelari. Lo sviluppo argomentativo della motivazione posta a sostegno
dell’ordinanza impugnata, esauriente ed immune da vizi logici, è basato
su una coerente analisi critica degli elementi disponibili e sulla loro
coordinazione in un organico quadro interpretativo, soprattutto con
riguardo alle frasi pronunciate dal Giorlando nel corso delle conversazioni
intercettate ed ai suoi movimenti, tutti ricollegati razionalmente alle
risultanze di perquisizioni eseguite dalla Polizia giudiziaria, sfociate nel
sequestro di armi. Detta motivazione, quindi, supera il vaglio di
legittimità demandato a questa Corte, il cui sindacato deve arrestarsi alla
verifica del rispetto delle regole della logica e della conformità ai canoni
legali che presiedono all’apprezzamento delle circostanze fattuali.
Di contro, il ricorso non centra specificamente, in chiave critica, la
ratio dell’ordinanza, perché si limita a proporre, con le doglianze
sinteticamente elencate

supra,

valutazioni di elementi di fatto che

risultano espressamente già considerati dal Tribunale o, comunque,
pienamente superati dalle assorbenti osservazioni del provvedimento.
In definitiva, le censure formulate nell’interesse del ricorrente,
riguardanti la valutazione del compendio indiziario posto a fondamento
del provvedimento impugnato, non possono trovare accoglimento, perché
si risolvono in richieste di analisi critiche esulanti dai poteri di sindacato
del giudice di legittimità, mentre il relativo apprezzamento motivazionale
non si palesa, nella sua completezza, né manifestamente illogico, né
viziato da non corretta applicazione della normativa. In proposito, va

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reato (Cass., n. 10902 del 2010).

Trasmessa copia ex art. 23
n. 1 ter L. 8-8-95 n. 332
Roma, lì
ricordato che, secondo assunto non controverso, in tema di misure
cautelari, la valutazione del peso probatorio degli indizi è compito
riservato al giudice di merito e, in sede di legittimità, tale valutazione può
essere contestata unicamente sotto il profilo della sussistenza,
adeguatezza, completezza e logicità della motivazione, mentre non sono
ammesse le censure che, pure investendo formalmente la motivazione, si
risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze

merito» il quadro probatorio a carico, fondato sul risultato delle indagini
svolte, evidenziato nel provvedimento impugnato.

2. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile in
applicazione dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen. Ai sensi dell’art. 616
cod. proc. pen., il ricorrente va condannato al pagamento delle spese
processuali e al versamento della somma di euro 1.500,00 alla cassa
delle ammende, non essendo dato escludere – alla stregua del principio di
diritto affermato da Corte cost. n. 186 del 2000 – la sussistenza della
ipotesi della colpa nella proposizione dell’impugnazione.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.500,00 alla
cassa delle ammende.
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del
provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94,
co. 1-ter, disp. att. c.p.p.
Così deciso in Roma, 5 ottobre 2016.

già esaminate da detto giudice. In concreto, il ricorrente contesta «nel

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