Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19358 del 05/10/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 19358 Anno 2017
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: MANCUSO LUIGI FABRIZIO

sul ricorso proposto da:
CRESCENZA ARCANGELO elIo il 24/04/1971 a FASANO

avverso l’ordinanza del _11.i/1H/2015 del TRIBUNALE di BRINDISI
sentita la relazione svolta dai Consigliere LUIGI FABRIZIO MANCUSO;
(

Data Udienza: 05/10/2016

:

Letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del dott.
Sante Spinaci, Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso
questa Corte, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con istanza al Tribunale di Brindisi, in funzione di giudice

l’applicazione della disciplina della continuazione, ai sensi dell’art. 671 cod.
proc. pen., in ordine ai reati giudicati con alcune sentenze divenute
irrevocabili.

2. Il giudice dell’esecuzione dichiarava l’istanza inammissibile,
qualificandola come mera riproposizione di un’altra già rigettata, con
riferimento ai reati giudicati con le sentenze del Tribunale di Brindisi,
Sezione distaccata di Fasano, del 12 dicembre 2008 e del Tribunale di
Brindisi del 15 febbraio 2010; rigettava l’istanza per il resto.

3. L’avv. Ladislao Massari, difensore del Crescenza, ha proposto
ricorso per cassazione datato 30 giugno 2015, richiamando l’art. 606,
comma 1 lettere c), e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 666, comma
2, 671, cod. proc. pen., 81 cod. pen., illogicità e contraddittorietà della
motivazione. Il giudice dell’esecuzione avrebbe errato sia nel qualificare
l’istanza come mera riproposizione di una istanza precedente analoga, in
relazione ai reati indicati nel provvedimento nei punti «e», «t», mentre
essa era basata sulla produzione di nuovi elementi e, quindi, non operava
alcuna preclusione; sia nel valutare le circostanze dimostrative dell’unicità
del disegno criminoso fra tutti i reati.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, in tema di
applicazione della continuazione, l’identità del disegno criminoso, che
caratterizza l’istituto disciplinato dall’art. 81, comma secondo, cod. pen.,
postula che l’agente si sia previamente rappresentato e abbia
unitariamente deliberato una serie di condotte criminose e non si identifica
con il programma di vita delinquenziale del reo, che esprime, invece,
l’opzione del reo a favore della commissione di un numero non

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dell’esecuzione, veniva richiesta, nell’interesse di Crescenza Arcangelo,

predeterminato di reati, i quali, seppure dello stesso tipo, non sono
identificabili a priori nelle loro principali coordinate, rivelando una generale
propensione alla devianza che si concretizza, di volta in volta, in relazione
alle varie occasioni ed opportunità esistenziali (Sez. 1, n. 15955 del
08/01/2016 – dep. 18/04/2016, P.M. in proc. Eloumari, Rv. 266615).
L’identità del disegno criminoso è apprezzabile sulla base degli
elementi costituiti dalla distanza cronologica tra i fatti, dalle modalità della

violazioni, dalla causale, dalle condizioni di tempo e di luogo, essendo a tal
fine sufficiente la sola constatazione di alcuni soltanto di essi, purché
significativi (Sez. 1, n. 11564 del 13/11/2012 – dep. 12/03/2013, Daniele,
Rv. 255156).
L’analogia dei singoli reati, l’unitarietà del contesto, l’identità della
spinta a delinquere e la brevità del lasso temporale che separa i diversi
episodi, singolarmente considerate, non costituiscono indizi necessari di
una programmazione e deliberazione unitaria, e, però, ciascuno di questi
fattori, aggiunto ad un altro, incrementa la possibilità dell’accertamento
dell’esistenza di un medesimo disegno criminoso, in proporzione logica
corrispondente all’aumento delle circostanze indiziarie favorevoli (Sez. 1,
n. 12905 del 17/03/2010 – dep. 07/04/2010, Bonasera, Rv. 246838; Sez.
1, n. 44862 del 05/11/2008 – dep. 02/12/2008, Lombardo, Rv. 242098).
La valutazione in ordine alla sussistenza, in relazione alle concrete
fattispecie, dell’unicità del disegno criminoso, è compito del giudice di
merito, la cui decisione sul punto, se congruamente motivata, non è
sindacabile in sede di legittimità (Sez. 4, n. 10366 del 28/05/1990 – dep.
16/07/1990, Paoletti, Rv. 184908).
L’indagine che si impone alla riflessione del giudice chiamato a
delibare un istanza di applicazione della disciplina della continuazione deve
concentrarsi su tre essenziali problemi: dapprima, verificare la credibilità
intrinseca, sotto i profili della logica e della congruità, dell’asserita
esistenza di un unico, originario programma delittuoso; indi, analizzare i
singoli comportamenti incriminati per individuare le particolari, specifiche
finalità che appaiono perseguite dall’agente; infine, verificare se detti
comportamenti criminosi, per le loro particolari modalità, per le circostanze
in cui si sono manifestati, per lo spirito che li ha informati, per le finalità
che li ha contraddistinti, possano considerarsi, valutata anche la natura dei
beni aggrediti, come l’esecuzione, diluita nel tempo, del prospettato,

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condotta, dalla tipologia dei reati, dal bene tutelato, dalla omogeneità delle

originario, unico disegno criminoso (Sez. 1, n. 1721 del 22/04/1992 – dep.
25/06/1992, Curcio, Rv. 190807).

2. Nel caso concreto, l’ordinanza è errata solo nella qualificazione
dell’istanza come inammissibile con riferimento alla richiesta di
riconoscimento della continuazione fra i reati (nel provvedimento, punti
«e», «t») giudicati con le sentenze del Tribunale di Brindisi, Sezione

15 febbraio 2010, perché avrebbe dovuto statuire formalmente il rigetto
dell’istanza, per coerenza con la natura di merito del giudizio espresso.
Invero, il giudice dell’esecuzione asserisce che l’istanza costituisce,
con riguardo a detti reati, mera riproposizione di richiesta analoga già
rigettata, ma finisce poi per esprimere, nell’intento di avvalorare
l’affermazione, un puntuale giudizio di merito, nel momento in cui pone in
evidenza, con esposizione solo apparentemente neutrale, che, per
raggiungere il risultato opposto perseguito dalla difesa, di dimostrare il
preteso carattere di novità all’istanza ora in esame, «a nulla rileva, in
particolare, la produzione di un atto del fascicolo per il P.M. non valorizzato
nelle motivazioni delle sentenze, sulle quali, al contrario, va fondato il
giudizio ex art. 81 cod. pen.».
In altri termini, il giudice dell’esecuzione mostra di aver tenuto
conto della portata intrinseca del documento prodotto, non fermandosi al
diniego di quel carattere di novità che era propugnato dall’istante. E ciò
avrebbe dovuto condurre alla formulazione della decisione come rigetto,
non come declaratoria di inammissibilità.
Per il resto, il giudice dell’esecuzione ha fatto corretta applicazione
dei suddetti principi di diritto.
In particolare, in ordine ai reati ora evidenziati l’ordinanza spiega
appunto, con l’espressione già ricordata, la cui estrema sinteticità è
giustificata perché sottende un implicito rinvio alla precedente decisione di
istanza analoga, che il giudizio

ex art. 81 cod. pen. è basato sulle

motivazioni delle sentenze di condanna.
In ordine agli altri reati, poi, l’ordinanza espone ordinatamente le
ragioni del rigetto, riconducendo la negazione dell’unicità di disegno
criminoso, per uno dei gruppi di reati (nel provvedimento, punti «a», «b»),
alla distanza temporale, alle diversità delle fattispecie (furto e
ricettazione), delle modalità di condotta, dei luoghi di commissione; per
l’ulteriore gruppo di reati (nel provvedimento, punti «c», «d»), alla distanza

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distaccata di Fasano, del 12 dicembre 2008 e del Tribunale di Brindisi del

temporale e alle diversità delle zone in cui vennero commessi e dei
concorrenti.
Proprio avuto riguardo al contenuto, la giustificazione dell’ordinanza
risulta congrua, adeguata, priva di illogicità manifesta. Il ricorso tende,
invece, a provocare una nuova valutazione di circostanze di fatto, non
ammessa in sede di legittimità.

annullata, senza rinvio, limitatamente al profilo formale relativo alla
declaratoria di inammissibilità della richiesta – che va invece rigettata per
infondatezza – finalizzata al riconoscimento della continuazione tra i reati
giudicati con le sentenze del Tribunale di Brindisi, Sezione distaccata di
Fasano, del 12 dicembre 2008 e del Tribunale di Brindisi del 15 febbraio
2010.
Il ricorso per cassazione deve essere rigettato perché infondato, con
la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P. Q. M.

Annulla, senza rinvio, l’ordinanza impugnata limitatamente alla
declaratoria di inammissibilità della richiesta di riconoscimento della
continuazione tra i reati giudicati con le sentenze del Tribunale di Brindisi,
Sezione distaccata di Fasano, del 12 dicembre 2008 e del Tribunale di
Brindisi del 15 febbraio 2010; rigetta detta richiesta unitamente al ricorso
e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, 5 ottobre 2016.

3. Per le ragioni esposte, l’ordinanza impugnata deve essere

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