Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19356 del 17/01/2018

Penale Sent. Sez. 5 Num. 19356 Anno 2018
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: CALASELICE BARBARA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

AA

avverso la sentenza del 18/10/2016 della Corte di appello di Genova

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Barbara Calaselice;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Ferdinando Lignola, che ha concluso chiedendo l inammissibilità del ricorso;
udito il difensore, avv. C. Bertocchini, che ha concluso chiedendo l’accoglimento
del ricorso.

Data Udienza: 17/01/2018

RITENUTO IN FATTO

1.

La sentenza impugnata ha parzialmente riformato la pronuncia del

Tribunale di Genova, del 17 luglio 2013, emessa nei confronti di AA, dichiarando la prescrizione in relazione ai reati di cui ai capi
e) ed f) e riducendo la pena irrogata, in quella di anni cinque di reclusione per i
residui capi di imputazione (capi a) – b) n. 2 e 3 e c). Si tratta di contestazioni

(capo a) bancarotta fraudolenta, patrimoniale, documentale, impropria di cui la
AA risponde a titolo di amministratore di fatto) e della M s.r.I.,
dichiarata fallita in data 26 febbraio 2004 (capi b) e c) di cui la AA risponde
nella veste di amministratore unico e liquidatore).

2.

Avverso la pronuncia indicata ha proposto tempestivo ricorso per

cassazione l’imputata, tramite il difensore di fiducia, avv. Cristina Bertocchini,
deducendo i vizi di seguito indicati, nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp.
att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo si denuncia violazione di legge e si lamenta la
mancata declaratoria di prescrizione, in relazione ai capi b) n. 2 e 3 e c). Su tale
punto si assume che il tempo necessario a prescrivere si calcola tenuto conto del
massimo della pena con interruzioni e sospensioni che, complessivamente, non
possono superare di un quarto la pena massima, deducendo che i reati indicati
erano estinti per prescrizione già all’agosto del 2016.
2.1.1. Si contesta la qualificazione del fatto di cui al capo a), tenuto conto
della diversità ontologica tra il delitto di cui all’art. 216 I. fai!. e quello di
bancarotta impropria punito ai sensi dell’art. 223, comma 2 n. 1 legge citata. Sul
punto specificamente si contesta, inoltre, che alla sentenza dichiarativa di
fallimento possa attribuirsi natura di condizione obiettiva di punibilità, ma si
prospetta che il fallimento abbia natura di evento. La ricorrente, dunque,
evidenzia come sia necessario il nesso causale tra la condotta dell’agente e il
dissesto e, quindi, la necessità di analizzare il tempo trascorso tra la condotta e
la dichiarazione di fallimento, ponendo mente agli atti di disposizione di beni
eseguiti, nonché di valutare se quelli distrattivi abbiano avuto o meno diretta
efficienza causale rispetto al successivo fallimento. Inoltre nella specie non vi
sarebbe prova della consapevolezza da parte
insolvenza.

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dell’extraneus,

dello stato di

relative al fallimento della Movi Bike s.r.I., dichiarata fallita il 29 settembre 2005

2.1.2. Infine la ricorrente deduce violazione di legge, in ordine alla mancata
concessione dell’indulto.
2.2. Con il secondo motivo si lamenta inosservanza di norme processuali,
stante la mancata rinnovazione istruttoria da parte della Corte territoriale. Il
ricorso evidenzia che la motivazione in ordine alle ragioni della mancata
rinnovazione istruttoria, non ha tenuto conto che i testi non escussi erano stati
originariamente inseriti nella lista testimoniale della difesa e che, rispetto a tali

495 cod. proc. pen. e con l’orientamento, di questa Corte di legittimità, secondo
il quale la mancata citazione di un teste per l’udienza non determina decadenza
dalla prova, salvo che questa non sia superflua. Nella specie si tratta, per la
ricorrente, di testi ammessi dal Tribunale e non citati, che comunque avrebbero
reso una deposizione decisiva per la pronuncia da adottare, dovendo essere
escussi sulle ragioni che avevano condotto la Movi Bike s.r.l. al fallimento, in
quanto professionisti della società e suo amministratore di diritto.
2.3. Con il terzo motivo si denuncia il vizio di mancata assunzione di prova
decisiva, cioè l’audizione dei testi X Y Z avendo il primo reso dichiarazioni al curatore, da reputare dirimenti
rispetto al ruolo di amministratore di fatto svolto dell’imputata. Si denuncia
contraddittorietà della motivazione tenuto conto che l’impianto probatorio
condurrebbe, per la ricorrente, alla qualificazione del ruolo dell’imputata quale
mera addetta alle vendite, con compiti impiegatizi e non quello contesto di
amministratrice di fatto. Sotto tale profilo si evidenzia che i testi escussi erano
gli acquirenti dei veicoli che hanno dichiarato di aver avuto contatti e di aver
concluso transazioni con la AA, a conferma che quest’ultima, nella Motor
Bike s.rI., era mera addetta alle vendite e non amministratore.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato e, pertanto, deve essere dichiarato
inammissibile.

2. Rispetto all’eccepita prescrizione si osserva preliminarmente che
l’inammissibilità del ricorso preclude il rilievo dell’eventuale prescrizione
maturata successivamente alla sentenza impugnata (Sez. U, n. 32 del
11/11/2000, De Luca, Rv. 217266). In ogni caso si osserva che, tenuto conto
della pena edittale massima, dell’intervenuta causa interruttiva del termine di

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testi, si era dichiarata la parte decaduta dalla prova. Ciò in contrasto con l’art.

prescrizione (sentenza di primo grado) e della consumazione del reato (sentenza
dichiarativa di fallimento della s.r.l. Mdel 26 febbraio 2004), al
momento della pronuncia di secondo grado non era decorso il termine di
prescrizione massimo, calcolato ai sensi del combinato disposto di cui agli artt.
157 e 160 cod. pen., in anni dodici e mesi sei. Deve osservarsi, infatti,
contrariamente a quanto assunto nel ricorso, che a tale termine massimo, vanno
aggiunti i periodi di sospensione del corso della prescrizione, ai sensi dell’art. 159

complessivi giorni 104 (sentenza dichiarativa di fallimento del 26 febbraio 2004,
dunque, il termine è decorso soltanto alla data del 9 dicembre 2016, dopo la
sentenza di secondo grado). Il limite massimo di cui all’art. 161, comma 2, cod.
pen., op. infatti, opera soltanto per i casi di sospensione del procedimento
pronunciata ai sensi dell’art. 420-quater cod. proc. pen., non anche per le
restanti cause di sospensione di cui all’art. 159 cit. E’ infine, appena il caso di
osservare che, esaminati gli atti, in particolare l’istanza di rinvio della difesa
depositata alla Corte territoriale e l’ordinanza emessa all’udienza del 4 luglio
2016, il rinvio segnalato nei motivi di ricorso va computato per l’intera durata,
tra l’udienza del 4 luglio e la successiva, de 17 ottobre 2016, trattandosi di
istanza di mero rinvio non determinata da impedimento per concomitanti
impegni professionali, proposta dal difensore di fiducia dell’imputata (cfr. istanza
depositata per l’udienza del 4 luglio 2016).
2.1. Con riferimento al motivo di cui al punto 2.1.1., si osserva che
conformemente all’indirizzo espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U,
n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266804) ai fini della sussistenza del
reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, non è necessaria
l’esistenza del nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento,
essendo sufficiente che l’agente abbia cagionato il depauperamento dell’impresa,
destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività. Rispetto a tale
impostazione appare, quindi, non condivisibile la prospettazione difensiva
secondo la quale sussisterebbe la necessità di analizzare il tempo trascorso tra la
condotta e la dichiarazione di fallimento e porre mente agli atti di disposizione di
beni posti in essere, nonché valutare se quelli distrattivi abbiano avuto o meno
efficienza causale rispetto al successivo fallimento.
2.2. Rispetto all’eccepito difetto di corretta qualificazione della condotta di
cui al capo a), relativamente alla bancarotta di cui all’art. 223 Legge fall. si
osserva che è noto il principio secondo cui i reati di bancarotta fraudolenta,
patrimoniale e documentale (artt. 216 e 223, comma primo, Legge fall.) e quello

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cod. pen., maturati nel corso del giudizio di merito, nella specie pari a

di bancarotta impropria di cui all’art. 223 comma secondo, n. 2, Legge fall.
hanno ambiti diversi (Sez. 5, n. 533 del 14/10/2016, dep. 2017, Zaccaria, Rv.
269019, di cui si ripercorrono le argomentazioni, condividendole; Sez. 5, n.
24051 del 15/05/2014, Lorenzini, Rv. 26014201;

Sez.

5, n. 34559 del

19/05/2010, Biolé, Rv. 248167). Il primo, infatti, implica il compimento di atti di
distrazione o dissipazione di beni societari ovvero di occultamento, distruzione o
tenuta di libri e scritture contabili in modo da non consentire la ricostruzione

prescindere dalla circostanza che abbiano prodotto il fallimento, essendo
sufficiente che questo sia poi intervenuto. Il secondo reato concerne, invece,
condotte dolose che non costituiscono distrazione o dissipazione di attività – né si
risolvono in un pregiudizio per le verifiche concernenti il patrimonio sociale da
operarsi tramite le scritture contabili – ma devono porsi in nesso eziologico con il
fallimento. Ne consegue che, in relazione ai suddetti reati, mentre è da escludere
il concorso formale è, invece, possibile il concorso materiale qualora, oltre ad
azioni ricomprese nello specifico schema della bancarotta

ex art. 216 citato,

siano verificati differenti ed autonomi comportamenti dolosi i quali concretandosi in abuso o infedeltà nell’esercizio della carica ricoperta o in un atto
intrinsecamente pericoloso per l’andamento economico finanziario della società siano stati causa del fallimento.
Tanto premesso si osserva, nel caso in esame, che i giudici di merito,
quanto alla bancarotta impropria contestata al capo a), hanno evidenziato come
l’operato dell’amministratore di fatto odierna ricorrente, nel periodo
immediatamente prossimo al fallimento, sia stato dolosamente orientato al
fallimento. La AA si era occupata, direttamente, del reclutamento
dell’avvicendamento degli amministratori di diritto dell’ente, promettendo loro un
compenso mensile, assicurando che avrebbero rivestito la carica soltanto
formalmente. Peraltro la sentenza della Corte territoriale precisa che dall’esame
della relazione del curatore fallimentare era emerso che il fallimento della società
era derivato proprio dalla condotta attuata dall’imputata. Questa si era
sostanziata, secondo la ricostruzione non illogica della Corte territoriale, non
soltanto nella distrazione dei beni mobili registrati dei quali è contenuto elenco
nel capo di imputazione a), ovvero dei beni strumentali dell’ente, per i quali è
contestata la bancarotta fraudolenta per distrazione, ma anche attraverso il
trasferimento dell’avviamento della Motor Bike s.r.I., da tale società alla Pinuccio
Moto s.r.I., sempre nella titolarità della AA poi dichiarata fallita nel 2007

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delle vicende societarie, atti tali da creare pericolo per le ragioni creditorie, a

(fatto per il quale l’imputata risulta aver riportato condanna irrevocabile per
bancarotta), così dolosamente cagionando il fallimento.
2.3. Circa la prova della consapevolezza da parte dell’extraneus dello stato
di insolvenza, si rileva che i giudici di merito hanno ampiamente e logicamente
motivato circa l’evidente cooperazione consapevole della AA con
l’amministratore di diritto, con la piena consapevolezza da parte
dell’amministratore di fatto delle condizioni di dissesto della società. La nomina

nell’arco di un anno e quattro mesi), avvenuta in rapida successione anche
quando ormai la Movi Bike s.r.l. era inattiva, essendo intervenuto il trasferimento
del suo patrimonio alla s.r.l. Pinuccio Motto, la descritta situazione della
documentazione contabile, la diretta esecuzione materiale da parte della Moriggi
di tutti i ravvicinati atti distrattivi descritti nella sentenza di appello, sono
elementi ampiamente dimostrativi, come correttamente reputato dai giudici di
merito, della piena consapevolezza dello stato di insolvenza dell’ente da parte
dell’amministratore di fatto.
2.4. Quanto alla dedotta violazione di legge, in ordine alla mancata
concessione dell’indulto, si rileva che, in conformità all’orientamento pacifico sul
punto espresso da questa Corte (Sez. 2, n. 21977 del 28/04/2017, Brancher, Rv.
269800) nel caso di omessa pronuncia da parte del giudice d’appello in ordine
all’applicabilità o meno dell’ indulto, l’imputato non ha interesse a ricorrere per
cassazione, potendo ottenere l’applicazione del beneficio in sede esecutiva ed
essendo tale possibilità preclusa solo da una decisione di rigetto del giudice della
cognizione.

3. In relazione al secondo motivo di ricorso, circa la mancata rinnovazione
istruttoria da parte della Corte territoriale, si osserva che l’istituto invocato ha
carattere eccezionale, fondato sulla presunzione che l’indagine istruttoria sia
stata esauriente con le acquisizioni del dibattimento di primo grado. Sicché il
potere del giudice del gravame di disporre la rinnovazione è subordinato alla
rigorosa condizione che egli ritenga, contro la predetta presunzione, di non
essere in grado di decidere allo stato degli atti (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015
dep. 2016, Ricci, Rv. 266820; Sez. U, n. 2780 del 24/01/1996, Panigoni; Sez. 2,
n. 41808 del 27/09/2013, Mongiardo, Rv. 256968). Atteso che l’esercizio di un
simile potere è affidato al prudente apprezzamento del giudice di appello,
restando incensurabile nel giudizio di legittimità, se adeguatamente motivato,
deve sottolinearsi che la motivazione della sentenza impugnata da conto, in

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della pluralità di amministratori di diritto dietro compenso (in numero di sei

modo univoco, delle ragioni per le quali non è stata accolta la richiesta di
rinnovazione parziale, essendo stato ritenuto che gli elementi probatori
disponibili risultavano completi e concludenti per la formazione del
convincimento del giudice di secondo grado (cfr. pag. 1 – 2 della sentenza di
appello; conforme: Sez. 1, n. 17309 del 19/03/2008, Calisti). Ed è altresì
consolidato principio di questa Corte ritenere che la mancata rinnovazione
dell’istruzione dibattimentale, nel giudizio d’appello, può costituire violazione
d), cod. proc. pen., solo nel caso di prove

sopravvenute o scoperte dopo la sentenza di primo grado (Sez. 5, n. 34643 del
8/05/2008, De Carlo, Rv. 240995).
Circa la dedotta violazione dell’art. 495 cod. proc. pen. e dell’orientamento,
di questa Corte di legittimità, secondo il quale la mancata citazione di un teste
per l’udienza non determina decadenza dalla prova, salvo che questa non sia
superflua, si osserva, poi, che nella specie, la decadenza dalla prova è stata
pronunciata per non avere la difesa “depositato la prova della citazione dei testi”
(cfr. ordinanza di revoca della prova testimoniale del Tribunale e contestuale
rinvio adottato per consentire la discussione del processo).
Tale provvedimento appare, dunque, correttamente motivato dal primo
giudice, dovendosi dare atto del principio, di recente affermato da questa Corte,
che ravvisa la decadenza della parte dalla prova, con conseguente legittimità
della disposta revoca, quando si tratti di testi non citati senza giustificato motivo
(Sez. 4, n. 22585 del 25/01/2017, Laforte, Rv. 270170; Sez. 6, Sentenza n.
2324 del 07/01/2015, Zampagni, Rv. 261922). In ogni caso si osserva che, al di
là della individuata decadenza della prova testimoniale, la mancata citazione dei
testi per diverse udienze e, comunque, senza fornire prova della citazione nel
termine assegnato alla difesa dal giudice, va senz’altro interpretata come tacita
volontà di rinuncia alla prova già ammessa. Peraltro è affetta da mera nullità di
ordine generale l’ordinanza di revoca dei testi della difesa, ove difetti la
motivazione sulla superfluità della prova, con la conseguenza che la stessa, se
non tempestivamente eccepita, resta sanata (Sez. 2, n. 9761 del 10/02/2015,
Rizzello, Rv.263210). Sicché a fronte della mancata eccezione della questione
devoluta a questa Corte e non proposta nel giudizio di merito, la stessa è
inammissibile.
Infine si rileva che la superfluità della prova testimoniale dei testi indicati e
poi revocati, appare correttamente motivata dalla Corte territoriale, con un
ragionamento incensurabile in sede di legittimità, avendo rilevato che l’esistenza
e operatività dell’amministratore di diritto, circostanza che la difesa intendeva

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dell’art. 606, comma l, lett.

dimostrare con l’escussione dei testi revocati, non avrebbe escluso la
contemporanea operatività dell’amministratore di fatto, come avvenuto nella
specie. Del resto il motivo di ricorso appare, sotto questo aspetto, senz’altro
generico posto che, alla motivazione specifica della Corte territoriale sulla
condotta materiale ascrivibile all’imputata (pag. 1-2 della sentenza impugnata),
non viene opposta nel dettaglio la ragione per la quale l’escussione dei testi

4. Infine, circa la mancata assunzione di prova decisiva (esame dei testi), da reputare dirimente
rispetto al ruolo di amministratore di fatto svolto dell’imputata, la richiesta
appare inammissibile anche sotto il profilo del lamentato vizio di
contraddittorietà della motivazione. Infatti, a fronte della specifica e puntuale
motivazione offerta della Corte territoriale, circa la materiale condotta di assoluta
valenza dimostrativa dell’attività di amministrazione svolta dalla AA, alla
quale anche sopra si è fatto ampio riferimento, non risulta sufficientemente
argomentato sotto quale profilo l’esame dei testi indicati, al di là della materiale
attività di vendita di veicoli, avrebbe potuto essere decisivo in senso favorevole
all’imputata.

5. Segue alla pronuncia, la condanna della ricorrente alle spese processuali,
nonché al pagamento dell’ulteriore somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa
delle ammende, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inannmissibilità, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento e della somma di € 2000,00 a favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 17/01/2018

Il Consigliere

Il Presidente

Barbara Cala elice

De~o in Cance/1«,

Roma, lì .0. …. …. . . .

Paolo Antonio Bruno

revocati avrebbe avuto decisiva valenza, in senso favorevole.

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