Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19355 del 05/10/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 19355 Anno 2017
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: MANCUSO LUIGI FABRIZIO

sul ricorso proposto da:
LO PARO DANILO nato il 21/06/1990 a MESSINA

avverso l’ordinanza del 01/12/2015 del GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE di
MESSINA
sentita la relazione svolta dal Consigliere LUIGI FABRIZIO MANCUSO;

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Data Udienza: 05/10/2016

Letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del dott.
Paolo Canevelli, il quale ha concluso chiedendo l’annullamento
dell’ordinanza impugnata con rinvio al Giudice per le indagini preliminari
del Tribunale di Messina, in funzione di giudice dell’esecuzione, per nuovo
esame.

1. Con istanza al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di
Messina, in funzione di giudice dell’esecuzione, veniva richiesta,
nell’interesse di Lo Paro Danilo, l’applicazione della disciplina della
continuazione in ordine ai reati giudicati con le sentenze di condanna
emesse rispettivamente dal Tribunale di Messina in data 11 maggio 2011,
divenuta irrevocabile il giorno 1 novembre 2011, e dal Giudice
dell’udienza preliminare del Tribunale di Messina in data 25 novembre
20014, divenuta irrevocabile il 23 settembre 2015.

2. Il Giudice dell’esecuzione rigettava l’istanza con ordinanza in
data 1 dicembre 2015.

3. L’avv. Francesco Traclò, in difesa del Lo Paro, ha proposto
ricorso per cassazione depositato il 22 dicembre 2015, richiamando l’art.
606, comma 1 lettere b) ed e), cod. proc. pen. e deducendo inosservanza
degli artt. 81, comma secondo, 73, comma 5, 74, comma 6, d.P.R. 309
del 1990, nonché mancanza e manifesta illogicità della motivazione.
Il giudice del merito, con ordinanza aspecifica motivata in modo
inadeguato disattendendo i canoni interpretativi stabiliti dalla
giurisprudenza di legittimità ed omettendo illogicamente di considerare il
precedente riconoscimento, in sede di cognizione, del nesso della
continuazione fra taluni reati per i quali il Lo Paro ha riportato condanne,
ha negato il riconoscimento del medesimo nesso fra i reati indicati
nell’istanza, benché il collegamento con i primi e la sussistenza degli
estremi del medesimo disegno criminoso emergesse dalle sentenze di
condanna prodotte.

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RITENUTO IN FATTO

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, in tema di
applicazione della continuazione, l’identità del disegno criminoso,
caratterizzante l’istituto disciplinato dall’art. 81, comma secondo, cod.
pen., postula che l’agente si sia previamente rappresentato e abbia
unitariamente deliberato una serie di condotte criminose e non si

invece, la sua opzione a favore della commissione di un numero non
predeterminato di reati, i quali, seppure dello stesso tipo, non sono
identificabili

a priori

nelle loro principali coordinate, rivelando una

generale propensione alla devianza che si concretizzante, di volta in
volta, in relazione alle varie occasioni ed opportunità esistenziali (Sez. 1,
n. 15955 del 08/01/2016 – dep. 18/04/2016, P.M. in proc. Elounnari, Rv.
266615).
L’identità del disegno criminoso è apprezzabile sulla base degli
elementi costituiti dalla distanza cronologica tra i fatti, dalle modalità
della condotta, dalla tipologia dei reati, dal bene tutelato, dalla
omogeneità delle violazioni, dalla causale, dalle condizioni di tempo e di
luogo, essendo a tal fine sufficiente la sola constatazione di alcuni
soltanto di essi, purché significativi (Sez. 1, n. 11564 del 13/11/2012 dep. 12/03/2013, Daniele, Rv. 255156).
L’analogia dei singoli reati, l’unitarietà del contesto, l’identità della
spinta a delinquere e la brevità del lasso temporale che separa i diversi
episodi, singolarmente considerate, non costituiscono indizi necessari di
una programmazione e deliberazione unitaria, però ciascuno di questi
fattori, aggiunto ad un altro, incrementa la possibilità dell’accertamento
dell’esistenza di un medesimo disegno criminoso, in proporzione logica
corrispondente all’aumento delle circostanze indiziarie favorevoli (Sez. 1,
n. 12905 del 17/03/2010 – dep. 07/04/2010, Bonasera, Rv. 246838; Sez.
1, n. 44862 del 05/11/2008 – dep. 02/12/2008, Lombardo, Rv. 242098).
La valutazione in ordine alla sussistenza, in relazione alle concrete
fattispecie, dell’unicità del disegno criminoso, è compito del giudice di
merito, la cui decisione sul punto, se congruamente motivata, non è
sindacabile in sede di legittimità (Sez. 4, n. 10366 del 28/05/1990 – dep.
16/07/1990, Paoletti, Rv. 184908). L’indagine che si impone alla
riflessione del giudice chiamato a delibare un istanza di applicazione della
disciplina della continuazione deve concentrarsi su tre essenziali

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identifica con il programma di vita delinquenziale del reo, che esprime,

problemi: dapprima, verificare la credibilità intrinseca, sotto i profili della
logica e della congruità, dell’asserita esistenza di un unico, originario
programma delittuoso; indi, analizzare i singoli comportamenti incriminati
per individuare le particolari, specifiche finalità che appaiono perseguite
dall’agente; infine, verificare se detti comportamenti criminosi, per le loro
particolari modalità, per le circostanze in cui si sono manifestati, per lo
spirito che li ha informati, per la finalità che li ha contraddistinti, possano

l’esecuzione, diluita nel tempo, del prospettato, originario, unico disegno
criminoso (Sez. 1, n. 1721 del 22/04/1992 – dep. 25/06/1992, Curcio,
Rv. 190807).

2.

Sulla base dei predetti principi, nel caso in esame deve

affermarsi la fondatezza del ricorso.
La motivazione che dovrebbe sostenere logicamente l’ordinanza
impugnata reca, sul piano astratto, il richiamo di taluni principi regolanti
la materia. Sul piano concreto, però, il testo espone soltanto alcune
considerazioni generiche, negando senza congrua riflessione
l’insussistenza del vincolo ed affermando una ritenuta propensione del
condannato a delinquere.
Il provvedimento non contiene riferimenti specifici agli elementi
emergenti dalle pronunce di condanna, ma omette una disamina
articolata capace di mettere in luce tutti gli elementi rilevanti e di
spiegare le ragioni per le quali essi non siano idonei a dimostrare che i
reati in discussione siano avvinti dal medesimo disegno criminoso.

3.

Per le ragioni esposte, l’ordinanza impugnata deve essere

annullata, limitatamente al diniego della continuazione e gli atti vanno
trasmessi al Giudice della udienza preliminare del Tribunale di Messina,
che provvederà a nuovo esame senza incorrere nei vizi riscontrati.

P. Q. M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Giudice
della udienza preliminare del Tribunale di Messina.
Così deciso in Roma, 5 ottobre 2016.

considerarsi, valutata anche la natura dei beni aggrediti, come

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