Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19352 del 21/09/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 19352 Anno 2017
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: MANCUSO LUIGI FABRIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ALMEHREZ HASSAN N. IL 06/12/1979
avverso l’ordinanza n. 963/2015 TRIB. LIBERTA’ di REGGIO
CALABRIA, del 05/11/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUIGI FABRIZIO
MANCUSO;

t

a•

Data Udienza: 21/09/2016

Il Pubblico Ministero, in persona del dott. Luigi Birritteri, Sostituto
procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, ha concluso
chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 9 novembre 2015, il Tribunale di Reggio

confermava l’ordinanza del 18 ottobre 2015, con la quale il Giudice per le
indagini preliminari dello stesso Tribunale aveva applicato nei confronti di
Almehrez Hassan la misura cautelare della custodia in carcere, ritenendo
sussistenti a suo carico sia gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati
aggravati di associazione per delinquere e di favoreggiamento
dell’immigrazione clandestina di ventotto persone, sia esigenze cautelari.
Il compendio indiziario era costituito da comunicazione e
informativa di notizia di reato, sommarie informazioni testimoniali,
riconoscimenti fotografici, intercettazioni di conversazioni fra presenti e
telefoniche, risultanze di tabulati telefonici, dichiarazioni eteroaccusatorie,
dichiarazioni dello stesso indagato.
In particolare, le indagini erano state avviate a seguito della
scoperta dei cittadini extracomunitari clandestini, il giorno 11 gennaio
2013, a bordo della nave mercantile Fedel Moon che, adibita al trasporto
di sale, navigava nel Mare Ionio in acque territoriali italiane, nei pressi del
Capo Spartivento, con un equipaggio del quale Almehrez Hassan faceva
parte. In base all’impostazione accusatoria, recepita dal Giudice per le
indagini preliminari e condivisa dal Tribunale del riesame, Almehrez Hassan
era affiliato ad una organizzazione criminosa che, mediante l’uso della
predetta e di altre navi mercantili, procurava l’ingresso di clandestini nel
territorio dell’Unione europea. Egli non era stato sottoposto a misure
restrittive nella prima fase delle indagini, perché non era stato riconosciuto,
per mancanza di precedenti contatti a bordo della nave, da quei clandestini
che erano stati sentiti e che avevano invece riconosciuto gli altri membri
dell’equipaggio, sottoposti per questo alla custodia cautelare in carcere. In
seguito alle indagini successive, però, era emerso che Almehrez Hassan,
rimasto in Italia con il ruolo di custode giudiziario della Fede! Moon,
sequestrata e ormeggiata nel porto di Reggio Calabria dopo che era stata
scoperta, aveva intrattenuto con esponenti dell’organizzazione rapporti
telefonici dai quali emergeva il suo ruolo effettivo, confermato anche dal

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u’i:

Calabria, decidendo in sede di riesame ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen.,

tenore delle conversazioni intercettate fra altri membri dell’equipaggio. I
giudici del merito individuavano Almehrez Hassan in uno degli interlocutori
di talune telefonate intercettate sulla sua utenza, avvalendosi anche della
constatazione degli argomenti trattati e dei fatti descritti, in relazione alle
circostanze riferite dallo stesso nel corso del suo interrogatorio.

2. Almehrez Hassan ha proposto personalmente ricorso per

2.1. Con il primo motivo si deduce, richiamando l’art. 606, comma

1 lett. c), cod. proc. pen., inosservanza delle norme processuali stabilite a
pena di nullità, di inutilizzabilità, di inammissibilità, di decadenza, in
relazione agli artt. 266, 267, 125, 177, 268, 271, comma 1, cod. proc. pen.
Le intercettazioni avvenute con RIT n. 203/13 e n. 926/13, utilizzate a
carico dell’indagato, erano state effettuate in altro procedimento penale.
La richiesta del Pubblico Ministero, infatti, afferisce al procedimento n.
143/13 RGNR mod. 21, non al procedimento RGNR 144/2013 che interessa
l’indagato. Il Giudice per le indagini preliminari, nel concedere
l’autorizzazione, aveva fatto esplicito riferimento al procedimento RGNR
143/2013. Da ciò emerge la mancanza di tassatività della richiesta e della
autorizzazione. È stato violato l’art. 49 disp. att. cod. proc. pen., in base al
quale alle variazioni e aggiunte che occorre eseguire prima della
sottoscrizione si provvede con postille che devono essere approvate. Ciò è
mancato, con conseguente nullità degli atti. Tutti i RIT n. 203/13 e n.
926/13 sono stati compiuti in violazione delle norme e ciò ha determinato
nullità dei decreti e inutilizzabilità delle intercettazioni.

2.2. Con il secondo motivo si deduce, richiamando l’art. 606,
comma 1 lett. c), cod. proc. pen., inosservanza delle norme processuali
stabilite a pena di nullità, di inutilizzabilità, di inammissibilità o di
decadenza, in relazione agli artt. 268 e 271 cod. proc. pen. L’ordinanza del
Tribunale tace sulle intercettazioni. La nota della Guardia di Finanza prot.
n. 0036220/13 del 4 febbraio 2013 evidenzia che il segnale audio delle
intercettazioni, assunte con RIT n. 203/13 e n. 926/13, è stato catturato
non dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria verso la Guardia di
Finanza, ma al contrario. L’ascolto remoto è avvenuto dalla Guardia di
Finanza alla Procura della Repubblica di Reggio Calabria. Pertanto, anche
la registrazione e l’ascolto dei dati telefonici non è stato compiuto per

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cassazione, articolato in sette motivi.

mezzo degli impianti installati in Procura ma presso la Guardia di Finanza.
Inoltre, al difensore della parte non è stato dato l’avviso previsto dall’art.
268 cod. proc. pen. e, quindi, non è stato possibile esaminare gli atti ed
ascoltare le registrazioni né prendere cognizione dei flussi delle
comunicazioni entro il termine fissato dall’art. 268, commi 4 e 5, cod. proc.
pen. I verbali di intercettazione riportano il sunto delle conversazioni ma
non indicano da quale server siano state estratte. Esse quindi sono

2.3. Con il terzo motivo si deduce, richiamando l’art. 606, comma 1
lett. c), cod. proc. pen., inosservanza delle norme processuali stabilite a
pena di nullità, di inutilizzabilità, di inammissibilità o di decadenza, in
relazione agli artt. 359, 360 cod. proc. pen., 67 disp. att. cod. proc. pen.
Il verbale di conferimento dell’incarico di interprete a Lagaad Salah, del 25
febbraio 2013, a pag. 245 evidenzia che costui è stato convocato per mezzo
del Gruppo della Guardia di Finanza di Reggio Calabria, al fine di ricevere
l’incarico di traduzione, dall’arabo all’italiano, delle conversazioni
ambientali intercettate. Il Pubblico ministero ha omesso di verificare
l’iscrizione dell’interprete all’albo, come avrebbe dovuto in ossequio della
disposizione di cui all’art. 67, comma 3, disp. att. cod. proc. pen., e non ha
gli chiesto se era in possesso dei requisiti per assumere l’incarico. Si insiste
nell’eccepire la nullità del decreto di conferimento di incarico e
l’inutilizzabilità delle intercettazioni anche con riferimento al RIT 926/13 ex
art. 222 cod. proc. pen. Lo stesso Lagaad Salah, infatti, è stato nominato
consulente del Pubblico Ministero nel procedimento principale recante il
numero RGNR 5940/13, dove sono confluiti i RIT n. 203/13.

2.4. Con il quarto motivo si deduce, richiamando gli artt. 359 e 606,
comma 1 lett. e), cod. proc. pen., mancata valutazione della prova tecnica.
Il consulente del Pubblico ministero si è limitato, peraltro erroneamente, a
tradurre e trascrivere le intercettazioni relative ai RIT n. 203/13 e n.
926/13. Ma di fatto non vi è alcuna prova o accertamento tecnico espletato
dalla Procura della Repubblica circa la riconducibilità del timbro di voce
all’odierno indagato. Sarebbe stato corretto svolgere accertamenti a suo
favore. Si contesta la paternità della voce. In sede di interrogatorio di
garanzia, l’indagato ha confutato ragionevolmente le intercettazioni
attribuendone la paternità ad un altro indagato, Nasser Rajab Ahmad. Se
il deposito degli atti riguardanti le intercettazioni fosse stato comunicato al

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inutilizzabili.

difensore, questi, nei termini prescritti, avrebbe chiesto al Pubblico
ministero di approfondire l’indagine.

2.5. Con il quinto motivo si deduce mancata valutazione della prova,
sostenendo che l’indagato non ha mai usufruito di alcuna dazione di danaro
per la custodia dallo stesso effettuata per conto della Procura della
Repubblica. Le intercettazioni evidenziano che parte delle telefonate erano

l’armatore non aveva versato, non per il trasporto dei migranti. Le somme
attinenti al trasporto dei migranti sono state sequestrate ad altri
componenti dell’equipaggio della nave, non all’indagato, come emerge dal
verbale di sequestro. Al momento del fermo della nave gli immigrati che
erano a bordo non hanno riconosciuto l’indagato.

2.6. Con il sesto motivo si deduce violazione di legge con riferimento
ai criteri di adeguatezza e proporzionalità delle misure cautelari, a seguito
della riforma dell’art. 274 cod. proc. pen. ad opera della legge n. 47 del
2015. Non è giustificata l’affermazione circa l’esistenza di pericolo di fuga,
come è dimostrato dal fatto che l’indagato è rimasto sulla nave, dopo il
sequestro, come custode, per circa due anni e nove mesi.

2.7. Con il settimo motivo si deduce perdita di efficacia
dell’ordinanza del Tribunale per la sua mancata traduzione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Sono inammissibili, per carenza di specificità, sia il primo e il
secondo motivo di ricorso, riguardanti presunte violazioni di norme
processuali in relazione alle intercettazioni di conversazioni, sia il terzo
motivo di ricorso, riguardante presunte violazioni di norme processuali in
relazione al conferimento all’interprete dell’incarico di traduzione dall’arabo
all’italiano delle conversazioni intercettate. Nel ricorso, infatti, sono stati
omessi: riferimenti all’esistenza e alla posizione, nel fascicolo processuale,
degli atti ai quali è fatto riferimento nei motivi; l’allegazione di tali atti; la
dimostrazione che le doglianze siano state già proposte con l’impugnazione
al Tribunale del riesame e, quindi, non siano improponibili in questa sede
perché caratterizzate dal carattere di novità.

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effettuate all’estero ai familiari per avere emolumenti lavorativi che

2. Il quarto e il quinto motivo di ricorso, riguardanti l’uno la
presunta mancata valutazione di prova tecnica in relazione al
riconoscimento della voce dell’indagato nelle conversazioni intercettate e
l’altro la presunta omissione di valutazione della prova circa la mancata
percezione di danaro da parte dell’indagato, sono inammissibili perché
riguardanti profili di fatto.
Il Tribunale ha attentamente analizzato le risultanze disponibili,

conversazioni, delle ragioni per le quali ha ritenuto, ai fini cautelari, il
coinvolgimento dell’indagato nei reati contestati.
L’ordinanza perviene così, senza incorrere in alcun errore di diritto,
ad affermare la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati
ipotizzati a carico dell’indagato. Lo sviluppo argomentativo della
motivazione posta a sostegno dell’ordinanza impugnata, esauriente ed
immune da vizi logici, è basato su una coerente analisi critica degli elementi
disponibili e sulla loro coordinazione in un organico quadro interpretativo.
Detta motivazione, quindi, supera il vaglio di legittimità demandato a
questa Corte, il cui sindacato deve arrestarsi alla verifica del rispetto delle
regole della logica e della conformità ai canoni legali che presiedono
all’apprezzamento delle circostanze fattuali.
Di contro, il ricorso non centra specificamente, in chiave critica, la
ratio

dell’ordinanza, perché si limita a proporre, con le doglianze

sinteticamente elencate supra, valutazioni di elementi di fatto che risultano
espressamente già considerati dal Tribunale o, comunque, pienamente
superati dalle assorbenti osservazioni del provvedimento.
In definitiva, le censure formulate nell’interesse del ricorrente,
riguardanti la valutazione del compendio indiziario posto a fondamento del
provvedimento impugnato, non possono trovare accoglimento, perché si
risolvono in richieste di analisi critiche esulanti dai poteri di sindacato del
giudice di legittimità, non palesandosi il relativo apprezzamento
motivazionale, nella sua completezza, né manifestamente illogico, né
viziato da non corretta applicazione della normativa. In proposito, va
ricordato che, secondo assunto non controverso, in tema di misure
cautelari, la valutazione del peso probatorio degli indizi è compito riservato
al giudice di merito e, in sede di legittimità, tale valutazione può essere
contestata unicamente sotto il profilo della sussistenza, adeguatezza,
completezza e logicità della motivazione, mentre non sono ammesse le
censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella

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dando conto, anche riferendosi alle risultanze di intercettazioni di

prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze già esaminate
da detto giudice. In concreto, il ricorrente contesta «nel merito» il quadro
probatorio a carico, fondato sul risultato delle indagini svolte, evidenziato
nel provvedimento impugnato.

3. Il sesto motivo di ricorso, con il quale si deduce violazione di
legge con riferimento alla valutazione delle esigenze cautelari e si critica

infondato.
Il Tribunale ha rassegnato adeguatamente, senza incorrere in
violazione di legge né in manifesta illogicità, le ragioni giustificative
dell’adozione della misura cautelare, in considerazione delle modalità del
fatto e della condotta dell’indagato, ed ha affermato espressamente che la
misura più rigorosa è l’unica idonea ad assicurare la cautela.

4. Il settimo motivo di ricorso, riguardante la pretesa perdita di
efficacia dell’ordinanza per mancata traduzione, è inammissibile perché
manifestamente infondato. La presentazione diretta, da parte
dell’indagato, del ricorso per cassazione in lingua italiana, personalmente
sottoscritto, dimostra che egli conosce la lingua italiana e, che, pertanto,
non era necessaria alcuna traduzione.

5. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile in
applicazione dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen. Ai sensi dell’art. 616
cod. proc. pen., il ricorrente va condannato al pagamento delle spese
processuali e al versamento della somma di euro 1.500,00 alla cassa delle
ammende, non essendo dato escludere – alla stregua del principio di diritto
affermato da Corte cost. n. 186 del 2000 – la sussistenza della ipotesi della
colpa nella proposizione dell’impugnazione.

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l’affermazione del pericolo di fuga, è inammissibile perché manifestamente

Trasmessa copia ex art 23
n. i ter L. 6-S-95 n. 332

luna,

2 YR, :Bil,

P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di C 1.500,00 alla cassa
delle ammende.
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del
provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94,

Così deciso in Roma, 21 settembre 2016.

co. 1-ter, disp. att. c.p.p.

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