Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19350 del 21/09/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 19350 Anno 2017
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: MANCUSO LUIGI FABRIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MARAMINETHIARE MOUSTAPHA N. IL 01/01/1998
DIENG MAMADOU N. IL 01/01/1996
avverso l ‘ordinanza n. 122/2016 TRIB. LIBERTA ‘ di MESSINA, del
21/03/2016
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUIGI FABRIZIO
MANCUSO;
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Data Udienza: 21/09/2016

Il Pubblico ministero, in persona del dott. Luigi Birritteri, Sostituto
procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, ha concluso
chiedendo la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 25 febbraio 2016, il Giudice per le indagini

ministero di applicazione della custodia cautelare in carcere, nei confronti
di Maraminethiare Moustapha e di Dieng Mamadou, in relazione al reato di
cui agli artt. 110 cod. pen. e 12, comma 3-bis in relazione al comma 3
lettere a), b), c), d), e), nonché comma 3-ter, d.l.vo 286 del 1998. In
particolare, secondo la prospettazione accusatoria i predetti indagati erano
raggiunti da gravi indizi di colpevolezza in ordine al compimento di atti
diretti a procurare l’ingresso nel territorio dello Stato di cittadini
extracomunitari, atti commessi conducendo un gommone che trasportava
dette persone, dalle coste libiche in direzione di quelle italiane. Il Giudice
per le indagini preliminari riteneva non sussistenti gravi indizi di
colpevolezza.
Il Pubblico ministero proponeva al Tribunale di Messina appello che
veniva accolto con ordinanza del 21 marzo 2016, applicativa della misura
richiesta.
In particolare, il Tribunale riteneva che l’eccezione difensiva di
nullità degli atti, per mancata traduzione dell’appello del Pubblico ministero
e del conseguente avviso di udienza, non era fondata e che non era
configurabile l’eccezione di legittimità costituzionale in relazione all’art. 143
cod. proc. pen. Nel merito, il Tribunale, contrariamente al Giudice per le
indagini preliminari, riteneva che dalle dichiarazioni di due fra i predetti
trasportati, Kaba Sekou Omar e Keita Zoumana, emergeva che
Maraminethiare Moustapha e Dieng Mamadou avevano condotto il
gommone in modo non occasionale, né poteva configurarsi lo stato di
necessità.

2. L’avv. Gaetano Gemelli, difensore di Maraminethiare Moustapha
e di Dieng Mamadou, ha proposto ricorsi per cassazione, con atto unitario
depositato il 2 maggio 2016 distinto in due motivi.

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preliminari del Tribunale di Messina rigettava la richiesta del Pubblico

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2.1. Con il primo motivo si richiama l’art. 606, comma 1 lett. b),
cod. proc. pen., deducendo erronea applicazione degli artt. 143, comma 2,
e 310 cod. proc. pen. Il Tribunale di Messina ha deciso sulla base di una
impugnazione del Pubblico ministero, ma essa e il decreto di fissazione
dell’udienza, emesso ai sensi dell’articolo 310 cod. proc. pen., non sono
stati tradotti nella lingua degli indagati, benché risultasse dagli atti che essi
non comprendono la lingua italiana. Il Tribunale ha errato nel ritenere che
gli indagati hanno scelto liberamente di non comparire in udienza. Una
scelta è liberamente effettuata solo se l’agente è posto in condizioni di
poterla fare, ma nel caso di specie, non essendo stato tradotto l’avviso di
fissazione di udienza, gli indagati non sono stati posti in condizioni di
svolgere la difesa. La circostanza che sia stata omessa la traduzione
determina la nullità degli atti in questione e di quelli successivi. Neppure
l’ordinanza di custodia cautelare è stata tradotta, benché rientrante fra gli
atti che devono essere tradotti ai sensi dell’articolo 143, cpv., e 310 cod.
proc. pen. Per l’ipotesi in cui si ritenga che l’attuale previsione normativa
non consenta di configurare l’eccepita nullità, si formula espressamente
eccezione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli
143, comma 2, e 310 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedono la
traduzione dell’avviso e dell’atto di impugnazione ex articolo 310 cod. proc.
pen., per contrasto con gli artt. 3, 24, 111 Costituzione. In ogni caso, l’art.
143, comma 2, cod. proc. pen. è in contrasto con l’art. 6, n. 3 lettere a),
e), CEDU, ratificata con la legge 352 del 1955.

2.2. Con il secondo motivo si deduce, richiamando l’art. 606,
comma 1 lettere b), e), cod. proc. pen., erronea applicazione degli artt.
273, 192, comma 3, cod. proc. pen., 54 cod. pen., nonché contraddittorietà
e manifesta illogicità della motivazione. Il Tribunale ha errato nel ritenere
fondata l’impugnazione del Pubblico ministero. L’ordinanza del Giudice per
le indagini preliminari, di rigetto della richiesta del Pubblico ministero,
aveva correttamente ritenuto insussistenti gli indizi di colpevolezza. Non
può essere un indizio a carico degli indagati il fatto che solo due, fra
centoventi persone, li abbiano riconosciuti. In ogni caso, l’ordinanza del
Tribunale è contraddittoria, nella parte in cui non dà credito, ai fini della
individuazione delle circostanze per la configurazione dello stato di
necessità, alle stesse persone che ha ritenuto attendibili circa il
riconoscimento degli indagati. Sono presenti, peraltro, anche altre fonti di

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prova circa la costrizione all’imbarco e circa il pericolo nella conduzione del
natante.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo è infondato, e la questione di legittimità
costituzionale in esso proposta è irrilevante, così come la questione
riguardante il presunto contrasto della normativa nazionale con l’art. 6
CEDU, sia perché nel caso in esame non risulta neppure che nella fase di
merito sia stata mai chiesta la traduzione degli avvisi e dell’atto di appello,
redatti in lingua italiana; sia perché, come indicato nell’ordinanza
impugnata con osservazioni non contraddette nel ricorso per cassazione,
nell’udienza celebrata in Tribunale era presente un interprete e la difesa è
stata in concreto articolata anche nel merito. Non si ravvisano, pertanto,
le nullità denunciate.

2. Anche il secondo motivo è infondato. Tribunale ha attentamente
analizzato le risultanze disponibili ed è pervenuto senza incorrere in alcun
errore di diritto ad affermare la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza
in ordine alle condotte criminose ipotizzate. Lo sviluppo argomentativo
della motivazione posta a sostegno dell’ordinanza impugnata, esauriente
ed immune da vizi logici, è basato su una coerente analisi critica degli
elementi disponibili e sulla loro coordinazione in un organico quadro
interpretativo. Detta motivazione, quindi, supera il vaglio di legittimità
demandato a questa Corte, il cui sindacato deve arrestarsi alla verifica del
rispetto delle regole della logica e della conformità ai canoni legali che
presiedono all’apprezzamento delle circostanze fattuali.
Di contro, il ricorso non centra specificamente, in chiave critica, la
ratio dell’ordinanza, perché si limita a proporre, con le doglianze
sinteticamente elencate supra, valutazioni di elementi di fatto che risultano
espressamente già considerati dal Tribunale o, comunque, pienamente
superati dalle assorbenti osservazioni del provvedimento, anch’esse
brevemente ricordate.
In definitiva, le censure formulate nell’interesse dei ricorrenti,
riguardanti la valutazione del compendio indiziario posto a fondamento del
provvedimento impugnato, non possono trovare accoglimento, perché si
risolvono in richieste di analisi critiche esulanti dai poteri di sindacato del
giudice di legittimità, non palesandosi il relativo apprezzamento
motivazionale, nella sua completezza, né manifestamente illogico, né

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viziato da non corretta applicazione della normativa. In proposito, va
ricordato che, secondo assunto non controverso, in tema di misure
cautelari, la valutazione del peso probatorio degli indizi è compito riservato
al giudice di merito e, in sede di legittimità, tale valutazione può essere
contestata unicamente sotto il profilo della sussistenza, adeguatezza,
completezza e logicità della motivazione, mentre non sono ammesse le
censure che, pure investendo formalmente la motivazione, si risolvono

esaminate da detto giudice. In concreto, il ricorrente contesta «nel merito»
il quadro indiziario a carico, fondato sul risultato delle indagini svolte ed
evidenziato nel provvedimento impugnato.

3. In conclusione, i ricorsi devono essere rigettati. Ai sensi dell’art.
616 cod. proc. pen., i ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese
processuali.

P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia
trasmessa al competente Tribunale distrettuale del riesame di Messina
perché provveda a quanto stabilito nell’art. 92 disp. att. cod. proc. pen.
Manda alla cancelleria per gli immediati adempimenti a mezzo fax.
Così deciso in Roma, 21 settembre 2016.

nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze già

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