Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19344 del 21/07/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 19344 Anno 2017
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: MANCUSO LUIGI FABRIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SCHILLAC1 LORENZO MICHELE N. IL 25/04/1968
avverso l’ordinanza n. 159/2015 CORTE APPELLO di CATANIA, del
23/10/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUIGI FABRIZIO
MANCUSO;
c1115iO4.1i-d04-42G-aCYrN
lege-/-se

Data Udienza: 21/07/2016

Letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del dott.
Giulio Romano, Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso
questa Corte, il quale ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio del
provvedimento impugnato.

RITENUTO IN FATTO

giudice dell’esecuzione, Schillaci Lorenzo Michele chiedeva di applicare la
disciplina della continuazione, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., in
ordine ai reati di associazione mafiosa commessi, rispettivamente, dal
febbraio 2000 al 14 giugno 2005 e dall’ottobre 2011 al gennaio 2011,
giudicati il primo con sentenza di condanna divenuta irrevocabile il 19
dicembre 2007 e il secondo con sentenza di condanna divenuta
irrevocabile il 16 marzo 2015.

2. Il giudice dell’esecuzione, con ordinanza emessa il 23 ottobre
2015, rigettava l’istanza, rilevando l’insussistenza del medesimo disegno
criminoso in considerazione del notevole intervallo temporale trascorso
fra le condotte oggetto delle condanne.

3. L’avv. Salvo Pace, difensore dello Schillaci, ha proposto ricorso
per cassazione, richiamando l’art. 606, comma 1 lett. b) e lett. e), cod.
proc. pen. e deducendo violazione degli artt. 81 cpv. cod. pen. e 671 cod.
proc. pen. Il giudice dell’esecuzione ha errato nel negare la sussistenza
del vincolo della continuazione limitandosi a notare la distanza temporale
tra le condotte, perché non ha considerato che la seconda si salda senza
soluzione di continuità alla prima, trattandosi per entrambe della
partecipazione al

clan mafioso «Santapaola-Ercolano» e, secondo la

giurisprudenza, la carcerazione non spezza il legame con l’associazione
criminale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, in tema di
applicazione della continuazione, l’identità del disegno criminoso, che
caratterizza l’istituto disciplinato dall’art. 81, comma secondo, cod. pen.,

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1. Con istanza alla Corte di appello di Catania, in funzione di

postula che l’agente si sia previamente rappresentato e abbia
unitariamente deliberato una serie di condotte criminose e non si
identifica con il programma di vita delinquenziale del reo, che esprime,
invece, la sua opzione a favore della commissione di un numero non
predeterminato di reati, i quali, seppure dello stesso tipo, non sono
identificabili

a priori

nelle loro principali coordinate, rivelando una

generale propensione alla devianza che si concretizza, di volta in volta, in

del 08/01/2016 – dep. 18/04/2016, P.M. in proc. Eloumari, Rv. 266615).
L’identità del disegno criminoso è apprezzabile sulla base degli
elementi costituiti dalla distanza cronologica tra i fatti, dalle modalità
della condotta, dalla tipologia dei reati, dal bene tutelato, dalla
omogeneità delle violazioni, dalla causale, dalle condizioni di tempo e di
luogo, essendo a tal fine sufficiente la sola constatazione di alcuni
soltanto di essi, purché significativi (Sez. 1, n. 11564 del 13/11/2012 dep. 12/03/2013, Daniele, Rv. 255156).
L’analogia dei singoli reati, l’unitarietà del contesto, l’identità della
spinta a delinquere e la brevità del lasso temporale che separa i diversi
episodi, singolarmente considerate, non costituiscono indizi necessari di
una programmazione e deliberazione unitaria, però ciascuno di questi
fattori, aggiunto ad un altro, incrementa la possibilità dell’accertamento
dell’esistenza di un medesimo disegno criminoso, in proporzione logica
corrispondente all’aumento delle circostanze indiziarie favorevoli (Sez. 1,
n. 12905 del 17/03/2010 – dep. 07/04/2010, Bonasera, Rv. 246838; Sez.
1, n. 44862 del 05/11/2008 – dep. 02/12/2008, Lombardo, Rv. 242098).
La valutazione in ordine alla sussistenza, in relazione alle concrete
fattispecie, dell’unicità del disegno criminoso, è compito del giudice di
merito, la cui decisione sul punto, se congruamente motivata, non è
sindacabile in sede di legittimità (Sez. 4, n. 10366 del 28/05/1990 – dep.
16/07/1990, Paoletti, Rv. 184908).
L’indagine che si impone alla riflessione del giudice chiamato a
delibare un istanza di applicazione della disciplina della continuazione
deve concentrarsi su tre essenziali problemi: dapprima, verificare la
credibilità intrinseca, sotto i profili della logica e della congruità,
dell’asserita esistenza di un unico, originario programma delittuoso; indi,
analizzare i singoli comportamenti incriminati per individuare le
particolari, specifiche finalità che appaiono perseguite dall’agente; infine,
verificare se detti comportamenti criminosi, per le loro particolari

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relazione alle varie occasioni ed opportunità esistenziali (Sez. 1, n. 15955

modalità, per le circostanze in cui si sono manifestati, per lo spirito che li
ha informati, per la finalità che li ha contraddistinti, possano considerarsi,
valutata anche la natura dei beni aggrediti, come l’esecuzione, diluita nel
tempo, del prospettato, originario, unico disegno criminoso (Sez. 1, n.
1721 del 22/04/1992 – dep. 25/06/1992, Curcio, Rv. 190807).
Con particolare riguardo al reato di associazione mafiosa, la
giurisprudenza di legittimità ha precisato che il principio secondo cui

imprevedibili, come la detenzione o la condanna, non si può
automaticamente applicare a contesti delinquenziali, come quelli
determinati dalle associazioni mafiose, nei quali detenzioni e condanne
definitive sono accettate come prevedibili eventualità, sicché, in tali casi,
il vincolo della continuazione non è incompatibile con un reato
permanente, ontologicamente unico, come quello di appartenenza ad
un’associazione di stampo mafioso, quando il segmento della condotta
associativa successiva ad un evento interruttivo – costituito da fasi di
detenzione o da condanne – trovi la sua spinta psicologica nel pregresso
accordo per il sodalizio (Sez. 1, n. 38486 del 19/05/2011 – dep.
25/10/2011, Rinzivillo, Rv. 25136401).
Il delitto di associazione di tipo mafioso (art. 416 bis cod. pen.)
può continuare a consumarsi anche successivamente all’emissione di una
misura cautelare – essendo legato non solo a condotte tipiche ma anche
soltanto alla mancata cessazione dell’a ffectio societatis scelerum – fino ad
un atto di desistenza che può essere volontaria oppure legale,
rappresentato dalla sentenza di condanna anche non definitiva; nel caso
di contestazione senza l’indicazione della data di cessazione della
condotta, la permanenza deve ritenersi sussistente fino alla data della
pronunzia di primo grado (Sez. 5, n. 31111 del 19/03/2009 – dep.
28/07/2009, Marazia, Rv. 24447901).
La sentenza di condanna per un reato associativo interrompe
giuridicamente la protrazione del delitto di partecipazione a quella stessa
associazione criminosa, sicché il successivo tratto di condotta
partecipativa è autonomamente apprezzabile e può essere valutato in
continuazione con quella oggetto della sentenza di condanna già
intervenuta (Sez. 1, n. 15133 del 03/03/2009 – dep. 08/04/2009, P.G. in
proc. D’Arma e altri, Rv. 24378901).
Ciò posto in astratto, con particolare riguardo al caso in esame
deve notarsi che l’ordinanza del giudice dell’esecuzione qui impugnata è

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l’identità del disegno criminoso del reato continuato viene meno per fatti

affetta da carenza di motivazione, perché non esamina tutti gli elementi
strutturali dei reati oggetto delle due pronunce di condanna a carico dello
Schillaci, omettendo così la verifica effettiva circa la possibilità di
ravvisare – o escludere, ma sulla base di ragionati argomenti – un
medesimo disegno criminoso unificante le due distinte condotte
partecipative. In particolare, il giudice dell’esecuzione non si è
confrontato con il passaggio – riportato nella requisitoria del Pubblico

giorno 1 dicembre 2014, divenuta irrevocabile il 16 marzo 2015, in cui si
afferma: «Come risulta dagli atti, Schillaci è già stato condannato in via
definitiva per aver fatto parte dell’associazione mafiosa Santapaola,
gruppo dei Mirabile, con sentenza della Corte di appello di Catania del
4.10.2007; il compendio accusatorio acquisito nel presente processo
dimostra che anche nel periodo successivo a detti fatti, segnatamente
fino al gennaio 2012, l’imputato ha continuato a far parte del sodalizio».

2. Per le ragioni esposte, l’ordinanza impugnata deve essere
annullata, con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Catania.

P. Q. M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte
di appello di Catania.
Così deciso in Roma, 21 luglio 2016.

ministero – della sentenza emessa dalla Corte di appello di Catania il

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