Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19343 del 21/07/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 19343 Anno 2017
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

SENTENZA

sui ricorsi proposti da
D’Anna Salvatore, nato a Terrasini il 17/07/1960,
D’Anna Alfonso, nato a Terrasini il 04/05/1963,
Maniaci Provvidenza, nata a Terrasini il 02/01/1959,
D’Anna Fanny, nata a Palermo il 13/05/1978,
D’Anna Veronica, nata a Palermo il 01/04/1981,
D’Anna Girolamo, nato a Palermo il 13/05/1988,
Brigati Caterina, nata a Partinico il 05/08/1973,
D’Anna Nicolò, nato a Terrasini il 17/03/1963,
D’Anna Salvatore, nato a Terrasini il 17/09/1960,
D’Anna Maria Maddalena, nata a Terrasini il 04/04/1948,
D’Anna Calogera, nata a Terrasini il 15/05/1957,
Catalfio Claudia, nata a Terrasini il 24/11/1962,

avverso il decreto del 02/10/2013 della Corte di appello di Palermo;
visti gli atti, il decreto impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Antonella Patrizia Mazzei;

Data Udienza: 21/07/2016

lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale, Piero Gaeta, il quale ha concluso chiedendo la dichiarazione di
inammissibilità di tutti i ricorsi, con ogni consequenziale provvedimento.

RITENUTO IN FATTO

nel lontano settembre 1997 su proposta del Procuratore della Repubblica presso
il Tribunale di Palermo ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575, all’epoca
vigente, intitolata: “Disposizioni contro la mafia”.
1.1. Limitando la ricostruzione della complessa vicenda procedimentale ai
passaggi utili alla migliore comprensione delle questioni dedotte in questa sede,
va detto che la proposta del Procuratore della Repubblica interessò tre nuclei
familiari, i cui capostipiti e discendenti furono indicati come appartenenti
all’associazione criminale denominata “Cosa Nostra”, nell’articolazione presente
nel Comune di Terrasini, tra Palermo e Trapani, e nelle località limitrofe.
Il primo gruppo di persone proposte per l’applicazione di misure di
prevenzione personali e patrimoniali comprendeva D’Anna Calogero, nato il 20
febbraio 1924, con i figli: D’Anna Giuseppe (nato nel 1952), D’Anna Vito (nato
nel 1954) e D’Anna Alfonso (nato nel 1956).
Il secondo gruppo includeva D’Anna Girolamo, nato il 6 maggio 1931,
fratello del predetto Calogero, con i tre figli maschi: D’Anna Giuseppe (nato nel
1957), D’Anna Salvatore (nato nel 1960) e D’Anna Alfonso (nato nel 1963).
Il terzo gruppo faceva capo a Di Maggio Paolo (nato il 13 ottobre 1922),
sposato, senza figli.
Insieme ai suddetti proposti furono chiamati a partecipare al procedimento
di prevenzione i rispettivi congiunti, poiché intestatari di beni ritenuti
nell’effettiva disponibilità dei proposti ed illecitamente acquisiti; in particolare, le
mogli dei tre capostipiti: Manzella Vincenza, Badalamenti Fara e Brigati
Giuseppa, coniugate, rispettivamente, con D’Anna Calogero, D’Anna Girolamo e
Di Maggio Paolo.
Intervennero, altresì, nel procedimento altri congiunti dei proposti: in
particolare i discendenti di D’Anna Calogero, padre di dieci figli, con le rispettive
mogli, e Catalfio Claudia, moglie di D’Anna Salvatore, figlio di Girolamo.
Con decreto del 2 dicembre 1997 furono sottoposti a sequestro i beni
personali e societari, mobili e immobili, ritenuti illecitamente acquisiti e
nell’effettiva disponibilità dei proposti, benché formalmente intestati ai rispettivi
congiunti.
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1. Il presente procedimento, in materia di misure di prevenzione, ebbe inizio

Nel corso del lungo iter procedinnentale avvenne la morte di D’Anna
Calogero il 17 ottobre 1999 e quella di D’Anna Giuseppe (classe 1957), figlio
primogenito di D’Anna Girolamo, in data 11 aprile 2003. A quest’ultimo
subentrarono i suoi eredi: la moglie, Maniaci Provvidenza, ed i tre figli: D’Anna
Fanny (nata nel 1978), D’Anna Veronica (nata nel 1981) e D’Anna Girolamo
(nato nel 1988).
Con decreto del 18 luglio – 13 ottobre 2003 il Tribunale dichiarò non luogo a

patrimoniali, nei confronti dei deceduti, D’Anna Calogero e D’Anna Giuseppe di
Girolamo, e revocò il sequestro decretato a carico degli stessi, limitatamente ai
beni personali di D’Anna Calogero ed alla quota di partecipazione di D’Anna
Giuseppe (pari ad un terzo del capitale sociale, spettando gli ulteriori due terzi ai
fratelli, Salvatore e Alfonso) alla “Gazzara Residence s.r.l.”, facente capo al
padre, D’Anna Girolamo (classe 1931), considerata la cassaforte della famiglia
per i suoi cospicui investimenti mobiliari e immobiliari.
1.2. Il procedimento di prevenzione fu connotato da una complessa
istruzione, comprendente l’espletamento di più perizie, e fu definito in primo
grado, dopo oltre dieci anni dalla sua instaurazione, con decreto assunto in
riserva all’udienza del 10 marzo 2006, deciso il 17 dicembre 2007, depositato
con la motivazione il 24 maggio 2008.
Con tale decreto il Tribunale di Palermo applicò la misura di prevenzione
personale della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, con l’obbligo di
soggiorno, nei confronti di D’Anna Girolamo (classe 1931) e dei figli dello stesso,
D’Anna Salvatore e D’Anna Alfonso; e nei confronti di tre figli del defunto D’Anna
Calogero (classe 1924): i predetti D’Anna Giuseppe (classe 1952), D’Anna Vito e
D’Anna Alfonso.
D’Anna Girolamo del 1931, pluripregiudicato, in pendenza del procedimento
di prevenzione fu condannato, all’esito del secondo maxi processo celebrato nei
confronti di “Cosa Nostra”, alla pena di sette anni di reclusione per associazione
di tipo mafioso; i figli, Salvatore e Alfonso, a loro volta sottoposti a custodia
cautelare e ad un processo -coevo all’instaurazione dell’attuale procedimento di
prevenzione- come imputati di associazione di tipo mafioso, furono assolti da tale
reato a norma dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen., e, tuttavia, per
l’autonomia delle valutazioni in sede penale e di prevenzione, ritenuti
socialmente pericolosi e, come tali, sottoposti a misura di prevenzione personale;
anche il figlio primogenito di Girolamo, D’Anna Giuseppe, fu sottoposto a
processo e custodia cautelare per lo stesso reato di cui all’art. 416 bis cod. pen.,
ma morì prima della definizione del giudizio, nell’aprile 2003, come si è detto.

c,4

3

4

4

provvedere sulle proposte di applicazione di misure di prevenzione, personali e

Con lo stesso decreto deliberato il 17 dicembre 2007 il Tribunale dispose la
confisca dei beni e delle attività economiche ritenuti nella disponibilità dei
prevenuti, sebbene intestati ai loro prossimi congiunti: imprese societarie ed
individuali, beni mobili registrati, depositi bancari ed immobili, come indicati nel
provvedimento.
In particolare, al nucleo familiare facente capo a D’Anna Calogero, deceduto
nel 1999, già condannato per associazione di tipo mafioso e ritenuto coinvolto

Imetra s.r.l. (già Terrasini Costruzioni), G.S. Market di Giacona Scolastica & C
s.n.c. (Giacona è moglie di uno dei figli di Calogero, Salvatore, non proposto per
le misure, omonimo del cugino, figlio di Girolamo,

n.d.r.), T.E.S. (Terrasini

Estrazioni Sabbia) s.r.l. e Caruso s.n.c. di Caruso Francesco.
L’attività economica prevalente attribuita a tale nucleo familiare fu ritenuta
quella inerente la gestione della cava di contrada “Ramaria”, collegialmente
esercitata da tutti i numerosi componenti della famiglia sotto la direzione dei
discendenti di D’Anna Calogero: i figli Giuseppe, Vito e Alfonso, indiziati di
appartenenza a “Cosa Nostra”.
Al nucleo familiare facente capo a D’Anna Girolamo furono confiscate le
quote di partecipazione alla “Gazzara Residence s.r.l.” di cui erano titolari i figli:
D’Anna Salvatore e D’Anna Alfonso; l’intero patrimonio sociale della medesima
impresa; la quota di capitale sociale di proprietà di D’Anna Salvatore nell’impresa
GEICA s.r.I.; l’intero capitale sociale e complesso aziendale della Carb.Oil. s.r.L;
l’impresa individuale di Badalamenti Fara, moglie di D’Anna Girolamo,
proprietaria di beni mobili e immobili e di impianti di distribuzione di carburanti,
in Terrasini, sulla statale 113 e in Piazzetta Libertà.
Al nucleo familiare di Di Maggio Paolo, già condannato per associazione di
tipo mafioso, deceduto il 1° aprile 2008, in pendenza del deposito del
provvedimento di prevenzione, cui succedette la moglie, Brigati Giuseppa, morta
il 21 aprile dello stesso anno, dopo aver lasciato l’immobile di proprietà alle due
nipoti, figlie del fratello, Brigati Caterina e Brigati Agata, in forza di testamento
del 12 aprile 2008 (erroneamente indicato nel provvedimento come redatto il 21
aprile 2008: n.d.r.), fu confiscato un fabbricato sito in Partinico, via Cosenza,
ritenuto di valore superiore (stimato in oltre trecento milioni di lire) rispetto ai
redditi, addirittura negativi, dichiarati dallo stesso Di Maggio e consorte.
1.3. Investita dell’impugnazione avverso il decreto del Tribunale, pubblicato
il 24 maggio 2008, la Corte di appello di Palermo, con provvedimento del 19
novembre 2009, depositato I’ll ottobre 2010, confermò il provvedimento

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nel traffico organizzato di sostanze stupefacenti, furono confiscate le società

appellato, dopo aver dichiarato l’improcedibilità nei confronti delle appellanti,
Badalamenti Fara e Manzella Vincenza, delle quali era sopravvenuta la morte.
1.4. Pervenuto il procedimento in Corte di cassazione, con sentenza del 28
settembre 2011, depositata il 25 gennaio 2012, la quinta sezione penale della
Corte ha annullato con rinvio il decreto del 19 novembre 2009, limitatamente
alla dichiarata improcedibilità degli appelli proposti da Manzella Vincenza e
Badalamenti Fara, coltivati, dopo la morte delle stesse, dai rispettivi eredi

Analoga pronuncia di annullamento con rinvio è stata emessa limitatamente
alla confisca dei beni degli eredi di D’Anna Giuseppe: Maniaci Provvidenza con i
tre figli Fanny, Veronica e Girolamo (classe 1988); ed alla confisca dell’immobile
pervenuto alle eredi di Brigati Giuseppa: Brigati Caterina e Brigati Agata.
Sulla base di norme costituzionali (artt. 24, 27, 40 e 111 Cost.) e della
giurisprudenza della Corte europea di Strasburgo (Corte Edu), quale interprete
delle norme della Convenzione europea dei diritti del’uomo (CEDU), aventi rango
costituzionale ex art. 117 Cost., dopo aver richiamato la sentenza Sud Fondi + 2
contro Italia, emessa dalla stessa Corte Edu il 20 gennaio 2009, la Corte di
cassazione ha osservato che l’art. 2-ter, comma 11, della legge n. 575 del 1965,
con successive modifiche, esclude che la confisca di prevenzione possa essere
adottata nei confronti dei successori a titolo universale o particolare della
persona che era stata proposta o sarebbe stata proposta per l’applicazione della
misura patrimoniale, in virtù di un mero automatismo, dovendo invece essere
valutato, secondo il principio testualmente affermato dalla Corte medesima,
“l’atteggiamento soggettivo dell’erede, per accertare se ed in che misura fosse
consapevole dell’attività illecita del suo autore e della genesi illecita dei cespiti
patrimoniali oggetto della successione”.
L’omissione di tale indagine da parte della Corte territoriale ha, dunque,
giustificato l’annullamento con rinvio del decreto impugnato nei limiti suddetti.
Contestualmente la Corte di cassazione ha rigettato, nel resto, i ricorsi degli
eredi di Manzella Vincenza e Badalamenti Fara ed integralmente quelli degli altri
ricorrenti.
1.5. All’esito del disposto giudizio di rinvio la Corte di appello di Palermo,
con decreto del 2 ottobre 2013, depositato il successivo 22 ottobre, ha respinto
gli appelli avverso il provvedimento del Tribunale di Palermo del 17 dicembre
2007 – 24 maggio 2008, proposti dalle intervenienti decedute, Badalamenti Fara
e Manzella Vincenza, alle quali erano subentrati i rispettivi eredi. Parimenti ha
rigettato gli appelli presentati dagli eredi di D’Anna Giuseppe: Maniaci
Provvidenza, D’Anna Fanny, D’Anna Veronica e D’Anna Girolamo (classe 1988), e
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ritualmente costituiti in giudizio.

dalle eredi testamentarie di Brigati Giuseppa, a sua volta erede de marito Di
Maggio Paolo: le nipoti Brigati Caterina e Brigati Agata.
Con riguardo alle defunte Badalamenti Fara e Manzella Vincenza, la Corte
territoriale ha osservato che le stesse non avevano presentato autonomi atti di
appello avverso il decreto del Tribunale, ma avevano proposto un’unica
impugnazione insieme agli altri intervenuti nel procedimento, figli e nipoti, con
motivi totalmente comuni, con la conseguenza che i loro appelli, coltivati dai

rinunciato all’eredità), non potevano non avere l’esito negativo della comune
impugnazione, già respinta con decisione divenuta definitiva nei confronti degli
altri appellanti, a seguito del rigetto dei rispettivi ricorsi per cassazione con la
stessa sentenza parzialmente rescindente che aveva determinato il giudizio di
rinvio.
In ogni caso, l’esame nel merito delle impugnazioni delle due vedove,
incentrate sul rilievo che non sussisteva sproporzione, indiziante di illeciti
arricchimenti, tra le risorse disponibili in capo ai nuclei familiari di appartenenza,
da un lato, ed i beni mobili, immobili e le attività economiche (imprese sociali e
individuali), dall’altro, di cui erano state titolari o partecipi le stesse Badalamenti
e Manzella, al tempo dei rispettivi incrementi patrimoniali, confermava, secondo
la Corte territoriale, i risultati delle indagini e specialmente delle analisi tecnicoperitali condotte nel lungo corso del procedimento, non incrinati dalle
osservazioni dei consulenti di parte e dalle memorie difensive, cui i periti
avevano risposto con integrazioni dei rispettivi elaborati, circa la matrice di beni
ed attività confiscati, non giustificata dai redditi e dalle attività economiche dei
componenti i nuclei familiari di interesse, nell’accertata pericolosità sociale dei
congiunti proposti per le misure preventive.
In tema, poi, di consapevole volontà degli eredi di D’Anna Giuseppe e di
Brigati Giuseppa di acquisire beni non legittimamente entrati nel patrimonio dei
rispettivi danti causa, la Corte territoriale ha richiamato la nota situazione di
D’Anna Giuseppe (classe 1957), certamente conosciuta nella ristretta cerchia dei
suoi prossimi congiunti, quale persona proposta per l’applicazione di misura di
prevenzione personale e patrimoniale, e anche sottoposta ad indagini, in stato di
custodia cautelare in carcere, per associazione di tipo mafioso, con
proscioglimento determinato dalla sopravvenuta morte; come pure la condanna,
irrevocabile nel 2001, per associazione di tipo mafioso ed il lungo periodo di
detenzione subiti da Di Maggio Paolo, dante causa di Brigati Giuseppa, a sua
volta designante come eredi testamentarie dell’immobile in Partinico, oggetto di

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rispettivi eredi (non tutti i chiamati alla successione avendo alcuni avevano

confisca, le due nipoti: Brigati Caterina e Brigati Agata, pochi giorni dopo la
morte del marito.
Tali rilievi, unitamente alla trascrizione del sequestro dei beni di interesse,
risalente al lontano 1997, rendevano conoscibile, secondo il giudice di rinvio,
anche ai terzi la situazione dei beni di sospetta matrice illecita, nell’ambito del
piccolo comune di Terrasini, e in particolare la situazione della “Gazzara
Residence s.r.l.” appartenente ai figli di D’Anna Girolamo, il cui patrimonio era

D’Anna Giuseppe era stato oggetto di dissequestro e restituzione ai suoi eredi,
giusta provvedimento di non luogo a procedere del 18 luglio – 13 ottobre 2003,
sopra ricordato.

2.1. Avverso il decreto della Corte di appello di Palermo, giudice di rinvio,
hanno proposto unico ricorso per cassazione, con atto depositato il 20 novembre
2013, tramite il loro procuratore speciale, avvocato Salvatore Ziino del foro di
Palermo, i seguenti interessati: D’Anna Salvatore e D’Anna Alfonso di Girolamo,
Catalfio Claudia (moglie di D’Anna Salvatore); gli eredi di D’Anna Giuseppe:
Maniaci Provvidenza, D’Anna Fanny, D’Anna Veronica, D’Anna Girolamo (classe
1988); gli eredi di Badalamenti Fara, ad esclusione del marito Girolamo
rinunciante all’eredità, nelle persone dei due figli Salvatore ed Alfonso per un
terzo ciascuno e, in rappresentazione del padre premorto, Giuseppe, i figli dello
stesso: D’Anna Fanny, D’Anna Veronica e D’Anna Girolamo (classe 1988), per il
residuo terzo.
Nell’interesse di tutti i predetti ricorrenti l’avvocato Ziino ha anche inoltrato
memorie: la prima pervenuta il 28 gennaio 2015 e la seconda recante la data del
12 gennaio 2016.
2.2. Maniaci Provvidenza, D’Anna Fanny, D’Anna Veronica e D’Anna
Girolamo (classe 1988), quali eredi di D’Anna Giuseppe, hanno proposto altro
atto di ricorso per cassazione, depositato il 27 novembre 2013, tramite il
difensore e procuratore speciale, avvocato Giuseppe Oddo del foro di Palermo.
2.3. D’Anna Nicolò, D’Anna Salvatore, D’Anna Maria Maddalena e D’Anna
Calogera, figli di Manzella Vincenza, nella loro qualità di eredi della stessa, hanno
proposto unico atto di ricorso per cassazione tramite i difensori e procuratori
speciali, avvocati Santi Magazzù e Gioacchino Sbacchi del foro di Palermo.
2.4. Brigati Caterina, erede di Brigati Giuseppa, tramite l’avvocato e
procuratore speciale Carlo Emma del foro di Palermo, ha proposto ricorso per
cassazione, depositato il 29 novembre 2013, con memoria in replica alla
requisitoria del Procuratore generale, presentata il 15 giugno 2016.
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rimasto interamente vincolato, poiché solo la quota di partecipazione del defunto

3. Il ricorso a firma dell’avvocato Ziino, nell’interesse di tutti i predetti
interessati, deduce cinque motivi per la illustrazione dei quali, cui farà seguito
l’immediato esame di ciascuno, si rimanda alle considerazioni in diritto di questa
sentenza.

4. Il ricorso presentato dall’avvocato Giuseppe Oddo nell’interesse dei soli
eredi di D’Anna Giuseppe, ossia la moglie Maniaci Provvidenza ed i tre figli

proposti dall’avvocato Salvatore Ziino.

5. Gli avvocati Santi Magazzù e Gioacchino Sbacchi, nell’interesse degli eredi
della defunta moglie di D’Anna Calogero, Manzullo Vincenza, e precisamente di
alcuni figli della stessa costituiti in giudizio: D’Anna Maria Maddalena, D’Anna
Calogera, D’Anna Nicolò e D’Anna Salvatore (nato il 17/09/1960 da non
confondere con l’omonimo cugino, figlio di D’Anna Girolamo, nato il
17/07/1960), propongono due motivi. Anche per l’illustrazione di essi si rinvia
alle considerazioni in diritto in cui saranno esposti e contestualmente trattati.

6.

Il ricorso del difensore di Brigati Caterina, avvocato Carlo Emma,

denuncia due motivi dei quali pure si rimanda la presentazione alla seconda
parte di questa sentenza, laddove saranno contestualmente illustrati ed
esaminati.

7. Il Procuratore generale, nella requisitoria depositata il 4 agosto 2014,
dopo aver precisato che la sostenuta buona fede degli aventi causa doveva
essere valutata con riguardo al tempo del loro acquisto dei beni, oggetto della
proposta misura di prevenzione patrimoniale, e non con riguardo al tempo della
originaria acquisizione diretta o indiretta da parte dei proposti, ha concluso per
l’inammissibilità di tutti i ricorsi, non ravvisando nel decreto impugnato della
Corte di appello di Palermo vizi di violazione di legge, i soli denunciabili con il
ricorso per cassazione in materia di misure di prevenzione.

8. Alla requisitoria del Procuratore generale ha replicato, con memoria
depositata il 15 giugno 2016, il difensore di Brigati Caterina ribadendo il vizio di
omessa motivazione denunciato, tale da risolversi nella censura di violazione
dell’art. 125 cod. proc. pen., ammissibile nel giudizio di legittimità.

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C1

Fanny, Veronica e Girolamo D’Anna, ripete, come si dirà, alcuni dei motivi

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La Corte ritiene inammissibili tutti i ricorsi per le ragioni che saranno
indicate con riguardo a ciascuno di essi ed ai singoli motivi di impugnazione.
Giova fare due premesse.
1.1. La prima attiene all’art. 4, comma undicesimo, dell’abrogata legge 27
dicembre 1956, n. 1423, vigente all’epoca di applicazione delle misure di
3-ter, secondo comma,

della legge 31 maggio 1965 n. 575, cui corrispondono, oggi, gli articoli 10,
comma 3, e 27, comma 2, del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, intitolato “Codice
delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione”, che prevedono il ricorso per
cassazione, in materia di misure di prevenzione, solo per violazione di legge.
Al riguardo la Corte costituzionale, con recente sentenza n. 106 del 15 aprile
2015, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale del
combinato disposto delle predette norme, in relazione agli artt. 3 e 24 Cost.,
nella parte in cui limitano alla sola violazione di legge, escludendo i vizi della
motivazione, la proponibilità del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti
di confisca adottati nell’ambito dei procedimenti di prevenzione, con supposta
irragionevole disparità di trattamento rispetto al procedimento per la confisca, di
natura penale, ex art. 12-sexies del d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito dalla
legge 7 agosto 1992, n. 356.
Le due forme di confisca -ha precisato la Corte costituzionale- non sono tra
loro comparabili in quanto si inseriscono in procedimenti che hanno delle
specifiche peculiarità, sotto il profilo sostanziale e sotto quello processuale.
Quanto al piano processuale, è ammessa solo nel giudizio di prevenzione
l’impugnazione dinanzi alla Corte d’appello, con doppio grado di merito, con ciò
giustificando la limitazione del sindacato sulla motivazione. Dal punto di vista
sostanziale, poi, il processo penale ha ad oggetto la verifica di un fatto-reato,
mentre il procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione concerne
l’accertamento della pericolosità sociale.
Ne consegue che, in materia di misure di prevenzione personali e
patrimoniali, non è ammesso il ricorso per cassazione con denuncia del vizio di
motivazione, a meno che questa non sia del tutto carente, o presenti difetti tali
da renderla meramente apparente e in realtà inesistente, traducendosi perciò in
violazione di legge per mancata osservanza, da parte del giudice di merito,
dell’obbligo di provvedere con decreto motivato, sancito dal comma nono del
citato art. 4 legge n. 1423 del 1956, cui corrisponde l’art. 2-ter, comma 2, della
legge n. 575 del 1965, e, oggi, gli artt. 7, comma 1, e 23, comma 1, d.lgs. n.
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prevenzione che qui interessano, richiamato dall’art.

159 del 2011, rispettivamente, per le misure di prevenzione personali e
patrimoniali; in particolare, non può essere proposta come vizio di motivazione
mancante o apparente la deduzione di sottovalutazione di argomenti difensivi
che, in realtà, siano stati presi in considerazione dal giudice o comunque risultino
assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato
(Sez. 1, n. 6636 del 07/01/2016, Pandico, Rv. 266365; Sez. U, n. 33451 del
29/05/2014, Repaci, Rv. 260246; Sez. 6, n. 35044 del 08/03/2007, Bruno, Rv.

2181 del 06/05/1999, Sannino, Rv. 213852).
1.2. La seconda premessa riguarda i limiti implicati dal giudizio di rinvio in
cui si inseriscono gli attuali ricorsi, poiché, nei confronti delle originarie
appellanti, Manzella e Badalamenti, decedute in corso di causa, l’annullamento
del decreto impugnato è stato disposto per ragioni eminentemente processuali,
risultando “costituiti in giudizio gli eredi” delle stesse, i quali “avevano diritto di
veder deliberare le ragioni addotte dalle loro autrici e da loro stessi per
contrastare il decreto impugnato, che si sarebbero trovati in caso contrario a
subire senza poter opporre difesa di sorta” (così, testualmente, la sentenza di
annullamento a pag. 7).
Nei confronti, invece, di Maniaci Provvidenza e dei tre figli, D’Anna Fanny,
Veronica e Girolamo, tutti eredi di D’Anna Giuseppe (deceduto nel 2003), e nei
riguardi di Brigati Caterina, coerede insieme alla germana, Agata, di Brigati
Giuseppa, l’annullamento è stato determinato esclusivamente dall’omessa
indagine circa l’elemento psicologico ossia la “volontarietà e consapevolezza del
fatto (id est: acquisizione illecita dei beni sequestrati ai rispettivi congiunti,
n.d.r.) in ipotesi (…) suscettibile di sfociare in un provvedimento di confisca”
(così, testualmente, la sentenza rescindente a pag. 7).
Conviene richiamare l’obbligo assoluto ed inderogabile del giudice di rinvio di
uniformarsi alla sentenza della Corte di cassazione per quanto riguarda ogni
questione di diritto con essa decisa anche quando, a seguito di tale decisione, sia
intervenuto un mutamento di giurisprudenza (Sez. 1, n. 4049 del 10/04/2012,
dep. 2013, Licata, Rv. 254217), con l’unica eccezione dei casi di sopravvenuta
declaratoria di illegittimità costituzionale, con efficacia

ex tunc, della norma

posta a base del principio di diritto affermato (Sez. 3, n. 12532 del 29/01/2015,
Castelletti, Rv. 263001), e di intervenute sentenze delle Corti sovranazionali
(Corte europea dei diritti dell’uomo e Corte di giustizia dell’Unione europea) le
quali abbiano dichiarato l’incompatibilità con le norme della Convenzione europea
dei diritti dell’uomo (CEDU) o con il diritto comunitario di norme nazionali da

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237277; Sez. 6, n. 28837 del 26/06/2002, Paggiarin, Rv. 222754; Sez. 2, n.

applicare nel giudizio di rinvio (Sez. 5, n. 41334 del 19/09/2013, Cacciatore, Rv.
257945; Sez. 6, n. 18715 del 19/04/2012, Ignazzi, Rv. 252503).
Nel caso in esame, come si evince dalla narrativa che precede, risultano
ricorrenti tre diverse categorie di soggetti.
La prima costituita dai congiunti ritenuti fittizi intestatari di beni nell’effettiva
disponibilità dei proposti D’Anna Calogero (classe 1924) e D’Anna Girolamo

Badalamenti Fara, decedute nel corso del procedimento di appello.
Le stesse sono state ritenute parti dell’attuale procedimento nelle persone
dei loro eredi costituiti in causa: D’Anna Nicolò, D’Anna Salvatore (n. il
17/09/1960), D’Anna Maria Maddalena e D’Anna Calogera per la Manzella;
D’Anna Salvatore (n. il 17/07/1960), D’Anna Alfonso e, in rappresentazione del
figlio premorto, D’Anna Giuseppe, i figli di quest’ultimo per la Badalamenti.
La seconda categoria di ricorrenti sì identifica con gli eredi del proposto,
D’Anna Giuseppe, deceduto nel corso del procedimento di prevenzione, e
comprende, in tale veste, la Maniaci ed i tre figli Fanny, Veronica e Girolamo
D’Anna.
La terza categoria comprende, nell’attuale grado, la sola Brigati Caterina,
non congiunta né avente causa dal proposto, Di Maggio Paolo, ma erede
testamentaria di Brigati Giuseppa, con riguardo al bene immobile pervenuto a
quest’ultima quale moglie ed erede del predetto Di Maggio.
Per ciascuna di tali categorie di persone la giurisprudenza della Corte ha
elaborato principi di diritto in materia di misure di prevenzione patrimoniale.
In particolare, ai fini della confisca prevista dall’art.

2-ter, comma terzo,

della legge n. 575 del 1965 (oggi art. 24, comma 1, d.lgs. n. 159 del 2011), è
stato affermato che l’accertamento giudiziale della disponibilità, in capo al
proposto, dei beni formalmente intestati a terzi, opera diversamente per il
coniuge, i figli ed i conviventi, rispetto a tutte le altre persone fisiche o
giuridiche, in quanto nei confronti dei primi siffatta disponibilità è legittimamente
presunta senza la necessità di specifici accertamenti, quando risulti l’assenza di
risorse economiche proprie del terzo intestatario; mentre, con riferimento alle
seconde, devono essere acquisiti specifici elementi di prova circa il carattere
fittizio dell’intestazione (Sez. 1, n. 5184 del 10/11/2015, dep. 2016,
Trubchaninova, Rv. 266247).
Con riguardo, poi, all’erede del proposto, è stato affermato che, secondo il
sistema del diritto civile applicabile nel procedimento di prevenzione, il possesso
del defunto continua nel suo erede con effetto dal momento dell’apertura della
successione (art. 1146 c.c.) e con i medesimi caratteri che connotavano la
11

(classe 1931): è il caso delle mogli dei predetti, Manzella Vincenza e

signoria di fatto esercitata dal de cuius, con la conseguenza che se il defunto era
possessore di mala fede, tale viene reputato l’erede, quand’anche questi ignori di
ledere l’altrui diritto (Sez. 6, n. 10153 del 18/10/2012, dep. 2013, Coli, non
massimata sul punto); mentre analoga assimilazione non può evidentemente
sostenersi – in punto di fatto – con riguardo all’erede dell’erede del proposto,
con i conseguenti oneri probatori in tema di consapevole volontà di ricevere beni

Ebbene, la sentenza parzialmente rescindente alla base del decreto
attualmente impugnato non ha operato le predette distinzioni tra aventi causa
dal proposto, richiedendo in ogni caso l’accertamento della consapevolezza della
pericolosità del dante causa e della genesi illecita dei cespiti patrimoniali oggetto
della successione.
Nella verifica di legittimità del provvedimento impugnato, la Corte dovrà,
pertanto, prescindere dalle distinzioni sopra richiamate, ed assumere un criterio
di valutazione unificante, sotto il profilo psicologico, le posizioni dei ricorrenti, in
quanto indicato nella sentenza di annullamento con rinvio e, quindi, vincolante.
1.3. Un’ultima premessa si impone con riguardo al ricorso proposto anche
nell’interesse di Catalfio Claudia, moglie di D’Anna Salvatore (n. il 17/07/1960),
dal comune difensore, avvocato Salvatore Ziino, benché la stessa non sia stata
interessata dalla sentenza di parziale annullamento del decreto del 19 novembre
2009, con la quale sono stati respinti i ricorsi proposti da persone diverse dagli
eredi di Manzella Vincenza e di Badalamenti Fara e dagli eredi di D’Anna
Giuseppe e di Brigati Giuseppa, diventando pertanto definitiva nei confronti di
tutte le altri parti la confisca di prevenzione disposta con provvedimento del 17
dicembre 2007 – 24 maggio 2008 del Tribunale di Palermo.
Ne discende l’inammissibilità del ricorso della Catalfio per difetto di
legittimazione, trattandosi di persona estranea al giudizio rescissorio definito con
il decreto del 2 ottobre 2013 della Corte di appello di Palermo, emesso nei
confronti delle sole persone interessate dalla sentenza di parziale annullamento.

2.1. Tanto premesso e venendo all’esame dei singoli ricorsi, è stato
proposto, come anticipato, un unico atto di impugnazione dal comune difensore,
avvocato Salvatore Ziino, nell’interesse di D’Anna Salvatore e D’Anna Alfonso di
Girolamo e di Catalfio Claudia, moglie del primo, della quale si è già detto;
nell’interesse degli eredi di D’Anna Giuseppe di Girolamo nelle persone di Maniaci
Provvidenza, D’Anna Fanny, D’Anna Veronica e D’Anna Girolamo (classe 1988);
e, ancora, nell’interesse degli eredi di Badalamenti Fara, premorta al marito
Girolamo (classe 1931) rinunciante all’eredità della moglie, nelle persone dei figli
12

di matrice illecita.

Salvatore ed Alfonso per un terzo ciascuno e, in rappresentazione del padre
premorto, Giuseppe, dei figli di quest’ultimo, coeredi del residuo terzo.
Con il primo motivo di ricorso, il difensore sostiene -ai sensi dell’art. 606,
comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen.- la violazione degli artt. 627, comma 3, e
125 cod. proc. pen.
La Corte di appello del giudizio di rinvio, in violazione della sentenza di

esaminato i motivi proposti da Badalamenti Fara e fatti propri dai suoi eredi
avverso il decreto del Tribunale, limitandosi a riassumere il contenuto del decreto
parzialmente annullato, donde la mera apparenza della motivazione.
2.1.1. Osserva il Collegio che tale motivo è manifestamente infondato.
La Corte del giudizio di rinvio ha chiarito che la Badalamenti e gli altri
intervenienti avevano proposto un unico atto di appello avverso il decreto di
confisca del Tribunale, divenuto definitivo a seguito del rigetto del ricorso per
cassazione contro il provvedimento di rigetto della Corte di appello, salvo
l’annullamento pertinente alla sola posizione della Badalamenti per motivo
esclusivamente formale, in quanto ritenuta illegittimamente esclusa dal giudizio
di impugnazione; ciò determinava, secondo il giudice di rinvio, la validità anche
nei suoi confronti delle ragioni che avevano giustificato il rigetto del ricorso degli
altri intervenienti, fondato sui medesimi motivi non aventi natura soggettiva
specifica.
In ogni caso, la Corte di appello non ha omesso l’esame, nel merito,
dell’appello proposto dalla Badalamenti, ripercorrendo la biografia giudiziaria ed
economica del capo famiglia, D’Anna Girolamo (classe 1931), e l’inizio delle sue
fortune economiche risalenti ai primi anni ottanta, non giustificate dai redditi
dichiarati e dalle attività economiche all’epoca esercitate, con distribuzione dei
beni accumulati tra i familiari a cominciare dai tre figli, allora molto giovani,
principalmente tramite la società “Gazzara Residence s.r.l.”; e ha dedotto, con
argomentazioni esenti da illogicità e contraddizioni, tenuto conto delle condanne
medio tempore subite dallo stesso D’Anna Girolamo anche per partecipazione ad
associazione di tipo mafioso, e dell’indimostrata legittima provenienza delle
ricchezze accumulate dalla famiglia, la sussistenza dei presupposti normativi
della disposta confisca estesa agli stretti congiunti e, segnatamente, alla moglie,
Badalamenti, apparente intestataria di beni non giustificati dalle risorse
economiche della stessa, coerentemente ritenuti frutto dell’impiego dei capitali
illecitamente acquisiti dal marito.
Non ricorre, dunque, l’inesistenza o la mera apparenza della motivazione
integrante l’unico vizio per violazione di legge denunciabile ratione materiae, con
13

annullamento della Corte di cassazione del 28 settembre 2011, non avrebbe

la conseguenza che il predetto motivo di ricorso deve essere dichiarato
inammissibile.

2.2. Con il secondo motivo l’avvocato Ziino, nell’interesse di tutti i suoi
assistiti, deduce -ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen.- la
violazione degli artt. 627, comma 3, cod. proc. pen. e 7 della Convenzione per la

In contrasto con il principio affermato nella sentenza di annullamento della
Corte di cassazione e con il diritto sancito dall’art. 7 della CEDU, affermativo
della necessità della colpevolezza del destinatario per applicare nei suoi confronti
qualsiasi misura sanzionatoria, quale deve ritenersi, secondo la decisione
rescindente, anche la confisca deliberata in sede di prevenzione, sarebbe stato
respinto il ricorso degli eredi di D’Anna Giuseppe avverso il decreto di confisca
dei beni del loro dante causa, benché gli stessi fossero palesemente
inconsapevoli della presunta provenienza illecita dei beni ereditati, posto che i
figli del defunto D’Anna erano piccolissimi e il più giovane neppure nato al tempo
in cui, secondo la ricostruzione sostenuta dalla Corte territoriale, si erano
illecitamente formate, agli inizi degli anni ottanta, le fortune economiche della
famiglia.
2.2.2. Osserva il Collegio che il detto motivo è manifestamente infondato.
Come correttamente rilevato dal Procuratore generale, la consapevolezza di
acquisire un bene di illecita provenienza non va riferita al tempo di iniziale
acquisizione di esso al patrimonio dell’indiziato di appartenenza ad associazione
di tipo mafioso, bensì a quello del suo acquisto da parte degli aventi causa, ossia
gli attuali ricorrenti quali eredi mortis causa del rispettivo marito e padre, e, sul
punto, il decreto del giudice di rinvio non ha omesso di motivare nel senso che,
al momento dell’apertura della successione, 1’11 aprile 2003, data della morte di
D’Anna Giuseppe, quest’ultimo era sottoposto sia a procedimento di prevenzione
sia a procedimento penale per associazione di tipo mafioso, ed i suoi beni
vincolati sia con sequestro di prevenzione sia con sequestro penale, circostanze,
queste, certamente note ai suoi stretti congiunti, moglie e figli, all’epoca già
maggiorenni tranne l’ultimo, quindicenne nel 2003, e quindi consapevoli della
contestata matrice illecita dei beni da loro ereditati.
Ne discende la palese inconsistenza della censura.

2.3. Con il terzo motivo il difensore, sempre nell’interesse di tutti i suoi
assistiti, denuncia -ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen.la violazione degli artt. 1 e seguenti della legge n. 575 del 1965.
14

salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (brevius: CEDU).

Illegittimamente sarebbe stata disposta la confisca dell’intero patrimonio
sociale della “Gazzara Residence s.r.l.”, dopo il disposto dissequestro e la
restituzione agli aventi diritto della quota della medesima società spettante al
defunto D’Anna Giuseppe, nei confronti del quale era stato emesso decreto del
18 luglio 2003 di non luogo a procedere, per morte dello stesso, in relazione alle
proposte misure di prevenzione personale e patrimoniale.

infondata, perché estranea al devoluto con il giudizio di rinvio che ha investito
solo il punto relativo all’esame dell’atteggiamento psicologico degli eredi, con
riguardo alla loro consapevolezza dell’attività del dante causa e della matrice
illecita dei cespiti patrimoniali caduti in successione, come ben chiarito nel
decreto impugnato (c.f.r. pag. 23 di esso, dove si riconosce il definitivo rigetto
delle impugnazioni avanzate dai proposti e dai loro congiunti diversi dai predetti,
restando comunque estranea al disposto annullamento la delimitazione
dell’oggetto materiale della confisca).

2.4. Con il quarto motivo il difensore dei ricorrenti deduce -ai sensi dell’art.
606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen.- la violazione dell’art. 649 cod.
proc. pen. e dell’art. 4 del Protocollo 7 della CEDU; e la violazione dell’art. 125
cod. proc. pen. per omessa motivazione.
Gli stessi beni confiscati con l’impugnato decreto della Corte territoriale
sarebbero stati oggetto di precedente sequestro di prevenzione e definitivo
dissequestro e restituzione al proposto, D’Anna Girolamo, classe 1931, in
occasione di altro procedimento di prevenzione, definito con decreto del 20
dicembre 1989 (depositato il 9 gennaio 1990), col quale era stata applicata al
predetto D’Anna la sola misura di prevenzione personale della sorveglianza
speciale, con obbligo di soggiorno, e non anche quella patrimoniale.
In aperta violazione del principio che vieta un secondo giudizio, la Corte
territoriale, nonostante la mancanza di elementi sopravvenuti tali da giustificare
la modifica della decisione precedente, aveva confermato il decreto del
Tribunale, in data 17 dicembre 2007, ordinante la confisca dei beni già
dissequestrati e restituiti, col suddetto decreto del 20 dicembre 1989, a D’Anna
Girolamo.
2.4.4. Osserva il Collegio che il predetto motivo è manifestamente
infondato.
«In materia di misure prevenzione, invero, l’intangibilità del giudicato opera
rebus sic stantibus e non impedisce né l’esame di nuove e diverse circostanze,
sopravvenute o emerse successivamente, anche se anteriori, né la valutazione,
15

2.3.3. Ad avviso del Collegio, anche tale censura risulta manifestamente

nella nuova situazione, di tutte le circostanze, comprese quelle considerate nella
precedente decisione, al fine di applicare una misura in precedenza negata
ovvero una misura più grave di quella già inflitta» (Sez. 5, n. 16019 del
23/02/2015, Di Trapani, Rv. 263269; conformi: Sez. 1, n. 5649 del 16/01/2002,
Scamardo, Rv. 221155; Sez. 1, n. 27147 del 11/03/2016, Costa, Rv. 267057).
Nel caso di specie, il decreto impugnato chiarisce gli elementi indiziari di più

1989 e, segnatamente, le dichiarazioni di plurimi collaboratori di giustizia, i quali
avevano gettato nuova luce sui legami criminali dei fratelli D’Anna e sull’illecita
genesi e crescita delle loro fortune economiche al punto di dominare
economicamente l’intero territorio di Terrasini e Comuni limitrofi.
Ne discende che non vi è stata alcuna violazione del divieto di bis in idem in
una materia, quale è quella delle misure di prevenzione, in cui le decisioni non si
cristallizzano in giudicati intangibili, restando permeabili ad elementi preesistenti
non tempestivamente emersi ovvero sopravvenuti purché rilevanti ai fini del
decidere.

2.5. Con il quinto ed ultimo motivo lo stesso difensore denuncia -ai sensi
dell’art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen.- la violazione dell’art. 627,
comma 3, cod. proc. pen., e dell’art. 7 CEDU, con riguardo all’omesso rilievo di
incolpevolezza degli eredi di Badalamenti Fara (i due figli, Salvatore e Alfonso, e
i tre figli del premorto discendente, Giuseppe) nell’acquisizione, per successione,
dei beni di proprietà della stessa Badalamenti, dei quali il ricorrente opera
puntuale e completo elenco.
Secondo il difensore, nessuno degli eredi della Badalamenti potrebbe essere
considerato compartecipe di attività illecite, compresi i figli della dante causa,
Salvatore e Alfonso D’Anna, i quali, pur sottoposti a misura di prevenzione
personale e patrimoniale nell’ambito di questo stesso procedimento, dovevano
ritenersi completamente estranei alle presunte attività illecite che avrebbero
consentito alla Badalamenti di acquisire i numerosi beni, caduti nella di lei
successione mortis causa, tenuto conto anche per loro, come per i figli del
defunto fratello, Giuseppe, della giovanissima età al tempo dell’acquisto della
maggior parte dei beni di proprietà materna nei lontani anni sessanta.
2.5.5. Anche il suddetto motivo, ad avviso del Collegio, è manifestamente
infondato ed eccentrico rispetto ai limiti del giudizio di rinvio, poiché la sentenza
di parziale annullamento ha respinto, come si è detto, tutti i ricorsi dei proposti
pertinenti ai beni loro confiscati, inclusi quelli acquisiti per successione alla
Badalamenti; il difensore dei ricorrenti, comunque, incorre nello stesso errore già
16

9’1_____,

recente acquisizione rispetto al provvedimento di dissequestro del dicembre

rilevato nel commento al secondo motivo che precede, e, cioè, quello di riferire
l’atteggiamento psicologico degli aventi causa all’epoca dell’ingresso -diretto o
indiretto- dei beni nel patrimonio del dante causa, mentre esso va correlato al
tempo, evidentemente successivo, dell’acquisita titolarità di essi da parte degli
aventi causa. E, al riguardo, va rilevato che la successione di figli e nipoti alla
Badalamenti si è aperta nel corso del procedimento di prevenzione, già in grado

maggio 2008, la confisca dei beni ritenuti fittiziamente intestati alla stessa e,
comunque, frutto dell’impiego dei capitali illecitamente acquisiti dal marito,
D’Anna Girolamo, giudicato per associazione di tipo mafioso.

3.1. Analoghi al secondo e al terzo motivo proposti dall’avvocato Ziino,
sopra esaminati, sono le censure formulate dall’avvocato Giuseppe Oddo
nell’interesse dei soli eredi di D’Anna Giuseppe: la moglie, Maniaci Provvidenza,
ed i tre figli, D’Anna Fanny, Veronica e Girolamo (classe 1988).
La prima denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc.
pen., investe la violazione degli artt. 1, 2, 2-ter della legge n. 575 del 1965 e
degli artt. 627, 125, 649 e 546 cod. proc. pen., perché la Corte territoriale non
avrebbe applicato il principio di diritto sancito nella sentenza di annullamento,
postulante la necessaria consapevolezza, negli eredi di D’Anna Giuseppe, della
pretesa provenienza illecita dei beni loro pervenuti mortis causa, che, ad avviso
del ricorrente, andrebbe invece esclusa per le stesse ragioni sostenute nel
ricorso a firma dell’avvocato Ziino, di cui sopra.
E’, altresì, censurato il dissequestro solo parziale dei beni appartenuti al
defunto D’Anna, nonostante il decreto del 18 luglio 2003 di non doversi
procedere nei suoi confronti; si sostiene che risulterebbe illegittimamente
confiscato l’intero patrimonio della “Gazzara Residence s.r.l.”, ivi inclusa la quota
di spettanza del predetto.
3.1.1. Entrambe le censure sono manifestamente infondate per gli stessi
rilievi già esposti nell’esame degli analoghi motivi (secondo e terzo) presentati
dall’avvocato Ziino cui si rimanda.

4.1. Con il primo motivo di ricorso proposto dagli avvocati Santi Magazzù e
Gioacchino Sbacchi, nell’interesse degli eredi della defunta moglie di D’Anna
Calogero, Manzullo Vincenza, e, in particolare, dei figli -costituiti in giudizio al
suo posto- D’Anna Maria Maddalena, D’Anna Calogera, D’Anna Nicolò e D’Anna
Salvatore (nato il 17/09/1960), è denunciato, ai sensi dell’art. 606, comma 1,

17

di appello, dopo che era stata disposta dal Tribunale, con decreto pubblicato il 24

lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., la violazione e falsa applicazione degli artt.
627, comma 3, e 125 dello stesso codice.
La Corte del giudizio di rinvio avrebbe omesso di motivare sui motivi di
appello proposti da Manzullo Vincenza e fatti propri non da tutti i figli della
stessa, ma solo da alcuni di loro accettanti l’eredità della madre defunta, diversi
dai fratelli proposti per l’applicazione delle misure di prevenzione, nell’ambito

Alfonso, nei riguardi dei quali il provvedimento di confisca era divenuto
definitivo, come pure la contestuale misura di prevenzione personale, con
l’eccezione del solo D’Anna Giuseppe (di Calogero) perché cittadino americano.
La Corte territoriale non avrebbe effettuato, in violazione dell’art. 627,
comma 3, cod. proc. pen., alcun autonomo esame dei motivi di appello avverso il
decreto del Tribunale, adagiandosi sul presunto giudicato di prevenzione, in
realtà non attinente alla posizione di Manzella Vincenza, deceduta nelle more del
procedimento di appello, con dichiarata pronuncia di improcedibilità nei suoi
confronti, annullata -come detto- dalla Corte di cassazione.
4.1.1. Osserva il collegio che il suddetto motivo, privo di alcuno sviluppo
argomentativo essendo solo enunciato (v. pag. 7 del ricorso in esame), è
inammissibile perché generico; ed è, comunque, manifestamente infondato
perché il giudice di rinvio ha ampiamente motivato sulla specifica posizione della
Manzella, come si evince dalla lettura delle pagine 21-25 del decreto impugnato,
restando dunque esclusa la deviazione dai binari segnati dal giudizio rescindente
e l’apparenza della motivazione.

4.2. Con il secondo motivo i difensori, avvocati Magazzù e Sbacchi,
denunciano, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., la
violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e ss. della legge 31 maggio 1965, n.
575, con successive modifiche, in relazione all’art. 125 cod. proc. pen.
Omettendo di motivare sulle specifiche censure proposte dalla Manzella, non
sovrapponibili a quelle dei figli proposti e dei congiunti intervenienti, non
costituitisi quali suoi eredi, la Corte del giudizio di rinvio avrebbe completamente
omesso di argomentare sui seguenti elementi dedotti dall’appellante: a)
proprietà del 40% delle quote della I.ME.TRA s.r.l. (già Terrasiní Costruzioni),
confiscata per intero, sebbene la quota spettante ai figli della Manzella, attinti da
misura di prevenzione, fosse del solo 20% e nonostante il disposto dissequestro
e restituzione dei beni appartenuti al defunto coniuge della ricorrente, D’Anna
Calogero, e alla stessa Manzella, scomparsa prima che il provvedimento di
confisca dell’intera società divenisse definitivo nei suoi confronti e dopo che

18

CI

dello stesso procedimento, ì predetti D’Anna Giuseppe, D’Anna Vito e D’Anna

analogo provvedimento di sequestro preventivo in sede penale era stato
definitivamente revocato dal Tribunale del riesame, su rinvio dalla Corte di
cassazione, giusta ordinanza del 13 maggio 1997; b) liceità della provvista
utilizzata dalla Manzella per acquisire la quota del 40% della I.ME.TRA., avendo
alienato nell’anno (giugno 1992), in cui fu effettuato un aumento del capitale
sociale, la proprietà di un suo immobile per il considerevole prezzo di lire

effettuato dalla stessa, ma in realtà voluto e attuato dai figli proposti sotto lo
schermo materno; c) la non dominante influenza nella gestione societaria dei
destinatari delle misure di prevenzione e l’assoluta mancanza di motivazione
circa la pretesa conduzione mafiosa della medesima società I.ME.TRA.
4.2.2. Rileva il Collegio che i predetti rilievi si risolvono in censure di merito
e, comunque, nella denuncia di vizi della motivazione, come tali non ammissibili
nel ricorso in materia di provvedimenti di prevenzione, consentito solo per
violazione di legge.
Va riaffermato che la motivazione relativa alle censure proposte dagli eredi
della Manzella in luogo della stessa, non è inesistente perché, come si è già
osservato nella risposta al motivo precedente, la Corte di appello non ha
tralasciato di esaminare i motivi di impugnazione a suo tempo proposti
dall’interessata, ritenendoli infondati con argomentazioni non apparenti (v. pagg.
21-25 del decreto impugnato, già sopra richiamate).

5.1. Brigati Caterina, tramite l’avvocato Carlo Emma, deduce con un primo
motivo, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione
dell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen., in relazione alle disposizioni contenute
nell’art.

2-ter, comma 11, legge n. 575 del 1965, come richiamate nelle

sentenze della Corte di cassazione e, segnatamente, nella sentenza n. 1320 del
2011 e n. 3219 del 2012, quest’ultima determinante l’attuale giudizio di rinvio.
Dalle predette sentenze si evince, secondo la ricorrente, che la Corte di
cassazione richiede ai giudici di merito la prova piena della consapevolezza
dell’attività illegale del dante causa e della genesi illecita del bene trasmesso.
Tale principio avrebbe dovuto essere applicato, con particolare rigore, nei
riguardi di colei, come la Brigati, che non è discendente diretta del soggetto,
originario proprietario dell’immobile sequestrato, Di Maggio Paolo, proposto per
le misure di prevenzione, siccome indiziato di appartenenza ad associazione di
tipo mafioso. La Brigati, infatti, è erede testamentaria della moglie del predetto
Di Maggio, Brigati Giuseppa, cui il bene de quo è pervenuto per successione al
marito. La Corte del giudizio di rinvio avrebbe completamente omesso il
19

settecento milioni, con la conseguente esclusione di un acquisto solo apparente

doveroso accertamento dell’atteggiamento psicologico della Brigati con il rigore
imposto dalla distinzione giurisprudenziale tra gli eredi diretti del proposto e le
persone con lui conviventi, da un lato, ed i terzi di buona fede per non avere
avuto rapporti di parentela o di convivenza con lo stesso proposto, e, nel caso
della Brigati, per essere addirittura una bambina, di soli nove anni, al momento
dell’acquisto dell’immobile, oggetto di confisca, da parte del Di Maggio, come

5.2. Con il secondo motivo il difensore ribadisce la denuncia -ai sensi
dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen.- di violazione dell’art. 627,
comma 3, cod. proc. pen., in relazione alle disposizioni contenute nell’art. 2-ter,
comma 11, legge n. 575 del 1965, come richiamate nelle sentenze della Corte di
cassazione e, segnatamente, nelle sentenze n. 1320 del 2011, n. 3219 del 2012
e n. 10153 del 2013.
Lamenta, in particolare, che la Corte del giudizio di rinvio non avrebbe
tenuto conto della documentazione prodotta dal difensore il 12 giugno 2013
(certificati di residenza attestanti fino al 1982, anno di acquisto dell’immobile, la
residenza dei coniugi Di Maggio-Brigati in un Comune diverso, Terrasini, da
quello di residenza di Brigati Caterina, all’epoca ancora bambina, in Partinico); e
ciò a sostegno dell’estraneità della Brigati e dalla sorella coerede a rapporti con il
proposto, tali da giustificare la pretesa consapevolezza della provenienza illecita
dell’immobile ereditato dalla zia e dalla stessa trasmesso con testamento alle
nipoti.
Nella memoria, depositata il 15 giugno 2016 sono ribadite le predette
doglianze.
5.1.1. (e 5.1.2.). Osserva il collegio, con riguardo ad entrambe le censure,
che la motivazione pertinente alla posizione della Brigati non è apparente, come
si evince dalla lettura delle pagine 31-32 del decreto impugnato dedicate
specificamente alla predetta ricorrente, dove si sottolineano eventi di rilievo e
noti nel ristretto contesto socio-familiare di appartenenza, tra Terrasini e
Partinico, come la condanna di Di Maggio Paolo per associazione di tipo mafioso,
irrevocabile già nel 2001, e il suo lungo periodo di detenzione anche domiciliare
per ragioni di salute, dai quali ragionevolmente si evince la consapevolezza della
compromessa posizione sociale ed economica dello zio acquisito della Brigati,
chiamata tramite la zia a succedere nella proprietà immobiliare dello stesso Di
Maggio. Neppure va trascurato il richiamo, operato nel decreto impugnato (pag.
29), alla pubblicità immobiliare e alla trascrizione del vincolo cautelare sui beni
sequestrati (incluso l’immobile di proprietà del proposto Di Maggio ereditato dalla
moglie) fin dal tempo del relativo provvedimento emesso il 2 dicembre 1997,
20

tale certamente ignara della pretesa provenienza illecita del bene.

o

certamente noto all’atto dell’apertura della successione di Brigati Giuseppa a
favore delle nipoti, il 21 aprile 2008, nelle more del deposito, avvenuto il 24
maggio 2008, della decisione di confisca del medesimo immobile deliberata il 17
dicembre 2007, prima della morte del proposto, Di Maggio Paolo, avvenuta il 10
aprile 2008; senza tacere che Brigati Giuseppa, erede del marito, redasse il
testamento che designava le omonime nipoti come eredi dell’immobile, già

lasso di tempo intercorso tra la morte del coniuge, il 10 aprile 2008, e il decesso
della stessa Brigati, avvenuto il 21 aprile del medesimo anno.
Nel caso in esame, quindi, il disposto trasferimento

mortis causa fu

preceduto dal sequestro di prevenzione con le prescritte forme di pubblicità, ciò
che ha ragionevolmente portato ad escludere l’ignoranza del vincolo gravante sul
bene da parte delle designate eredi e, segnatamente, dell’attuale ricorrente
Brigati Caterina.
Segue, in assenza di alcuna violazione di legge per essere il decreto
impugnato compiutamente motivato anche con riguardo alla posizione della
Brigati, l’inammissibilità del ricorso per cassazione presentato dalla stessa.

6. In conclusione, alla luce di quanto precede, tutti i ricorsi devono essere
dichiarati inammissibili e i ricorrenti, a norma dell’art. 616, comma 1, cod. proc.
pen., subiscono condanna al pagamento delle spese processuali e ciascuno, in
mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa
di inammissibilità (Corte Cost., sent. n. 186 del 2000), anche al versamento, a
favore della cassa delle ammende, di una sanzione pecuniaria che si stima equo
determinare, tra il minimo e il massimo previsti, in millecinquecento euro.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e, ciascuno, al versamento della somma di euro
millecinquecento alla cassa delle ammende.
Così deciso il 21/07/2016.

sottoposto a sequestro di prevenzione, in data 12 aprile 2008 ossia nel breve

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