Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19340 del 24/06/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 19340 Anno 2017
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: ESPOSITO ALDO

Data Udienza: 24/06/2016

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BUFO MICHELE, n.1’11/12/1972;
avverso il decreto n. 9737/2014 GIUD. SORVEGLIANZA di VARESE, del
19/01/2015;
sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. Aldo Esposito;
.\../ lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona della dott.ssa Marilia Di
Nardo, che chiedeva dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
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RITENUTO IN FATTO

1. Con decreto del 19/01/2015 emesso ai sensi dell’art. 666, comma 2, cod.
proc. pen., il Magistrato di sorveglianza di Varese dichiarava l’inammissibilità del reclamo proposto da Bufo Michele ai sensi dell’art. 35 ter ord. pen. per violazione
dell’art. 3 CEDU per mancanza dell’attualità del pregiudizio e per la genericità
nell’indicazione degli elementi di fatto e di diritto posti a fondamento della doman-

2. Il Bufo proponeva personalmente ricorso per Cassazione avverso tale provvedimento, chiedendone l’annullamento con richiesta di attivazione dei rimedi risarcitori di legge in conseguenza della condizione inumana di detenzione dovuta al sovraffollamento carcerario.
Con memoria recante la data del 22/02/2016, insisteva per l’accoglimento del
ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.
1.1. In caso di istanza (reclamo) risarcitoria dinanzi al Magistrato di sorveglianza, ai sensi dell’art. 35 ter, commi 1 e 2, L. n. 26 luglio 1975, n. 354 questa Corte
(Sez. 1, 16/07/2015 n. 46966, Koleci; Sez. 1, 16/07/2015, dep. 2016, n. 876, Ruffolo, Rv. 265857; Sez. 1, 16/07/2015 dep. 2016, n. 874, Tripi) ha elaborato il principio secondo cui la scelta legislativa è, in rito, quella di privilegiare, innanzitutto,
un contraddittorio nel doppio grado di merito.
Il Magistrato di sorveglianza può emettere un provvedimento de plano e fuori
dal modello partecipato nel solo concorso dei presupposti di cui all’art. 35-bis comma 1 L. n. 354 del 1975 («manifesta inammissibilità della richiesta a norma dell’art.
666, comma 2 cod. proc. pen.»). Deve ricorrere, tuttavia, un’ipotesi assimilabile alla «presa d’atto» dell’assenza delle condizioni di legge. Non deve, cioè, svolgersi
una cognizione d’accertamento sui fatti, né dispiegarsi una forma di valutazione conoscitiva-discrezionale (Sez. 1, n. 43722 del 11/06/2015, Salierno, che, tuttavia,
perviene a diverse conclusioni quanto al regime d’impugnazione).
L’inammissibilità ricorre allorquando la domanda non indica né i periodi di detenzione, né le strutture carcerarie, né le ragioni inerenti le specifiche condizioni de-

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tentive, in relazione alle quali si deduce un trattamento penitenziario subito in violazione dell’art. 3 Cedu (Sez. 1, 24/06/2016 n. 40232, Oppedisano, non massimata; Sez. 1, 13/05/2015 n. 22164, Ferraro, Rv. 263613, cui

adde

Sez. 1,

da.

3
16/07/2015 n. 47480, Manfra, Rv. 265468 e Sez. 1, 16/07/2015, dep. 2016, n.
876, Ruffolo, Rv. 265855).

2. L’istanza era correttamente dichiarata inammissibile con procedura de plano.
2.1. Il detenuto, infatti, ha formulato l’istanza in termini estremamente generici
ed ha invocato l’applicazione dei rimedi “riparatori”. Non ha enucleato, tuttavia, né
allegato in termini sufficientemente dettagliati il fatto materiale che integrerebbe la
lesione affermata.
Deve, contrariamente, ritenersi che il detenuto che invochi l’applicazione dei rimedi riparatori di cui all’art. 35 ter L. n. 354 del 1975 abbia, di converso, obbligo in funzione del vaglio preliminare di ammissibilità della domanda e della delimitazione dell’oggetto del thema decidendum – di esplicitare la ragione giuridica del
domandare, indicando il fatto materiale che sorregge l’istanza stessa (condizione di
sovraffollamento, carenze dei servizi minimi ed essenziali nella struttura detentiva,
altri elementi di trattamento che assimilano la detenzione medesima ad una realtà
non conforme all’art. 3 CEDU).
Il mero ed astratto richiamo all’art. 3 CEDU ed alle “condizioni” in cui si trovavano gli istituti, durante la detenzione, in funzione dei rimedi riparatori, non rende
ex se l’istanza conforme al modello legale di cui all’art. 35 ter L. n. 354 del 1975.
Correttamente, pertanto, ne è stata dichiarata l’inammissibilità con la procedura de
plano. Né ha pregio il richiamo operato in ricorso ai poteri del Magistrato di sorveglianza, in ragione delle ampie potestà di “cognizione” a costui riservate dallo stesso modello procedimentale e dall’art. 666, comma 5, cod. proc. pen.. Ciò anche in
funzione d’una verifica officiosa, che competerebbe al medesimo organo giurisdizionale.
Va, certamente, ribadito il principio secondo cui in tema di esecuzione non sussiste un onere probatorio in senso stretto, a carico del soggetto che invochi un
provvedimento giurisdizionale favorevole, ma solo un onere di allegazione. Esso si
traduce nel dovere di prospettare e di indicare al giudice i fatti sui quali la richiesta
si basa, incombendo poi all’Autorità Giudiziaria il compito di procedere ai relativi accertamenti (Sez. 5, 14/11/2000 n. 4692, Sciuto, Rv. 219253; Sez. 1, 11/11/2009
n. 46649, Nazar, Rv. 245512; Sez. 1, 22/9/2010 n. 34987, Di Sabatino, Rv
248276). Proprio l’editio ationis – sebbene succinta ed essenziale – consente al giudice di attivare i poteri officiosi di accertamento.
La contraria opinione (della sufficienza della generica denunzia della violazione
della norma convenzionale ovvero della lesione dei diritti) comporterebbe l’assurda
conseguenza che il giudice debba porsi – in prospettiva meramente esplorativa – alla ricerca di ogni fatto o situazione che possano aver cagionato (in dipendenza della
inosservanza delle norme penitenziarie) un grave pregiudizio all’esercizio dei diritti

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dell’istante e debba procedere alla scelta e alla selezione di quanto sia da porre a
fondamento della pretesa riparatoria, così assumendo l’inconcepibile veste di attore
sostanziale della domanda sulla quale deve decidere. L’istante, infatti, deve prospettare al Giudice adito almeno il dato materiale costitutivo del diritto affermato ed
introdotto nel giudizio innanzi al Magistrato di sorveglianza. Nel caso di specie, la richiesta avanzata risulta carente proprio su detto profilo e, pertanto, non è conforme
al modello legale prescritto dall’art. 35 ter L. n. 354 del 1975.
Va riaffermato, infine, che l’istanza va respinta solo sotto il profilo della generici-

go riferimento all’art. 69, comma 6, ord. pen.; non è condivisibile, infatti, l’ulteriore
argomentazione sviluppata dal giudice a quo in ordine alla mancanza del requisito
dell’attualità del pregiudizio. In materia di rimedi risarcitori conseguenti alla violazione dell’art. 3 CEDU nei confronti di soggetti detenuti o internati, l’attualità del
pregiudizio non è condizione necessaria ai fini dell’accoglimento della domanda riparatoria rivolta al Magistrato di sorveglianza, in quanto il richiamo contenuto nell’art.
35 ter ord. pen. al pregiudizio di cui all’art. 69, comma sesto, lett. b), ord. pen., ai
fini della riduzione della pena, non si riferisce al presupposto della necessaria attualità del pregiudizio medesimo (Sez. 1, 16/07/2015 n. 46966, Koleci, Rv. 265973).
Il ricorso va respinto e segue la condanna al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 24 giugno 2016.

tà della stessa, per omessa indicazione della causa petendi, sussistendo solo un va-

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