Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19337 del 18/01/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 19337 Anno 2013
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: BEVERE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SACCO PIETRO N. IL 21/03/1949
avverso l’ordinanza n. 854/2012 TRIB. LIBERTA’ di PALERMO, del
22/06/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott ANTONIO BEVERE;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.
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Udit i difensor Avv.;

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Data Udienza: 18/01/2013

FATTO E DIRITTO
Con ordinanza 22.6.2012, il tribunale di Palermo ha ritenuto fondata la richiesta di riesame,
presentata nell’interesse di Sacco Pietro , e ha annullato l’ordinanza 30.5.2012 , applicativa della
misura cautelare degli arresti domiciliari ,limitatamente al motivo concernente l’assenza delle
esigenze cautelari, con assorbimento dell’altro motivo dell’impugnazione, concernente l’assenza dei
gravi indizi di colpevolezza.
Il difensore ha presentato ricorso per mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi
indizi di colpevolezza, in ordine ai reati di cui agli arti. 356,479 e 640 co. 2 c.p., con l’aggravante
di aver cagionato un danno patrimoniale di rilevante entità e di aver commesso i fatti con violazione
dei doveri inerenti la pubblica funzione esercitata : il tribunale ha rilevato l’assenza delle esigenze
cautelali ,per mancanza dei requisiti di attualità e concretezza, e ha considerato superflua la
delibazione attinente dell’altro presupposto della misura cautelare, costituito dai gravi indizi di
colpevolezza. Secondo il ricorrente, omettendo di argomentare sulle censure formulate dalla difesa
sulla sussistenza degli indizi ex art. 273 cpp, basati sulla relazione tecnica ritenuta dalla difesa
inutilizzabile, e impedendo ogni controllo sulla congruenza dell’apparato argomentativo sul
giudizio di probabile colpevolezza dell’indagato ,ha emesso un provvedimento irrimediabilmente
affetto dal vizio di mancanza di motivazione, meritevole di annullamento.
Quanto alla sussistenza dell’interesse attuale e concreto al ricorso, la pronuncia di annullamento
risulta necessaria —alla luce di consolidata giurisprudenza – in relazione all’azione di riparazione per
l’ingiusta detenzione.
Il ricorso è manifestamente infondato, in quanto si pone, senza alcuna consistente argomentazione,
con il consolidato orientamento giurisprudenziale(sez. 6 ,n. 9943 del 15.11.06, rv. 235887; id, n.
64222, del 26.11.07, rv 238719), in tema di interesse dell’indagato all’impugnazione, in sede
cautelare, pur se rimesso in libertà, in relazione all’accertamento della sussistenza delle condizioni
di applicabilità delle misure previste dagli arti. 273 e 280 c.p.p., in quanto tale accertamento può
costituire, in tesi, presupposto per il riconoscimento del diritto ad un’equa riparazione per la
custodia cautelare subita ingiustamente (Sez. un., 12 ottobre 1993, n. 20, Durante).
Coronario di tale principio è che l’interesse all’impugnazione di un provvedimento coercitivo dopo
la cessazione della misura cautelare non permane quando l’impugnazione è diretta ad ottenere una
decisione sulla sussistenza delle esigenze cautelari previste dall’art. 274 c.p.p., o sulla scelta tra le
diverse misure possibili ai sensi dell’art. 275 c.p.p., in quanto si tratta di cause di illegittimità
inidonee a fondare il diritto di cui all’art. 314 c.p.p., stante la tassatività della formulazione della
norma citata, che si riferisce esclusivamente alle condizioni di applicabilità delle misure di cui agli
artt. 273 e 280 c.p.p. (Sez. 6, 26 maggio 2004, n. 37894, Toniglia; Sez. 5, 9 dicembre 1993, n.
4091, Lazzarini).
Peraltro, anche quando viene contestata la sussistenza delle condizioni di applicabilità delle misure
cautelari è pur sempre necessaria la verifica dell’attualità e della concretezza dell’interesse, tenuto
conto che l’art. 568 c.p.p., comma 4 richiede, come condizione di ammissibilità di qualsiasi
impugnazione, la sussistenza di un interesse che abbia tali caratteri, sia diretto cioè a rimuovere un
effettivo pregiudizio che la parte asserisce di avere subito con il provvedimento impugnato,
interesse che deve persistere sino al momento della decisione. La regola contenuta nel citato art.
568 c.p.p. è, infatti, applicabile anche al regime delle impugnazioni contro i provvedimenti de
libertate, in forza del suo carattere generale, implicando che solo
interesse pratico, concreto ed

PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di € 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.
Roma, 18.1.2
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Roma, ti —–‘~~is:„

attuale del soggetto impugnante sia idoneo a legittimare la richiesta di riesame. Pertanto, come ha
ammesso la stessa sentenza Durante, un tale interesse “non può risolversi in una mera ed astratta
pretesa alla esattezza teorica del provvedimento impugnato”, priva cioè di incidenza pratica
sull’economia del procedimento. E’ stato più volte rilevato che un’applicazione pressoché
automatica dei principi posti dall’orientamento presenta il rischio di accogliere una nozione di
“interesse” troppo ampia, che finisce per presumere sempre e comunque che l’indagato agisca anche
al fine di precostituirsi il titolo in funzione di una futura richiesta di un’equa riparazione per
l’ingiusta detenzione ai sensi della disposizione contenuta nell’art. 314 c.p.p., comma 2, che tra
l’altro disciplina una fattispecie tendenzialmente eccezionale e residuale rispetto alle altre ipotesi
previste. Infatti, nei casi in cui il procedimento nel quale sia stata sofferta una custodia illegittima
termini con una condanna la riparazione è possibile solo se la durata della custodia abbia superato la
pena inflitta ovvero se la condanna sia stata condizionalmente sospesa; d’altra parte, qualora il
procedimento si concluda con un proscioglimento, la custodia illegittima è riparabile nei soli casi in
cui la formula di assoluzione sia diversa da quelle cui si riferisce l’art. 314 c.p.p., comma 1, cioè
quando si tratti di formule di proscioglimento meramente processuali, come le declaratorie di
estinzione del reato o di improcedibilità ovvero di errore di persona.
Peraltro, deve osservarsi che l’interesse concreto ed attuale manca tutte le volte in cui ricorre la
fattispecie di cui al citato art. 314 c.p.p., comma 4, che esclude che la riparazione sia dovuta qualora
le limitazioni conseguenti all’applicazione della custodia cautelare siano sofferte anche in forza di
altro titolo, come nel caso in cui la misura illegittima sia contemporanea all’esecuzione della pena o
di una misura di sicurezza detentiva ovvero ad altra misura cautelare custodiale.
È proprio la presunzione dell’esistenza di un interesse, scollegata da ogni manifestazione di volontà
in tal senso, ad essere il sintomo più eloquente della mancanza di un interesse attuale e concreto
all’impugnazione.
In difetto di una espressa indicazione che dimostri l’intenzione di una futura utilizzazione della
pronuncia, l’interesse in questione finisce per essere commisurato al probabile successo dell’azione
di riparazione e l’impugnazione diventa lo strumento per rimuovere un pregiudizio futuro, solo
teoricamente ed eventualmente collegato al provvedimento impugnato, laddove è pacifico che la
situazione pregiudizievole che l’impugnazione tende a rimuovere deve porsi in rapporto causale con
l’atto impugnato, del quale deve essere conseguenza immediata e diretta.
Ciò comporta perlomeno l’onere a carico del ricorrente di rappresentare l’esistenza di un simile
interesse, anche con riferimento alla mancanza delle cause ostative di cui all’art. 314 c.p.p., comma
4.
In conclusione, si ribadisce che in tali fattispecie il carattere dell’attualità e della concretezza
dell’interesse ad impugnare possa essere riconosciuto a condizione che la parte manifesti, in termini
positivi ed univoci, la sua intenzione a servirsi della pronuncia richiesta in vista dell’azione di
riparazione per l’ingiusta detenzione, intenzione che, naturalmente, nel giudizio in cassazione può
essere comunicata dal difensore direttamente in udienza ovvero attraverso memorie scritte.
Posto che ,nel caso in esame, non risultano rispettate queste condizioni dimostrative del carattere di
attualità e concretezza dell’interesse ad impugnare l’ordinanza suindicata, l’impugnazione va
dichiarata inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della
somma di C 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.

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