Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19326 del 21/07/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 19326 Anno 2017
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: MANCUSO LUIGI FABRIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PALUMBO VINCENZO N. IL 09/09/1977
avverso la sentenza n. 6/2015 CORTE MILITARE APPELLO di
ROMA, del 27/05/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/07/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUIGI FABRIZIO MANCUSO
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Data Udienza: 21/07/2016

p-Il Pubblico Ministero, in persona del dott. Luigi Maria Flamini, Sostituto
Procuratore generale militare della Repubblica presso questa Corte, ha concluso
chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 1 dicembre 2011, il Tribunale militare di Verona,
concesse le circostanze attenuanti generiche ritenute prevalenti sulle aggravanti
contestate, condannava Palumbo Vincenzo, caporale maggiore capo, alla pena
principale di mesi quattro e giorni venti di reclusione militare e alla rimozione dal
grado, con i benefici della sospensione condizionale e della non menzione,
avendolo ritenuto responsabile del reato commesso, in concorso con altri, nei
giorni 4, 6 e 8 novembre 2009, di violata consegna aggravata continuata.
Secondo l’impostazione accusatoria, recepita dal giudice, il Palumbo, effettivo
presso il distaccamento 1° Reggimento Trasporti in Bellinzago Novarese e
comandato per il servizio di guardia armata presso la Caserma Artale di
Alessandria quale comandante della guardia, in concorso materiale e morale con
la guardia armata Falasca Simone (separatamente giudicato in appello e quindi
prosciolto, ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen., con la formula
«perché il fatto non costituisce reato»), consentì reiteratamente l’ingresso nella
caserma di due ragazze con le quali entrambi i militari si intrattennero per alcune
ore all’interno della struttura militare, in violazione della consegna avuta che
vietava l’ingresso alle persone non autorizzate e che, in ogni caso, imponeva
l’identificazione e la registrazione di coloro che accedevano alla caserma. Con
l’aggravante del grado rivestito e, per il Palumbo, dell’essere preposto al servizio
e dell’aver commesso il reato in concorso con l’inferiore.
La sentenza veniva riformata, limitatamente alla determinazione della
pena, dalla Corte militare di appello, con sentenza del 9 aprile 2014.
Su ricorso dell’imputato, la sentenza di appello veniva annullata, per vizio
derivante da mancato accoglimento di istanza difensiva di rinvio per legittimo
impedimento, con sentenza di questa Corte n. 52960 pronunciata il 2 dicembre
2014, che disponeva nuovo giudizio.
A seguito di giudizio di rinvio, la Corte militare di appello, con sentenza
del 27 maggio 2015, in parziale riforma della sentenza di primo grado, riduceva
la pena principale a mesi tre di reclusione militare.
2. L’avv. Patrizia Bartaloni, in difesa del Palumbo, ha proposto nuovo
ricorso per cassazione datato 9 luglio 2015, affidato a cinque motivi. Si deduce
mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in punto di

,..

P.-

affermazione della responsabilità nonché violazioni di legge con riferimento: alla
contraddittorietà e non congruità della motivazione a fronte della Direttiva Difesa
n. 25344/2006; agli artt. 192 e 507 c.p.p., in relazione alla mancata assunzione
della testimonianza del colonnello Ionata, comandante del «Primo Reggimento
trasporti Bellinzago», sull’inidoneità fisica dell’imputato Palumbo Vincenzo; alle
procedure della Rassegna, ancora applicabili, di cui al R.D. n. 1133 del 1942
(E.I.); al R.D. n. 708 del 1927 (M.M.); alla Direttiva Difesa n. 25344/2006, in
tema di valutazione della idoneità al servizio militare. In relazione agli aspetti
indicati, si sostiene nel ricorso che la questione attinente all’inidoneità del
Palumbo al servizio operativo armato non sarebbe mai stata esaurientemente
esaminata, nonostante la tempestiva e rituale produzione del verbale della
Commissione medica ospedaliera del Dipartimento militare di medicina legale di
Milano (che non sarebbe stato trasmesso agli organi competenti e sarebbe stato
«letteralmente occultato») e nonostante la comprovata idoneità del Palumbo a
svolgere unicamente mansioni tecnico-amministrative. L’assegnazione del
Palumbo a diverso servizio, e in particolare al comando della guardia, avrebbe
comportato la diretta responsabilità di chi quella disposizione aveva impartito e
la correlata mancanza di responsabilità del Palumbo per difetto della volontarietà
nelle condotte contestategli. Il Palumbo non sarebbe stato idoneo a svolgere il
servizio armato, quindi non sarebbe potuta sussistere la sua piena
consapevolezza di violare le consegne impartitegli. Se fosse residuato qualche
dubbio, la legge avrebbe imposto una sentenza assolutoria.
2.1. In particolare, con il primo motivo del ricorso ora in esame si deduce
violazione dell’articolo 606, comma 1 lett. b) e lett. c), cod. proc. pen., per
inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli
articoli 192, 533 e 530 cod. proc. pen.
2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione dell’articolo 606, comma
1 lett. e), cod. proc. pen., per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità
della motivazione colpevolizzante, risultando il vizio dal testo del provvedimento
impugnato ovvero da altri atti del processo specificatamente indicati nei motivi di
gravame (artt. 192, 533 e 530 cod. proc. pen.).
2.3. Con il terzo motivo si deduce assoluta contraddittorietà e incongruità
della motivazione a fronte della direttiva Difesan 25344/2006.
2.4. Con il quarto motivo si deduce violazione dell’articolo 606, comma 1
lett. b), lett. d), lett. e), cod. proc. pen., in riferimento all’articolo 192 nonché
all’art. 507 cod. proc. pen., per la mancata ammissione, audizione, acquisizione
in atti della testimonianza del colonnello Ionata, comandante del «Primo
Reggimento Trasporti Bellinzago», teste che avrebbe potuto riferire e chiarire

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sicuramente ed ampiamente in merito allo stato di idoneità del Palumbo. La
menzionata testimonianza è assorbente e decisiva, al fine precipuo di approdare
ad una giusta statuizione evitando di interpretare in modo soggettivo il concetto
di inidoneità del Palumbo.
2.5. Con il quinto motivo si deduce violazione dell’articolo 606, comma 1
lett. b), cod. proc. pen., per inosservanza ed erronea applicazione della legge
penale e di altre norme giuridiche di cui si deve tenere conto nell’applicazione

3. Con istanza pervenuta il 20 luglio 2016, l’avv. Patrizia Bartaloni ha
chiesto il differimento dell’odierna udienza per contemporaneo impegno
professionale, deducendo che alle ore 9.30 di oggi avrebbe dovuto assistere e
difendere una persona offesa, durante un’audizione dibattimentale in un
processo pendente presso il Tribunale di Novara. Questo Collegio, su conforme
parere del Procuratore generale, avendo appreso tramite la cancelleria del citato
Tribunale che la predetta persona offesa non è costituita parte civile nel
menzionato processo, ha rigettato l’istanza difensiva di rinvio, dovendosi
considerare prevalente, rispetto all’altro in comparazione, l’impegno di difesa
dell’imputato in questa sede.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La sentenza della Corte militare di appello, ora impugnata, ha ricordato
nella pagina 10 che, a fronte della richiesta difensiva formulata in primo grado,
di escussione come teste del colonnello Michele Ionata, ex art. 507 cod. proc.
pen., perché riferisse sulla ridotta idoneità del Palumbo all’epoca dei fatti, il
Tribunale non ravvisò i presupposti per l’applicazione della norma, ritenendo le
condizioni fisiche dell’imputato al momento dei fatti già esaurientemente
documentate in atti. La Corte militare di appello, poi, ha spiegato, nelle pagine
17 e 18 della sentenza ora impugnata, che, circa la richiesta di rinnovazione
dell’istruzione dibattimentale, formulata dall’appellante ai sensi dell’art. 603 cod.
proc. pen. e riguardante ancora l’escussione del colonnello Michele Ionata
(sempre in ordine alla circostanza della idoneità del Palumbo a svolgere
regolarmente il servizio armato al quale era stato comandato nel periodo dal 3 al
10 novembre 2009 e ad osservare le relative consegne impartitegli) doveva
condividersi e confermarsi la valutazione di superfluità già espressa dal
Tribunale, poiché la circostanza sulla quale il colonnello Michele Ionata avrebbe
dovuto essere chiamato a deporre era stata esaurientemente esplorata dal
materiale documentale già acquisito in primo grado e ulteriormente approfondita

della legge penale.

dalla documentazione prodotta dalla difesa all’udienza del giudizio di rinvio ed
ammessa dalla Corte militare di appello su parere favorevole del Pubblico
ministero. La documentazione evidenziava, secondo la sentenza ora impugnata
(recante a pagina 18 il riporto di brani di documenti inerenti allo stato di salute
del Palumbo) le procedure per gli accertamenti sanitari svolti al fine di verificare
l’idoneità al servizio del Palumbo e forniva su tale argomento un quadro
completo al quale nulla avrebbe potuto aggiungere l’invocata escussione del
colonnello Ionata.

specifico, con osservazioni contenute soprattutto nelle pagine 27, 28 e 29, anche
il tema della idoneità del Palumbo al servizio, spiegando che dal giudizio medicolegale del 17 giugno 2009 emergeva espressamente solo la temporanea
inidoneità dell’imputato all’impiego in missione fuori area e la sua idoneità alle
mansioni tecnico-amministrative, nell’ambito delle quali rientrava, ad avviso di
detta Corte, e sulla base della tipologia delle prescrizioni caratterizzanti, anche il
compito di comandante della guardia armata, affidate all’imputato nel novembre
2009. La sentenza in esame ha affermato che non poteva ritenersi preclusa al
Palumbo la possibilità di svolgere servizi che prevedessero la dotazione di armi e
si è riferita ad un determinato documento prodotto dalla difesa, costituito dalla
«Direttiva tecnica sui criteri e le procedure da adottare nella formulazione di
decisioni sanitarie e giudizi medico-legali in tema di assenza dal servizio per
malattia a di valutazione della idoneità al servizio militare per il personale della
Forza Armata». La sentenza, riferendosi al contenuto di tale direttiva, di cui ha
riportato qualche brano, ha notato che, se un militare sia stato valutato
temporaneamente inidoneo al solo impiego in missioni fuori area e
contemporaneamente idoneo al servizio per mansioni tecnico-amministrative,
nell’ambito di queste ultime non gli siano precluse attività di tipo operativo,
anche comportanti l’utilizzo di armi, attività per le quali non sia intervenuto alcun
espresso divieto né alcun giudizio di inidoneità. La sentenza ha spiegato peraltro
che, al fine della possibilità di ravvisare l’elemento psicologico del dolo, anche
qualora si fosse ritenuto di voler accedere alla tesi sostenuta dall’appellante, il
fatto che costui aveva intrapreso e svolto un servizio assegnatogli dai superiori
non sarebbe valso ad esonerarlo dalla osservanza delle relative prescrizioni,
costituenti consegna, poste a disciplina del servizio. Inoltre, la sentenza ha
precisato che l’invocata inidoneità all’utilizzo di armi non presentava alcun profilo
di incidenza concreta né di attinenza astratta con la specifica natura della
consegne la cui violazione era stata contestata.

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La sentenza ora impugnata ha affrontato inoltre nel merito, in modo

2. Alla luce del contenuto della sentenza della Corte militare di appello qui
in esame, deve notarsi che i giudici del merito hanno attentamente analizzato le
risultanze disponibili e sono pervenuti, senza incorrere in alcun errore di diritto,
all’affermazione della responsabilità del Palumbo in ordine al reato continuato
contestatogli. Lo sviluppo argomentativo della motivazione posta a sostegno
della sentenza impugnata supera il vaglio di legittimità demandato a questa
Corte, il cui sindacato deve arrestarsi alla verifica del rispetto delle regole della
logica e della conformità ai canoni legali che presiedono all’apprezzamento delle

ragioni che hanno determinato la decisione e sono enunciati compiutamente gli
argomenti che hanno condotto al superamento della tesi difensiva circa la
pretesa inidoneità del Palumbo al sevizio cui era destinato, né emerge alcuna
necessità di attività istruttoria integrativa.
In concreto, nel ricorso si contesta «nel merito», quindi incorrendo nel
vizio di inammissibilità, il giudizio sul quadro probatorio a carico, fondato
correttamente sugli elementi disponibili ed evidenziati nella sentenza in esame.

3. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Ai sensi
dell’art. 616 cod. proc. pen., il ricorrente deve essere condannato al pagamento
delle spese processuali e al pagamento della somma di euro 1.500,00 alla Cassa
delle ammende.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.500,00 alla cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma il 21 luglio 2016.

circostanze fattuali. Nella sentenza ora impugnata sono chiaramente spiegate le

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