Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19323 del 13/07/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 19323 Anno 2017
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO

Data Udienza: 13/07/2016

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PICCOLO GIOVANNI N. IL 02/01/1967
avverso la sentenza n. 94/2015 CORTE MILITARE APPELLO di
ROMA, del 14/10/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/07/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA SILVIO BONITO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per Q

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1. Il GUP del Tribunale Militare di Napoli, con sentenza
pronunciata il 25 marzo 2015 all’esito di giudizio abbreviato,
assolveva Piccolo Giovanni dall’accusa di avere comunicato
all’ufficio amministrativo, quale m.11o capo dei CC., comandante
della stazione di Palizzi Marina, di aver effettuato, nel periodo
gennaio 2008 — dicembre 2009, lavoro straordinario in realtà mai
svolto e di aver eseguito servizi mai eseguiti, in tal modo
percependo corrispettivi per quanto segnalato, con ingiusto profitto
in danno dell’amministrazione per euro 7.731,51; con l’aggravante
del grado rivestito.
Motivava il giudice di primo grado l’assoluzione argomentando: la
somma che si assume percepita secondo i termini proposti
dall’accusa è stata dedotta dall’esame dei dati contenuti nel
memoriale della stazione, allora diretta dell’imputato, e nel
memoriale di servizio di “esclusiva pertinenza del Comandate”; tali
contenuti, per come sono stati comunicati alla sezione
amministrativa della Compagnia, risultano in parte favorevoli ed in
parte sfavorevoli all’imputato; gli stessi risultati delle indagini
dimostrano infatti che l’imputato sarebbe creditore di ingenti
somme per servizi resi, risultanti dai memoriali, e non liquidati
perché non inseriti nel c.d. SUP/2; il Piccolo, inoltre, non formulava
personalmente le tabelle riepilogative dei vari servizi svolti dai
militari in forza alla stazione, compito infatti dal Comandante
demandato a vari sottoposti; l’imputato si limitava infatti
semplicemente a sottoscriverle; di più, i servizi in parola fanno
riferimento ad una congerie di tipologie retributive oggettivamente
assai complesse; tanto, altresì, per convenire sulla circostanza che la
condotta truffaldina non risulta commessa attraverso l’alterazione di
documenti, posto che proprio il loro esame ha portato
all’accertamento delle condotte dell’imputato; di qui il dubbio sulla
volontà truffaldina del prevenuto, il quale ha depositato anche CT
di parte, dalla quale emerge che, a fronte di servizi comunicati al
SUP/2 non risultanti dai memoriali di servizio per euro 7.731,51, il
piccolo ha eseguito prestazioni remunerabili pari ad euro 14.116,45,

RITENUTO IN FATTO

risultanti nei memoriali detti e non indicati col SUP/2; questi dati
non sono contestati dall’accusa e da essi si desume che l’imputato,
lungi dal lucrare indebiti compensi, ha reso vantaggio alla P.A.. Di
qui, ad avviso del giudice di prime cure, l’insussistenza del fatto.

2. La sentenza del GUP veniva impugnata dal rappresentante della
pubblica accusa e la Corte militare di appello, in data 14 ottobre
2015, in riforma di quella impugnata, dichiarava prescritto il reato
in relazione alle condotte consumate tra gennaio e marzo 2008,
dichiarava l’imputato colpevole per il residuo periodo, riconosceva
il vincolo della continuazione tra le condotte venute a giudizio e
quelle, analoghe, in precedenza giudicate per il periodo 2010-2011,
con sentenza di condanna del Piccolo del 15 aprile 2014, n.
57/2014, e lo condannava, infine, riconosciuto più grave il reato
precedentemente giudicato, alla pena di giorni dieci di reclusione
militare con la conferma dei benefici già concessi.
Motivava la corte di secondo grado, dopo aver dato conto delle
ragioni dell’appello e di quelle illustrate dalla difesa a confutazione
di esse: è dato incontroverso che l’imputato ha comunicato
all’ufficio amministrativo competente di aver diritto alla
liquidazione di indennità stipendiali accessorie per servizi in realtà
non svolti e questo per il periodo gennaio 2009 — dicembre 2010;
l’imputato ha ottenuto tale risultato inducendo in errore
l’amministrazione militare, con ciò lucrando un profitto di euro
7.731,51, costituente ingiusto profitto giacchè somma questa non
dovuta; il Piccolo ha già subito una condanna per le medesime
condotte consumate negli anni 2010-2011, peraltro con sentenza
che ha riformato quella assolutoria di primo grado, sentenza del
tutto analoga a quella per cui è causa; dal relativo giudicato si
desume l’infondatezza della tesi difensiva secondo cui il Piccolo
non provvedeva direttamente alla predisposizione delle tabelle
riepilogative, avendo delegato l’incombenza ad altri e limitandosi
alla loro sottoscrizione; nella sentenza citata sono riportate le
dichiarazioni del m.11o Sanzo, il quale ha smentito le giustificazioni
dette ed ha attribuito al Comandante, al Piccolo cioè, l’attività
concreta di contabilizzazione dei dati senza possibilità di sindacato
esterno; del pari non condivisibile è il giudizio espresso dal GUP in
ordine alla complessità di catalogazione delle diverse tipologie di
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indennità, tenuto conto, altresì, che l’incarico del prevenuto non
comportava alcuna particolare attività interpretativa, ma di mero
controllo sull’esattezza dei dati; pur considerando che gli artifici ed
i raggiri non sono consistiti nell’alterazione documentale, ciò non
esclude la ricorrenza dell’elemento psicologico del reato; molto ha
valorizzato il giudice di primo grado la circostanza che dai
memoriali di servizio risulterebbe lavoro straordinario
contabilizzato dalla CTP per un importo ben superiore a quello
indebitamente percepito, di guisa che nella vicenda avrebbe
guadagnato la P.A.; l’imputato e la sua difesa si appellano pertanto
ad una forma indebita di compensazione giacché considerate voci
eterogenee, calcolate in modi indipendenti le une dalle altre; di più,
le prestazioni orarie aggiuntive, come quelle relative al lavoro
straordinario, vengono fissate nella loro dimensione temporale
massima in base a criteri discrezionali della P.A. in misura
proporzionale alla retribuzione mensile; superare tale limite di ore
fa venir meno la esigibilità del relativo credito; ebbene, l’imputato
non ha provato affatto che tale monte orario non sia stato superato e
che tutto il lavoro straordinario era esigibile; di qui la esclusione
che sia stato provato la mancanza del danno arrecato
all’amministrazione; la enorme differenza tra dati riportati e dati
effettivi, in uno con la sistematicità della condotta, rende
inverosimile l’ipotesi della distrazione, per un verso, e la non
riconoscibilità delle differenz2 dette anche se commesse dal
delegato del Piccolo.
3. Ricorre per cassazione avverso la condanna deliberata in grado di
appello l’imputato, assistito dal difensore di fiducia, il quale nel suo
interesse ne denuncia la illegittimità sviluppando tre motivi di
impugnazione
3.1 Denuncia col primo di essi la difesa ricorrente violazione degli
artt. 533 co. 1, 192 c.p.p. nonché vizio della motivazione in
relazione alla insufficienza della sentenza di condanna riformatrice
di quella assolutoria di prime cure, in particolare osservando:
integra principio di diritto consolidato che la motivazione a
sostegno della condanna, in costanza di pronuncia assolutoria di
primo grado, non può limitarsi ad una lettura alternativa delle
acquisizioni processuali, ma deve essere rafforzata, nel senso che
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deve evidenziare una forza persuasiva superiore rispetto a quella di
primo grado.

3.2 Denuncia col secondo motivo di impugnazione la difesa
ricorrente violazione dell’art. 640 c.p. (così il ricorso) e vizio della
motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del requisito del
danno patrimoniale nel reato contestato, in particolare osservando:
il primo giudice aveva escluso la ricorrenza, nella fattispecie, di un
danno patrimoniale di natura erariale alla luce della CTP, la quale
ha dimostrato che, a fronte di euro 14.116,45 per spettanze dovute
ma non liquidate, il Piccolo ha ricevuto euro 7.731,51 per spettanze
viceversa non dovute; di qui un credito in suo favore di euro
6.384,94; quindi riportando nei modelli SUP/2 dati errati,
l’imputato ha indotto l’amministrazione a non versagli quest’ultima
somma, somma di cui sarebbe stato creditore se correttamente
compilati i modelli detti; a ciò la sentenza oppone i limiti temporali
dello straordinario esigibile e l’illogico ragionamento secondo cui,
quando l’imputato denuncia di più, arreca un danno, quando invece
denuncia di meno non determina alcun credito esigibile; di qui la
deduzione illogica che l’imputato non avrebbe dimostrato l’assenza
di danno; opportuna sarebbe stata allora la disposizione di una
perizia di ufficio
3.3 Col terzo motivo di ricorso denuncia quindi la difesa ricorrente
violazione dell’art. 640 c.p. e vizio della motivazione in relazione
alla ritenuta sussistenza dell’elemento psicologico del reato, in
particolare osservando: al riguardo la sentenza di appello valorizza
la considerazione che l’enorme differenza rilevabile
documentalmente tra dati reali e dati effettivi, nonché la
sistematicità della condotta escluderebbero ogni ipotesi di
disattenzione; in realtà la corte territoriale deduce l’elemento
soggettivo del reato amputando una parte della condotta consumata
dal prevenuto e cioè considerando i dati favorevoli all’accusa e
dimenticando quelli favorevoli alla difesa; la vicenda va vista nella
sua interezza e cioè nella indicazione di dati non veri favorevoli
all’imputato e nella contemporanea mancata indicazione di dati
invece favorevoli.

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Quanto invece all’elemento soggettivo del reato osserva ancora la
difesa ricorrente con i motivi aggiunti: per la configurabilità del
reato contestato sono richiesti dalla nonna incriminatrice la
consapevolezza della sua azione e del carattere fraudolento del
mezzo usato, l’inganno della vittima come conseguenza di tale
azione, la disposizione patrimoniale conseguente all’inganno, il
profitto dell’imputato e la sua ingiustizia; tanto per articolare
qualche considerazione sul dolo e su quello eventuale in particolare
alla luce anche del disposto dell’art. 49, co. 2 c.p., orbene,
esprimere dati non veritieri a soggetto per così dire “non attrezzato”
esprime possibilità dolose maggiori rispetto a chi fornisce dati non
veritieri a soggetto, come nella fattispecie, capace di rilevarli; la
sentenza sotto tale profilo non valorizza adeguatamente gli artifici
ed i raggiri richiesti dalla norma; sul dolo la sentenza non è affatto
esaustiva, tento conto che la documentazione non è stata mai
alterata; la difesa ebbe a depositare a beneficio della corte
territoriale una articolata memoria difensiva (allegata); di essa la
corte detta non ha fatto neppure menzione e ciò di per sé integra
vizio della motivazione rilevante atteso che è in discussione la
riforma in peius della sentenza assolutoria; la sentenza impugnata
valorizza la testimonianza accusatoria del m.110 Sanza, nonostante lo
stesso abbia ammesso di aver egli stesso trascritto “indennità e lo
straordinario del Sup/2”, dichiarazioni autoindizianti eppertanto non

3.4 La difesa ha altresì depositato il 28 giugno 2016 motivi aggiunti
integrativi di quelli già sviluppati col ricorso principale, in
particolare osservando, quanto all’elemento oggettivo, la necessità
di considerare la condotta nella sua unitarietà, come appena detto, e
cioè nella formazione di SUP/2 contenenti dati errati in eccesso e
per difetto, gli uni favorevoli all’imputato, gli altri viceversa
sfavorevoli, con un risultato finale anch’esso sfavorevole
all’imputato per euro 6384,94; ad essere danneggiata non è stata
pertanto l’amministrazione, ma l’imputato, di guisa che difetta della
fattispecie contestata l’ingiusto profitto e l’altrui danno; la corte di
merito, a fronte della ragioni difensive e della CTP, avrebbe dovuto
procedere ad una perizia di ufficio; ai sensi dell’art. 185 c.p. il reato
obbliga alle restituzioni a norma delle leggi civili; nel caso in esame
quale importo dovrebbe restituire l’imputato all’erario?.

utilizzabili; le dichiarazioni non sono comunque attendibili né
credibili perché rese da soggetto in posizione di potenziale
“copertura ex art. 384 c.p.; in ogni caso il Sanzo va valutato nella
posizione processuale di chiamante in correità e le sue dichiarazioni
sono pertanto inutilizzabili.

RITENUTO IN DIRITTO

Il ricorso è fondato nei limiti che si passa ad esporre ed a chiarire.

1. In primo luogo, considerati i tempi delle condotte contestate, “tra
gennaio 2008 e dicembre 2009”, va dichiarata la estinzione del
reato in relazione a quelle commesse dal 1.4.2008 (per quelle
precedenti ha provveduto nel medesimo senso il giudice di appello)
al 13.1.2009. Il delitto infatti del quale l’imputato è stato chiamato a
rispondere, quello di cui all’art. 234 c.p.m.p., si prescrive, ai sensi
degli art. 157 co. 1 e 162 co. 2 c.p., nel tempo massimo di senni e
sei mesi, di guisa che, andando a ritroso rispetto all’udienza di
legittimità odierna, si ottiene la data finale del 13 gennaio 2009
In costanza poi di una sentenza di condanna pronunciata dal giudice
di appello, quella impugnata, non ricorrono le condizioni per una
pronuncia assolutoria nel merito. Insegna infatti la corte di
legittimità che, in presenza di una causa di estinzione del reato
(quale quella data dalla prescrizione), non sono rilevabili in sede di
legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata perché
l’inevitabile rinvio della causa all’esame del giudice di merito dopo
la pronuncia di annullamento è incompatibile con l’obbligo
dell’immediata declaratoria di proscioglimento stabilito dall’art. 129
cod. proc. pen., salvo che nella sentenza impugnata si dia atto della
sussistenza dei presupposti per la pronunzia di assoluzione, sia pure
ai sensi del secondo comma dell’art. 530 cod. proc. pen., atteso che,
nel vigente sistema processuale, la assoluzione per insufficienza o
contraddittorietà della prova è del tutto equiparata alla mancanza di
prove e costituisce pertanto pronunzia più favorevole rispetto a
quella di estinzione del reato (cfr. Cass., Sez. 4, n. 40799 del
18/09/2008, Rv. 241474).
In parte qua, pertanto, la pronunciata sentenza va cassata senza

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2. In ordine alle residue condotte di reato osserva la corte che il
giudice di appello il quale, sulla base di un diverso apprezzamento
degli apporti dichiarativi assunti in sede di indagine, intenda
riformare l’assoluzione pronunciata in primo grado, deve fornire
una motivazione “rafforzata” dotata di una forza persuasiva
superiore a quella della sentenza di prime cure (così, da ultimo, Sez.
1, n. 16029 del 27/01/2016, Mautone, Rv. 266622).

Ciò premesso, ritiene il Collegio che la motivazione di secondo
grado abbia radicalmente riformato il giudizio assolutorio di prime
cure con argomentazioni di merito contenenti valutazioni
meramente alternative delle acquisizioni processuali e per nulla
maggiormente persuasive di quelle del GUP, ma spesso illogiche e
contraddittorie rispetto a quelle acquisizioni.
In sintesi: il GUP ha assolto l’imputato ritenendo non raggiunta a
suo carico la prova sull’elemento soggettivo del reato al di là di
ogni ragionevole dubbio e questo valorizzando: i dati contabili
trasmessi all’amministrazione e la circostanza, ritenuta certa e non
dubbia, che essi erano non solo sfavorevoli al Piccolo ma anche
favorevoli, nel senso che, per un verso, riportavano prestazioni non
eseguite e, per altro verso, non si riportavano prestazioni viceversa
eseguite, con un saldo, si ribadisce, certo, sfavorevole all’imputato;
la circostanza che l’imputato era quindi creditore e non debitore nei
confronti della P.A.; il dato che i documenti dai quali è stata dedotta
la truffa venivano formati da delegati e solo sottoscritti
dall’imputato; la considerazione che le tipologie di servizi da
inserire nel memoriale e nella comunicazione all’amministrazione
erano vari e complessi quanto alla precisazione dei relativi
compensi. Il giudice di primo grado ha altresì valorizzato e preso in
considerazione, ai fini della decisione, la CTP, ampiamente
comprovante delle prestazioni di servizio eseguite e non retribuite,
le cui conclusioni non risultano affatto contestate dalla corte
territoriale.
Orbene, la sentenza di appello contrappone alla motivazione
assolutoria ed ai profili appena in sintesi menzionati che: A. c’è
stata una precedente condanna del ricorrente per fatti identici; B. il
teste Sanzo ha smentito le modalità di formazione dei documenti

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amministrativi indicate dall’imputato nel senso che essi non era
affatto redatti da un delegato ma direttamente dal comandante; C. le
operazioni di contabilizzazione delle prestazioni non erano affatto
complesse; D. la compensazione opposta dall’imputato tra quanto
percepito indebitamente e quanto non percepito per i servizi
effettivamente prestati è indebita, giacché lo straordinario esigibile
ha un monte ore che l’imputato non ha dimostrato di aver rispettato;
E. non è provata la mancanza del danno sostenuta dalla difesa.
A ciò è stato difensivamente opposto ovvero è rilevabile dal
semplice confronto delle motivazioni di merito: quanto al punto sub
A. che la corte territoriale ha ignorato, sul punto, l’eccezione
difensiva secondo cui la richiamata sentenza non ha riguardato
affatto la specificità, rilevabile nei fatti accertati nel presente
giudizio, di una concorrenza tra servizi non prestati, e ciononostante
retribuiti, e servizi prestati ma non retribuiti, ma soltanto servizi non
prestati e cionondimento retribuiti; quanto al punto sub B. che le
dichiarazioni rese dal teste Sanzo in altro processo a carico dello
stesso ricorrente sono state utilizzate soltanto dal giudice di appello
e non risultavano acquisite agli atti del giudizio abbreviato
celebrato in primo grado, di guisa che si appalesa, nella fattispecie,
una chiara violazione dei diritti difensivi sulla formazione della
prova e dei principi ormai costantemente affermati dal giudice di
legittimità in relazione all’art. 6 CEDU, come interpretato dalla
nota sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo 5.7.2011, in
Dan c/ Moldavia; quanto al punto sub C), sia appalesa evidente la
genericità della conclusione fatta propria dal giudice di secondo
grado a fronte di quanto argomentato in prime cure col riferimento
alle distinzioni tra orario diurno, notturno e festivo, lavoro
straordinario e complementare, con tariffa oraria diversa per
ciascuna tipologia; quanto, infine, al punto sub D), la
compensazione è stata opposta ai fini non già di sostenerne la
legittimità civilistica, ma ai fini di dimostrare la mancanza di
volontà truffaldina; era l’accusa a dover dimostrare il superamento
del monte ore e, quindi, la inesigibilità delle ore di straordinario;
inoltre, se rilevante questo dato, occorreva una perizia, che la difesa
ha invano domandato.

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P. T. M.
la Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente
ai delitti commessi dal 1.4.2008 fino al 13.1.2009 essendo i reati
estinti per prescrizione. Annulla altresì la sentenza impugnata in
ordine ai residui delitti e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione
della Corte militare di appello.
Così deciso in Roma, addì 13 luglio 2016

Non può pertanto, in conclusione, non rilevarsi che la motivazione
di condanna non abbia rispettato i requisiti richiesti
dall’insegnamento di legittimità quando con essa si provveda alla
riforma della pronuncia assolutoria di primo grado, giacché, per un
verso, niente affatto più persuasiva di quella riformata e, per altro
verso, addirittura omissiva di dati difensivi certamente rilevanti per
la decisione (il richiamo a precedente sentenza di condanna in
fattispecie di fatto diversa) ovvero utilizzati in violazione dei diritti
difensivi (le dichiarazioni del teste Sanzo riprese da altro processo a
carico del ricorrente). Di qui l’annullamento della sentenza
impugnata nei limiti innanzi precisati (per le condotte di reato non
dichiarate prescritte), con rinvio al giudice territoriale per nuovo
giudizio coerente con i principi innanzi richiamati.

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