Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19307 del 03/04/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 19307 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: SERRAO EUGENIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SORBELLO ANTONINO N. IL 09/05/1983
avverso l’ordinanza n. 1926/2013 TRIB. LIBERTA’ di CATANIA, del
27/01/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EUGENIA SERRAO;
InErsentite le conclusioni del PG Dott.

Dott. Giulio Romano, che ha concluso per il rigetto;

Caiilli retis-oT7
. tVN-77,1

Data Udienza: 03/04/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Il 27/01/2014 il Tribunale di Catania ha rigettato l’appello proposto da
Sorbello Antonino ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen. avverso l’ordinanza
emessa dal Giudice per le indagini preliminari presso il medesimo Tribunale in
data 31/10/2013, con la quale era stata rigettata la richiesta di sostituzione della
misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari. La
misura cautelare era stata applicata con ordinanza del 25/07/2013 in relazione ai

caducata con riferimento al solo delitto di cui all’art. 74 d.P.R. 309/90 con
ordinanza del Tribunale del riesame del 9/08/2013 per carenza di gravità
indiziaria.

2.

Secondo quanto si evince dal provvedimento impugnato, Antonino

Sorbello aveva censurato la motivazione del provvedimento emesso dal primo
giudice per non avere tenuto conto degli elementi addotti dalla difesa, in
particolare: la caducazione del titolo cautelare in relazione al reato associativo; il
trattamento cautelare riservato agli altri coindagati; i dati del decorso del tempo
dalla commissione dei fatti e dall’applicazione della misura; il mutamento di stile
di vita dell’indagato, successivamente alla prima scarcerazione del predetto a
seguito dell’annullamento da parte della Suprema Corte del provvedimento di
carcerazione originario, anche in considerazione della recente nascita di un figlio.
2.1. Il Tribunale, richiamando il provvedimento del primo giudice quanto ai
criteri fondanti il giudizio di inadeguatezza della misura degli arresti domiciliari,
ha evidenziato che, dal tenore delle captazioni dei colloqui in carcere intercorsi
tra l’indagato e la convivente, fosse emersa una capacità criminale di sicuro
spessore, potendosi evincere come il Sorbello riuscisse a mantenere, benché
detenuto, per il tramite della convivente, il controllo sulla gestione del traffico di
stupefacenti, non mancando di impartire direttive in ordine all’adozione di
precauzioni nelle comunicazioni e, in concreto, in merito alle riscossioni da
operare. Il Tribunale, ritenendo allarmante la reazione dell’indagato alla notizia
dell’aggressione perpetrata ai danni di tale Bruno da parte di un’altra squadra di
spacciatori (in particolare il Sorbello aveva ordinato alla convivente di contattare
un tale Marcello affinché provvedesse a rintuzzare gli avversari in attesa di una
più veemente reazione che egli stesso personalmente avrebbe posto in essere
non appena scarcerato), ha ritenuto che gli elementi sintomatici dell’elevata
capacità criminale e della pericolosità dell’indagato non potessero essere
neutralizzati dagli elementi addotti dalla difesa, escludendo che il decorso del
tempo potesse avere rilievo in sede di giudizio ex art. 299 cod. proc. pen. e
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delitti di cui agli artt.73 e 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309 e, successivamente,

ritenendo, in ogni caso, tale elemento non accompagnato da ulteriori elementi
sintomatici di un’attenuazione delle esigenze cautelari. Nel provvedimento qui
impugnato si è ritenuto che la nascita del figlio dell’indagato avesse carattere
recessivo rispetto a quanto evidenziato in merito alla capacità criminale del
medesimo, escludendo che il rischio di recidivanza potesse essere salvaguardato
con misura meno afflittiva di quella intramuraria.

3. Ricorre per cassazione Antonino Sorbello, con atto sottoscritto dal

nell’ordinanza impugnata, pur riconoscendosi che erano trascorsi più di due anni
e mezzo dalla commissione del fatto-reato e che dopo la scarcerazione
nell’ottobre 2001 (rectius 2011) il contegno del Sorbello, anche a seguito della
nascita del figlio, fosse cambiato, il Tribunale ha ritenuto che tali elementi
presentassero carattere recessivo rispetto alla capacità criminale del prevenuto.
La condotta ritenuta allarmante, ossia il fatto che l’indagato avrebbe mandato a
dire a qualcuno, tramite la convivente, che appena uscito gli avrebbe sparato,
avrebbe avuto cittadinanza giuridica in un giudizio prognostico di pericolosità se
tale giudizio fosse stato formulato quando ancora il Sorbello non avesse avuto la
concreta possibilità di attuare i propositi manifestati nelle intercettazioni, mentre
il Tribunale avrebbe omesso di considerare che nell’ottobre 2001 (rectius 2011) il
Sorbello era stato rimesso in libertà ed erano trascorsi quasi due anni senza che
avesse attuato alcuno dei propositi apparentemente coltivati. Vi sarebbe la
prova, si assume, che la capacità criminale del Sorbello, come deducibile
prognosticamente dal contenuto delle intercettazioni, si è dimostrata, alla luce
dei suoi comportamenti successivi, di fatto inesistente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile sia perché propone censure in fatto sia in
quanto manifestamente infondato.

2. E’ anzitutto necessario chiarire, sia pur in sintesi, i limiti di sindacabilità
da parte di questa Corte dei provvedimenti adottati dal giudice dell’appello in
materia di libertà personale.
2.1. Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide e
reputa attuale anche all’esito delle modifiche normative che hanno interessato
l’art.606 cod.proc.pen. (cui l’art. 311 cod. proc.pen. implicitamente rinvia), in
tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per
cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale, nel
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difensore, deducendo contraddittorietà della motivazione. Secondo il ricorrente,

caso in esame in merito alla dedotta attenuazione delle esigenze cautelari, alla
Corte Suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura
del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito
abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto al rigetto della
domanda di revoca o di sostituzione della misura cautelare, controllando la
congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi acquisiti
nel corso delle attività d’indagine rispetto ai canoni della logica e ai principi di
diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie.

impugnazione, sia pure atipico, ha la specifica funzione di sottoporre a controllo
la validità dell’ordinanza cautelare con riguardo ai requisiti formali indicati
nell’art. 292 cod. proc.pen. ed ai presupposti ai quali è subordinata la legittimità
del provvedimento coercitivo: ciò premesso, si è evidenziato che la motivazione
della decisione del Tribunale del riesame, dal punto di vista strutturale, deve
essere conformata al modello delineato dal citato articolo, ispirato al modulo di
cui all’art. 546 cod.proc.pen., con gli adattamenti resi necessari dal particolare
contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove ma su indizi, e
tendente all’accertamento non della responsabilità, bensì di una qualificata
probabilità di colpevolezza (Sez.U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828;
conforme, dopo la novella dell’art. 606 cod.proc.pen., Sez. 4, n.22500 del
3/05/2007, Terranova, Rv. 237012).
2.3. Si è, più recentemente, osservato, sempre in tema di impugnazione
delle misure cautelari personali, che il ricorso per cassazione è ammissibile
soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la
manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della
logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che
riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione
delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 5, n. 46124 del
8/10/2008, Pagliaro, Rv. 241997; Sez.6, n. 11194 del 8/03/2012, Lupo, Rv.
252178).
2.4. Il controllo di legittimità non può, infatti, riguardare la ricostruzione dei
fatti e sono inammissibili le censure come quelle qui proposte che, pur
formalmente investendo la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una
diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito, dovendosi
in sede di legittimità accertare unicamente se gli elementi di fatto siano
corrispondenti alla previsione della norma incriminatrice.

3. Il ricorso proposto da Antonino Sorbello contiene, in ogni caso, asserzioni
che si pongono in palese contrasto con il testo del provvedimento impugnato.
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2.2. Si è anche precisato che la richiesta di riesame, mezzo di

Non corrisponde al vero che il Tribunale abbia affermato che, dopo la
scarcerazione dell’ottobre 2011, il contegno dell’indagato sarebbe cambiato; il
giudizio di pericolosità dell’indagato, desunto dalla disponibilità di un’arma, non
presenta vizi di logicità laddove è stato posto in relazione (pag.4) al contenuto
delle telefonate intercettate, considerato che il proposito criminoso in esse
manifestato costituisce argomento logicamente coerente, ancorchè non attuato,
con il giudizio circa la capacità a delinquere dell’indagato.
3.1. L’ordinanza impugnata ha, peraltro, basato il proprio giudizio su

giurisprudenza di legittimità, secondo i quali, in materia di misure cautelari
personali, con particolare riguardo all’applicazione con modalità meno gravose
per l’interessato o alla sostituzione di una misura con altra meno grave,
l’attenuazione delle esigenze cautelari non può essere desunta dal solo decorso
del tempo di esecuzione della misura o dall’osservanza puntuale delle relative
prescrizioni, tantomeno dalla valutazione delle esigenze cautelari operata con
riferimento a coindagati, dovendosi valutare ulteriori elementi di sicura valenza
sintomatica in ordine al mutamento della situazione apprezzata all’inizio del
trattamento cautelare (Sez.1, n.24897 del 10/05/2013, Sisti, Rv.255832; Sez.5,
n.16425 del 2/02/2010, Iurato, Rv.246868; Sez.2, n.39785 del 26/09/2007,
Popopat, Rv.238763; Sez.4, n.39531 del 17/10/2006, De Los Reyes, Ry.235391;
Sez.6, n.47819 del 24/11/2003, Camilleri, Rv.227430).

4. Conclusivamente, il ricorso deve dichiararsi inammissibile. Tenuto conto
della sentenza Corte Cost. n.186 del 13.06.2000 e rilevato che non sussistono
elementi per ritenere che “la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria di
inammissibilità segue, a norma dell’art.616 cod.proc.pen. l’onere delle spese del
procedimento e del versamento di una somma, in favore della Cassa delle
Ammende, determinata, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del
ricorso stesso, nella misura di euro 1.000,00.

5. Deve essere disposto, inoltre, che copia del presente provvedimento sia
trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario competente perché provveda a
quanto stabilito dall’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod.proc.pen.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
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elementi concreti e specifici, applicando principi ampiamente condivisi dalla

La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa
al direttore dell’istituto penitenziario competente perché provveda a quanto
stabilito dall’art. 94, c. 1 ter disp. att. del c.p.p.

Così deciso il 3/04/2014

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