Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19305 del 03/04/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 19305 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: SERRAO EUGENIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
VATIERO MARIA N. IL 13/12/1964
avverso l’ordinanza n. 92/2010 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
14/03/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EUGENIA SERRAO;
lette~le conclusioni del PG Dott.

Dott. Massimo Galli, che ha concluso per inammissibilità;

edit idifensòiAvv. l

Data Udienza: 03/04/2014

RITENUTO IN FATTO

1. In data 14/03/2013 la Corte di Appello di Napoli ha respinto l’istanza di
riparazione presentata da Vatiero Maria per la custodia cautelare in carcere
patita dal 5 al 10 aprile 2007 nell’ambito di un procedimento in cui era indagata
per il reato di tentata estorsione aggravata ex art.7 I. 12 luglio 1991, n.203,
definito con sentenza assolutoria del Tribunale di Napoli del 10/04/2007,
confermata dalla Corte di Appello di Napoli con pronuncia divenuta irrevocabile il

2. La Corte territoriale, premesso che la sentenza assolutoria era stata
pronunciata a seguito dell’acquisizione dibattimentale delle dichiarazioni del
collaboratore di giustizia Capuozzo Francesco, ha ritenuto sussistente la condotta
ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione sulla base delle
seguenti specifiche circostanze fattuali: il tentativo di estorsione ascritto
all’istante in concorso con il marito, boss di clan camorristico, condannato per
detto reato, aveva per oggetto un’autovettura destinata alla stessa istante, o al
figlio, per l’acquisto della quale la Vatiero aveva versato un anticipo senza fornire
sufficienti garanzie per il pagamento del saldo, per cui il concessionario aveva
restituito l’anticipo rifiutando di consegnare l’autovettura; il coniuge dell’istante
aveva fatto prelevare il concessionario dai suoi uomini e lo aveva fatto condurre
davanti a sé, minacciandolo con le armi ed intimandogli di fargli avere
l’autovettura entro il giorno seguente; in tale frangente la Vatiero, secondo
quanto riferito dalla persona offesa, “con una faccia soddisfatta… passava e
spassava dall’androne esterno del palazzo” in cui era stato portato il
concessionario, evidentemente compiaciuta che il marito avesse messo a posto
colui che aveva osato rifiutare di consegnarle l’autovettura a credito. Tale
condotta è stata ritenuta dalla Corte territoriale sintomatica di una connivenza,
ipotizzata anche nella sentenza assolutoria, con l’azione estorsiva posta in essere
dal coniuge.

3. Ricorre per cassazione Maria Vatiero, con atto sottoscritto dal difensore,
censurando l’ordinanza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione,
sul presupposto che la Corte non avrebbe fornito la descrizione di un
comportamento gravemente colposo idoneo ad indurre in errore il giudice nella
fase delle indagini preliminari. Secondo la ricorrente, la condotta descritta
costituisce, all’evidenza anche di una valutazione indiziaria, una tipica condotta
di connivenza, ben distinta dalla condotta di partecipazione al delitto. Il ruolo
della ricorrente, si assume, non rendeva necessario alcun vaglio istruttorio nel

3/07/2009.

dibattimento, non avendo introdotto le dichiarazioni del collaboratore di giustizia
Capuozzo alcun elemento di novità a carico della ricorrente.

4. Il Procuratore Generale, nella persona del dott. Massimo Galli, nella sua
requisitoria scritta, ha chiesto che la Corte dichiari inammissibile il ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Nel ricorso non si contesta la configurazione della condotta posta in
essere da Vatiero Maria in termini di connivenza, ed il giudice della riparazione
ha desunto, con motivazione congrua ed adeguata, proprio dal comportamento
connivente dell’istante il giudizio in merito alla sussistenza della condotta
ostativa al diritto all’equa riparazione. Risulta evidente come si tratti di un iter
motivazionale assolutamente incensurabile in quanto caratterizzato da
argomentazioni pienamente rispondenti ai criteri di logicità ed adeguatezza,
nonché in sintonia con i principi enunciati da questa Corte in tema di dolo e colpa
grave quali condizioni ostative al diritto all’equa riparazione.
2.1. Con specifico riferimento all’ipotesi della connivenza, in relazione al
diritto all’equa riparazione, questa Corte ha, infatti, già avuto modo di affrontare
la problematica della valenza della connivenza stessa quale condotta ostativa al
riconoscimento della riparazione. In particolare si è riconosciuta tale valenza in
tre casi: a) nell’ipotesi in cui l’atteggiamento di connivenza sia indice del venir
meno di elementari doveri di solidarietà sociale per impedire il verificarsi di gravi
danni alle persone o alle cose (Sez. 4, n. 8993 del 15/01/2003, Lushay,
Rv. 223688); b) nel caso in cui la connivenza si concreti non già in un mero
comportamento passivo dell’agente con riguardo alla consumazione di un reato,
ma nel tollerare che tale reato sia consumato, sempre che l’agente sia in grado
di impedire la consumazione o la prosecuzione dell’attività criminosa in ragione
della sua posizione di garanzia (Sez. 4, n. 16369 del 18/03/2003, Cardillo,
Rv. 224773); c) nell’ipotesi in cui la connivenza passiva risulti aver
oggettivamente rafforzato la volontà criminosa dell’agente, sebbene il connivente
non intendesse perseguire questo effetto (Sez. 4, n. 42039 del 08/11/2006,
Cambareri, Rv. 235397; Sez. 4, n. 2659 del 03/12/2008, Vottari, Rv. 242538);
in tal caso è necessaria la prova positiva che il connivente fosse a conoscenza
dell’attività criminosa dell’agente medesimo (Sez. 4, n. 42039 del 08/11/2006,
Cambareri, Rv. 235397). È noto che la mera presenza passiva non integra il
concorso nel reato, a meno che non valga a rafforzare il proposito dell’agente di

1. Il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.

commettere il reato. Ma questo rafforzamento del proposito non è sufficiente per
ritenere il concorso dello “spettatore passivo”, essendo necessario che questi
abbia la coscienza e volontà di rafforzare il proposito criminoso. Nei casi in cui
l’elemento soggettivo in questione non sia provato ben può essere astrattamente
configurata gravemente colposa, perché caratterizzata da grave negligenza, la
condotta passiva del connivente per non aver valutato gli effetti della sua
condotta sul comportamento dell’agente, la cui volontà criminosa può essere
oggettivamente rafforzata anche se il connivente non intenda perseguire questo

partecipazione alle attività criminose di altri. Ma per poter pervenire a questa
conclusione è necessario che sia provata la conoscenza delle attività criminose
compiute (o almeno che con grave negligenza il connivente non se ne sia reso
conto).
2.2. Nella concreta fattispecie, avuto riguardo alle circostanze fattuali
evidenziate, correttamente la Corte d’Appello ha inquadrato il comportamento di
Vatiero Maria – tra le ipotesi sopra ricordate alle quali la giurisprudenza di questa
Corte ha ritenuto riconducibile la condotta connivente ostativa al riconoscimento
della riparazione – quantomeno nell’ipotesi sub c).
2.3. Ad integrazione ed ulteriore specificazione delle ipotesi appena
elencate, il Collegio ritiene che debba essere sottolineato, comunque, che, in
tema di equa riparazione, il vaglio delle circostanze di fatto idonee ad integrare il
dolo o la colpa grave deve essere operato con giudizio ex ante e sulla base
dell’idoneità della condotta dell’indagato a “tranne in inganno” l’autorità
giudiziaria e a porsi come situazione sinergica alla causazione dell’evento
“detenzione”; se è vero dunque che la connivenza non è, certamente, concorso
nel reato, è altresì innegabile che la stessa, in presenza di determinati dati di
fatto, come quelli sottolineati dalla Corte di Appello nel caso in esame, possa
essere interpretata, almeno nella fase investigativa, appunto come concorso, con
possibili, negative conseguenze in tema di libertà: conseguenze dovute,
perlomeno, anche alla vistosa trascuratezza e superficialità di chi, pur solo
connivente, non tiene nel dovuto conto dati di fatto che potrebbero
oggettivamente coinvolgerlo.

3. Quanto al generico richiamo, contenuto nel ricorso, in base al quale il
ruolo della ricorrente non avrebbe reso necessario il vaglio istruttorio del
dibattimento, posto che, a differenza di quanto affermato nell’ordinanza
impugnata, il materiale probatorio di cui disponeva il giudice della cautela non
sarebbe stato integrato da acquisizioni dibattimentali, si tratta di censura
inammissibile per difetto di autosufficienza, non essendo stato allegato al ricorso

effetto; tale condotta può ritenersi, infatti, idonea a creare un’apparenza di

né indicato l’atto del procedimento in base al quale questa Corte dovrebbe
valutare l’illegittimità, sul punto, del provvedimento impugnato.

4. Tenuto conto della sentenza Corte Cost. n.186 del 13/06/2000 e rilevato
che non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto ricorso
senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, alla
declaratoria di inammissibilità segue, a norma dell’art.616 cod.proc.pen., l’onere
delle spese del procedimento e del versamento di una somma, in favore della

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 3/04/2014

Cassa delle Ammende, determinata nella misura di euro 1.000,00.

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