Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19302 del 03/04/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 4 Num. 19302 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: SERRAO EUGENIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
EL CHAOUI DJAMEL N. IL 03/03/1982
avverso l’ordinanza n. 106/2012 CORTE APPELLO di MILANO, del
11/06/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EUGENIA SERRAO;
lette/ginatele conclusioni del PG Dott.

Dott. Fulvio Baldi, che ha concluso per il rigetto;

udit_i_difen can AvV.i

Data Udienza: 03/04/2014

RITENUTO IN FATTO

1. In data 11/06/2013 la Corte di Appello di Milano ha rigettato la domanda
di riparazione per ingiusta detenzione proposta da El Chaoui Djamel in relazione
alla custodia cautelare in carcere subita dal 7 novembre 2007 all’8 luglio 2010 in
relazione ad un procedimento in cui era indagato per associazione terroristica
internazionale.

colpa grave del richiedente sulla base delle seguenti specifiche circostanze
fattuali: a) El Chaoui Djamel aveva accettato l’ospitalità di un terrorista; b)
colloquiando con altri soggetti coinvolti a vario titolo nelle indagini, aveva
dimostrato una certa contiguità con persone collegate agli ambienti terroristici;
c) dagli stralci di un’intercettazione telefonica del 18 maggio 2006 risultava che
El Chaoui Djamel avesse parlato con il terrorista che lo ospitava di un problema
da risolvere riguardante un non meglio precisato “colonnello” (termine che
significa anche persona pericolosa), nel senso che occorresse procurargli dei
documenti per consentirgli di recarsi in Iraq; d) nell’ambito della medesima
telefonata, dopo 12 minuti, l’altro interlocutore aveva indicato a El Chaoui
Djamel come rimediare un passaporto in Francia. La sentenza assolutoria,
secondo quanto emerge dall’ordinanza impugnata, aveva ritenuto che il tempo
trascorso, durante la medesima telefonata, tra la conversazione concernente il
“colonnello” e la conversazione concernente la falsificazione di un passaporto non
consentisse di ritenere provato con certezza un legame tra i due argomenti. La
Corte territoriale ha, dunque, ritenuto che El Chaoui Djamel avesse mostrato una
certa contiguità con il terrorista, che gli aveva suggerito di andare in Questura a
denunciare lo smarrimento del documento onde successivamente procurarsi un
documento falso, desumendo da tale comportamento la colpa grave del
richiedente, idonea a svolgere una funzione sinergica nell’emanazione del
provvedimento restrittivo della libertà.

3. Ricorre per cassazione El Chaoui Djamel, con atto sottoscritto dal
difensore, censurando l’ordinanza impugnata per falsa applicazione della legge
penale, consistente nel travisamento del concetto di colpa grave, e per erroneità
o mancanza della motivazione. Secondo il ricorrente, la Corte territoriale avrebbe
dovuto escludere la colpa grave, in quanto non vi era prova che l’istante sapesse
di essere ospite di un terrorista, potendo ritenere che quell’ospitalità fosse una
forma di solidarietà fraterna nel significato comune religioso che accomuna
frequentatori di una stessa moschea e stranieri in terra straniera. Anzi, dai fatti
2

2. La Corte territoriale ha ritenuto sussistente la condizione ostativa della

emersi in dibattimento, non sarebbe stato possibile ritenere che El Chaoui
Djamel avesse la minima cognizione di cosa fosse il radicalismo islamico e in
quali forme degenerative potesse evolvere, essendo emersa la sua completa
ignoranza dei principi più rigorosi dell’Islam, delle sue forme di radicalizzazione
ed infine nella stessa jihad ed avendo egli fornito immediatamente delle
giustificazioni che hanno trovato pieno riscontro nel dibattimento. La Corte
territoriale, si assume, avrebbe desunto la colpa grave da un reato mai
imputatogli, ossia il reato di falso, posto che le generiche attività di falsificazione

si evince come il giudice di merito non abbia compreso le sentenze assolutorie;
in particolare, il giudice penale non avrebbe parlato affatto di collegamento tra il
reato di falso e attività terroristica, posto che il primo reato neppure risultava
contestato a El Chaoui Djamel, non potendo il giudice della riparazione
stravolgere le risultanze probatorie dei due gradi di giudizio.

4. Il Procuratore Generale, nella persona del dott. Fulvio Baldi, nella sua
requisitoria scritta ha concluso per il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. La funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata
avverso il provvedimento al quale si riferisce. Tale critica argomentata si realizza
attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt.581 e
591 cod.proc.pen.), devono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli
elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di
impugnazione è, pertanto, innanzitutto il confronto puntuale (cioè con specifica
indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il
dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta,
mediante l’individuazione dei capi e dei punti dell’atto impugnato che si
intendono sottoporre a censura con espressione di un vaglio critico in ordine a
ciascuno di essi analiticamente formulato, che consenta di dimostrare che il
ragionamento del giudice è errato (Sez.5, n.28011 del 15/02/2013, Sammarco,
Rv.255568; Sez. 6, n.22445 dell’8/09/2009, P.M. in proc. Candita, Rv. 244181).
2.1. Quando, poi, il ricorso contesta le ragioni che sorreggono la decisione
deve, altresì, contemporaneamente enucleare in modo specifico il vizio
denunciato, in modo che sia chiaramente sussumibile fra i tre previsti 0
dall’art.606, comma 1, lett.e) cod. proc. pen., deducendo poi, altrettanto
3

emerse nelle indagini non lo riguardavano, con un’argomentazione flebile da cui

specificamente, le ragioni della sua decisività rispetto al percorso logico seguito
dal giudice del merito per giungere alla deliberazione impugnata, così da
condurre a decisione differente.
2.2.

Questa

Corte,

anche

a

Sezioni

Unite

(Sez.

U

n. 43 del 13/12/1995,dep. 09/02/1996,Sarnataro,Rv.203638), ha ripetutamente
enunciato il principio che nel procedimento per la riparazione dell’ingiusta
detenzione è necessario distinguere nettamente l’operazione logica propria del
giudice del processo penale, volta all’accertamento della sussistenza di un reato

della riparazione, il quale, pur dovendo eventualmente operare sul medesimo
materiale, deve seguire un percorso logico-motivazionale del tutto autonomo,
essendo suo compito stabilire, non se determinate condotte costituiscano o
meno reato ma, se queste condotte si siano poste come fattore condizionante
alla produzione dell’evento ‘detenzione’; in relazione a tale aspetto della
decisione il giudice della riparazione ha piena ed ampia libertà di valutare il
materiale acquisito nel processo, non già per rivalutarlo, bensì al fine di
controllare la ricorrenza o meno delle condizioni dell’azione, sia in senso positivo
che negativo, compresa l’eventuale sussistenza di una causa di esclusione del
diritto alla riparazione.
2.3. Questa Corte ha anche, ripetutamente, enunciato il principio che la
condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, rappresentata
dall’aver il richiedente dato causa all’ingiusta carcerazione, deve concretarsi in
comportamenti che non siano stati esclusi dal giudice della cognizione e che
possono essere di tipo extraprocessuale o di tipo processuale.

3. Nel caso in esame, la Corte distrettuale si è attenuta a tale principio
avendo valutato, con motivazione adeguata e coerente sotto il profilo logico,
sulla base di quanto emerso in sede di indagini e non inequivocabilmente
smentito all’esito del giudizio, che la condotta del richiedente avesse
sostanzialmente contribuito ad ingenerare, sia pure in presenza di errore
dell’autorità inquirente, la rappresentazione di una condotta illecita dalla quale è
scaturita, con rapporto di causa-effetto, la detenzione ingiustamente sofferta.
3.1. La Corte ha, infatti, indicato a fondamento della decisione alcune
circostanze fattuali che, secondo quanto emerge dallo stesso ricorso, non
risultano essere state escluse dal giudice della cognizione, in particolare la
circostanza, solo messa in dubbio, che i documenti falsi dei quali El Chaoui
Djamel parlava nella telefonata intercettata avrebbero dovuto essere utilizzati da
un misterioso “colonnello” per un viaggio connesso con l’attività terroristica, o il
fatto che El Chaoui Djamel fosse ospite di persona implicata in attività
4

e della sua commissione da parte dell’imputato, da quella propria del giudice

terroristica e avesse dimostrato una certa contiguità con persone collegate
all’ambiente terroristico.
4. Nel ricorso, poi, si fa generico riferimento alle risultanze del processo,
dalle quali emergerebbe l’accertamento positivo che El Chaoui Djamel fosse
totalmente inconsapevole del fatto che la persona che lo ospitava fosse un
terrorista, senza allegare il documento da cui emergerebbe tale accertamento.
4.1. A fronte della motivazione espressa dalla Corte territoriale, il ricorrente
avrebbe dovuto, nel rispetto del principio di specificità del ricorso, riportare

tale inconsapevolezza, onde consentire a questa Corte di verificare su quali
erronei presupposti la pronuncia impugnata fosse stata emessa.

5. Con riguardo al dedotto vizio di motivazione, è sufficiente osservare come
nel ricorso non sia stato indicato il tema oggetto di decisione in relazione al quale
la Corte avrebbe omesso di fornire adeguata motivazione, risolvendosi tale
censura in una istanza di nuova valutazione degli elementi istruttori a
disposizione della Corte che, a prescindere dall’imputazione per il reato di falso,
risulta aver correttamente fondato la decisione su risultanze delle indagini non
escluse dal giudice della cognizione.

6. Conclusivamente, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto
conto della sentenza Corte Cost. n.186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non
sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto ricorso senza
versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla
declaratoria di inammissibilità segue, a norma dell’art.616 cod.proc.pen. l’onere
delle spese del procedimento e del versamento di una somma, in favore della
Cassa delle Ammende, determinata, in considerazione delle ragioni di
inammissibilità del ricorso stesso, nella misura di euro 1.000,00.

P.Q. M .
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 3/04/2014

nell’atto o allegare i documenti dai quali emergeva il positivo accertamento di

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA