Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19298 del 02/04/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 19298 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Baba Baba n. il 4.4.1984
avverso l’ordinanza n. 1748/2013 pronunciata dal Tribunale della
Libertà di Torino il 18.11.2013;
sentita nella camera di consiglio del 2.4.2014 la relazione fatta dal
Cons. dott. Marco Dell’Utri,
sentito il Procuratore Generale, in persona del dott. A. Di Popolo, che
ha concluso per il rigetto del ricorso.

Data Udienza: 02/04/2014

Ritenuto in fatto
i. – Con atto in data 30.11.2013, Baba Baba ha proposto ricorso
per cassazione avverso l’ordinanza in data 18/19.11.2013 con la quale
il tribunale di Torino ha rigettato l’appello proposto dal Baba avverso
il provvedimento in data 30.8.2013 con cui il giudice per le indagini
preliminari presso il medesimo tribunale ha disatteso l’istanza del
ricorrente diretta alla dichiarazione della sopravvenuta inefficacia
della misura della custodia cautelare in carcere già disposta nei suoi
confronti in relazione alla commissione, da parte del Baba, di alcuni
episodi di traffico di sostanze stupefacenti; istanza avanzata
dall’imputato sul presupposto dell’asserita avvenuta decorrenza dei
termini di fase della custodia cautelare.
Con la decisione confermata in sede d’appello, il primo giudice
ha ritenuto inapplicabile, in favore del ricorrente, il disposto dell’art.
297, co. 3, c.p.p., ai sensi del quale il computo dei termini di durata
massima della custodia cautelare, là dove applicata per un reato
commesso anteriormente all’emissione di altra ordinanza cautelare
già in esecuzione per un fatto successivo diverso dal primo,
dev’essere retrodatato all’epoca dell’esecuzione della prima misura.
In particolare, secondo i giudici del merito, nel caso in esame,
ai fini dell’operatività dell’invocata retrodatazione, non sarebbe stato
riscontrabile il requisito, imposto dall’art. 297 cit., costituito dalla
tempestiva desumibilità, dagli atti del procedimento relativo alla
prima misura, dei diversi fatti anteriormente commessi.
Con l’impugnazione proposta, il ricorrente censura il provvedimento del tribunale torinese nella parte in cui ha omesso di rilevare
come, nel caso di specie, tutti i fatti oggetto della seconda misura cautelare fossero desumibili dagli atti d’indagine (benché non formalmente trasfusi in un atto tipico trasmesso all’autorità giudiziaria procedente) già prima dell’emissione del rinvio a giudizio emesso nel
procedimento promosso con riguardo al reato (commesso successivamente ai primi) in relazione al quale era stata eseguita la prima misura cautelare nei confronti del Baba, con la conseguente retrodatazione del computo dei termini di durata massima della seconda misura cautelare, al fine di evitare che eventuali negligenze imputabili alla
polizia giudiziaria nella tempestiva comunicazione al pubblico ministero dei fatti oggetto d’indagine valessero a incidere negativamente
sul ridetto computo determinando un’irragionevole disparità di trat-

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Considerato in diritto
2. – Il ricorso è infondato.
Occorre preliminarmente rilevare come il caso oggetto dell’odierno giudizio contempli (incontestatamente) l’ipotesi dell’emissione di due diversi provvedimenti restrittivi della libertà personale
dell’indagato adottati, per fatti diversi tra loro connessi, nel quadro di
procedimenti distinti.
Sul punto, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, autorevolmente sostenuto dalle stesse sezioni unite di questa corte, in tema di ‘contestazione a catena’, quando nei confronti di un imputato sono emesse in procedimenti diversi
più ordinanze cautelari per fatti diversi in relazione ai quali esiste una
connessione qualificata, la retrodatazione prevista dall’art. 297, co. 3,
c.p.p., opera per i fatti desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio
nel procedimento in cui è stata emessa la prima ordinanza (Cass.,
Sez. Un., n. 14535/2006, Rv. 235909 e seguenti conformi).
Nel caso di specie, il tribunale del riesame ha espressamente
rilevato l’insussistenza di alcuna desumibilità, dei fatti relativi alla
seconda misura cautelare (in questa sede in esame), prima del rinvio
a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa la prima ordinanza
cautelare, con la conseguente insussistenza dei presupposti per
l’applicazione della retrodatazione di cui all’art. 297 cit..
A fronte di tale rilievo, l’odierno ricorrente ha viceversa osservato come i fatti relativi alla seconda misura cautelare fossero adeguatamente desumibili in data antecedente alla richiesta di rinvio a
giudizio relativa alla prima ordinanza cautelare, rilevando come la
notizia degli stessi fosse già in possesso degli organi di polizia giudiziaria operanti, a nulla rilevando che gli stessi non fossero ancora stati trasfusi in un atto tipico, quale la relazione informativa al pubblico
ministero, solo tardivamente trasmesso all’autorità giudiziaria procedente.
Sul punto, osserva il collegio come, nel disattendere la prospettazione del ricorrente, del tutto correttamente il tribunale torinese si sia uniformato al consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità (che questo collegio condivide e riafferma), ai sensi

tamento rispetto ai casi espressamente regolati dal citato art. 297
c.P.P–

Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 2.4.2014.

del quale, in tema di retrodatazione della decorrenza dei termini di
custodia cautelare, la nozione di anteriore ‘desumibilità’ delle fonti
indiziarie, poste a fondamento dell’ordinanza cautelare successiva,
dagli atti inerenti la prima ordinanza cautelare, non va confusa con
quella di semplice ‘conoscenzà o ‘conoscibilità’ di determinate evenienze fattuali.
Infatti, la desumibilità, per essere rilevante ai fini del meccanismo di cui all’art. 297, co. 3, c.p.p., deve essere individuata nella condizione di conoscenza, da un determinato compendio documentale o
dichiarativo, degli elementi relativi a un determinato fatto-reato che
abbiano in sé una specifica `significanza processuale’; ciò che si verifica allorquando il pubblico ministero procedente sia nella reale condizione di avvalersi di un quadro sufficientemente compiuto ed esauriente (sebbene modificabile nel prosieguo delle indagini) del panorama indiziario, tale da consentirgli di esprimere un meditato apprezzamento prognostico della concludenza e gravità delle fonti indiziarie, suscettibili di dare luogo – in presenza di concrete esigenze
cautelari – alla richiesta e all’adozione di una misura cautelare (v.
Cass., Sez. 6, n. 11807/2013, Rv. 255722; Cass., Sez. 4, n. 15451/2012,
Rv. 253509).
Sulla base delle argomentazioni che precedono, dev’essere pertanto riconosciuta la totale infondatezza dell’odierno ricorso, con la
conseguente pronuncia, accanto al relativo rigetto, della condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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