Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19295 del 02/04/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 19295 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Fiorani Giammaria
Fiorani Massimiliano
Fiorani Fabio
Traiano Marcella
avverso l’ordinanza n. 44/2013 pronunciata dal Tribunale della
Libertà di Arezzo il 15.10.2013;
sentita nella camera di consiglio del 2.4.2014 la relazione fatta dal
Cons. dott. Marco Dell’Utri;
sentito il Procuratore Generale, in persona del dott. A. Di Popolo, che
ha concluso per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata;
udito, per i ricorrenti, l’avv.to A. Bonacci del foro di Arezzo, che ha
concluso per l’accoglimento dei ricorsi.

Data Udienza: 02/04/2014

Ritenuto in fatto
i. – Con ordinanza resa in data 15.10.2013, il tribunale di Arezzo, in sede di riesame, ha confermato il provvedimento di sequestro
preventivo finalizzato alla confisca ex art. 12-sexies d.l. n. 306/92
emesso, in data 26.9.2013, dal giudice per le indagini preliminari
presso il tribunale di Arezzo, con riguardo a dipinti di non trascurabile valore rinvenuti nella disponibilità di Giammaria Fiorani, Massimiliano Fiorani, Fabio Fiorani e Marcella Traiani in relazione alla
prospettata commissione di alcuni episodi di illecita importazione di
sostanze stupefacenti agli stessi contestati.
Con il medesimo provvedimento, il tribunale del riesame ha
annullato il sequestro probatorio dei medesimi beni, siccome adottato al di fuori dei casi consentiti.
Nella motivazione del provvedimento impugnato, il tribunale
aretino, dopo aver sottolineato il ricorso del fiimus commissi delicti
relativo agli episodi d’illecita importazione di sostanze stupefacenti
contestati ai ricorrenti, ha evidenziato gli estremi della sproporzione
tra i redditi disponibili dai ricorrenti (o tra le relative attività economiche svolte) e il valore dei beni agli stessi sequestrati, ribadendo la
mancata offerta di alcuna prova, da parte degli stessi, in ordine alla
legittima provenienza di detti beni.
Avverso l’ordinanza del tribunale del riesame, a mezzo del comune difensore, hanno proposto ricorso per cassazione tutti gli indagati, sulla base di tre motivi d’impugnazione.
Con il primo motivo, i ricorrenti censurano l’ordinanza
impugnata per vizio di motivazione, avendo il tribunale del riesame
trascurato la valutazione degli elementi giustificativi della liceità del
proprio patrimonio e della relativa proporzione rispetto al valore dei
beni sequestrati, tenuto conto delle ingenti somme ricevute, nel
2008, da Gianmaria Fiorani a titolo di indennità assicurativa; dei
proventi conseguiti da Marcella Traiani quale sarta e titolare di pensione sociale, nonché delle ingenti vincite al gioco d’azzardo di Massimiliano Fiorani.
Sotto altro profilo, i ricorrenti si dolgono del vizio di motivazione del provvedimento impugnato nella parte relativa alla valutazione delle prove documentali offerte dalla difesa in ordine all’epoca
di acquisto dei dipinti sequestrati (a cavallo tra il 2008 e gli inizi del
2009), nella specie anteriore di ben due anni rispetto alla prospettata
commissione dei reati contestati.
2.1. –

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Con il secondo motivo, i ricorrenti censurano il provvedimento impugnato nella parte in cui destituisce di attendibilità la
documentazione relativa alla prova dell’epoca di acquisto dei dipinti
sequestrati, in contrasto con la relativa evidenza rappresentativa, dolendosi altresì del mancato rilievo, da parte del tribunale del riesame,
dell’inammissibile genericità del provvedimento originariamente
emesso dal giudice per le indagini preliminari, in assenza di alcuna
preventiva determinazione della pertinenzialità dei beni destinati al
sequestro con i reati contestati o della dimensione economica degli
stessi necessaria al fine di individuare la sproporzione tra il valore di
detti beni e le disponibilità economiche dei ricorrenti (con specifico
riguardo al momento di acquisto), sì da configurare un’illegittima
commistione funzionale tra le misure del sequestro preventivo e
quello probatorio contestualmente pronunciato.
Sotto altro profilo, i ricorrenti censurano il provvedimento impugnato nella parte in cui qualifica come sproporzionato il valore dei
beni sequestrati, rispetto al patrimonio dei soggetti interessati dalla
misura cautelare, avendo i giudici del merito omesso di procedere a
un’accurata commisurazione del valore di detti beni in relazione alle
specifiche epoche di acquisto degli stessi.
2.3. — Da ultimo, i ricorrenti denunciano la violazione delle
norme processuali stabilite a pena d’inutilizzabilità probatoria, con
particolare riguardo all’epoca di adozione del provvedimento cautelare originariamente richiesto in epoca successiva alla chiusura delle
indagini preliminari e senza il rispetto delle garanzie a tale fine previste dalla legge.
2.4. – All’odierna udienza, il difensore dei ricorrenti ha prodotto il dispositivo della sentenza di assoluzione di Massimiliano Fiorani
Fabio Fioriani e Marcella Traiani, concludendo per l’accoglimento dei
ricorsi.
Considerato in diritto
3. – I ricorsi sono infondati.
Preliminarmente, rileva il collegio come, in tema di riesame
delle misure cautelari reali, nella nozione di ‘violazione di legge’ per
cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma
dell’art. 325, comma i, c.p.p., rientrano la mancanza assoluta di mo-

2.2. –

tivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in
quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma
non l’illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di
cui alla lett. e) dell’art. 6o6 c.p.p. (v. Cass., Sez. Un., n. 5876/2004,
Rv. 226710, e altre successive).
Rimangono pertanto escluse dalla nozione di violazione di legge connessa al difetto di motivazione, tutte le rimanenti ipotesi nelle
quali la motivazione stessa si dipani in modo insufficiente e non del
tutto puntuale rispetto alle prospettazioni censorie (v. Cass., Sez. i, n.
6821/2012, Rv. 252430), dovendo riservarsi il ricorso per cassazione
unicamente a quelle violazione di legge consistenti in errores in iudicando o in procedendo, ovvero a quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento, o del tutto mancante, ovvero privo dei requisiti minimi di
coerenza, completezza e ragionevolezza tali rendere comprensibile
l’itinerario logico seguito dal giudice (cfr. Cass., Sez. 5, n.
43068/2009, Rv. 245093).
Nel caso di specie, i ricorrenti hanno del tutto infondatamente
censurato il provvedimento impugnato per aver omesso di confrontarsi criticamente con gli elementi di prova prodotti a difesa degli
stessi, avendo il tribunale del riesame adeguatamente dato conto —
con motivazione logicamente argomentata e dotata di conseguente
linearità — che: i) Gianmaria Fiorani non avesse dichiarato alcun
reddito tra il 2008 e il 2011; 2) Massimiliano Fiorani non avesse dichiarato alcun reddito dal 2009 al 2011 mentre ha dichiarato nel
2008 di aver percepito la sola somma di euro 3.950,00; 3) Fabio Fiorani ha percepito la pensione d’invalidità sociale per un ammontare
di circa euro 7.000,00 annui; 4) Marcella Traiani non ha dichiarato
alcun reddito dal 2008 al 2011, risultando svolgere unicamente l’attività di sarta percependo compensi in nero mai compiutamente identificati con precisione.
Lo stesso tribunale ha altresì evidenziato come Gianmaria Fiorani avesse integralmente reinvestito i proventi conseguiti a titolo di
indennità assicurativa in prodotti finanziari, parzialmente disinvestendoli per l’acquisto di un immobile poi intestato a Massimiliano
Fiorani, del quale, per tale ragione, non è stato richiesto il sequestro
preventivo.
Quanto alle pretese vincite al gioco d’azzardo di Massimiliano
Fiorani, in modo pienamente logico sul piano argomentativo il tribu-

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nale del riesame ha evidenziato l’irragionevolezza dell’asserzione secondo cui lo stesso possa aver costantemente e con regolarità conseguito stabili proventi per tale causa, in contrasto con ogni regola statistico-probabilistica dotata di validità scientifica, apparendo viceversa assai più probabile che lo stesso, pur qualificabile quale giocatore
assiduo, abbia investito nel gioco i proventi della propria attività delittuosa, non essendovi prova che egli avesse disponibilità di denaro
di provenienza lecita tale da giustificare investimenti massicci nel
gioco corrispondenti alle elevate vincite denunciate.
Ciò posto, in termini pienamente logici e consequenziali, il
giudice del riesame ha sottolineato come i redditi minimi dei ricorrenti così evidenziati del tutto implausibilmente possono ritenersi esser stati reinvestiti nell’acquisto di beni di lusso (come i dipinti di valore rinvenuti nella relativa disponibilità), piuttosto che non a soddisfare le primarie esigenze di vita degli stessi e dei loro familiari, atteso lo stimato valore di tali beni per importi in ogni caso non inferiori,
complessivamente, alla somma di euro 98.000,00 circa, pari alla
somma indicata dallo stesso Gianmaria Fiorani in una dicitura manoscritta contenuta in un’agenda dello stesso relativa all’anno 2011.
In termini pienamente congrui, sul piano logico, il tribunale
del riesame ha quindi ritenuto irrilevante l’eventuale dimostrazione
dell’acquisto di tali beni nei due anni anteriori alla commissione dei
reati agli stessi contestati (a cavallo tra il 2008 e il 2009), avendo lo
stesso tribunale evidenziato come sin dal 2007 era risultato come i
redditi della famiglia Fiorani fossero di tale esiguità da apparire insufficiente financo al sostentamento vitale degli stessi.
È peraltro appena il caso di evidenziare — anche con riguardo
alla pretesa omessa dimostrazione del nesso di pertinenzialità tra i
beni destinati al sequestro e i reati contestati ai ricorrenti – come del
tutto correttamente il tribunale del riesame si sia allineato
all’insegnamento della giurisprudenza di legittimità ai sensi del quale
la condanna per uno dei reati indicati nell’art. 12-sexies, d.l. n.
306/92, comporta la confisca dei beni nella disponibilità del condannato, allorché, da un lato, sia provata l’esistenza di una sproporzione
tra il reddito da lui dichiarato o i proventi della sua attività economica e il valore economico di detti beni e, dall’altro, non risulti una giustificazione credibile circa la provenienza di essi; di talché, essendo
irrilevante il requisito della `pertinenzialità’ del bene rispetto al reato
per cui si è proceduto, la confisca dei singoli beni non è esclusa per il
fatto che essi siano stati acquisiti in epoca anteriore o successiva al

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reato per cui è intervenuta condanna o che il loro valore superi il provento del medesimo reato (v., ex plurimis, Cass., Sez. Un., n.
920/2003, Rv. 226490 e successive).
Devono essere infine disattese le censure illustrate dai ricorrenti relative alla violazione delle norme processuali poste a pena di
inutilizzabilità probatoria, atteso l’avvenuto annullamento del sequestro probatorio da parte del tribunale del riesame e avuto riguardo
all’ininfluenza delle violazioni denunciate in relazione alla giustificazione della cautela preventiva finalizzata alla confisca ai sensi dell’art.
12-sexies d.l. n. 306/92.
Le argomentazioni così compendiate dal tribunale del riesame
appaiono tali da integrare un apparato motivazionale certamente
sussistente (e non meramente apparente), dovendo pertanto ritenersi
esclusa alcuna violazione di legge, tanto sotto il profilo della mancanza di motivazione, quanto nella prospettiva dell’intercorsa applicazione della misura cautelare reale qui contestata in assenza dei requisiti di legge a tal fine previsti, dovendo infine ritenersi allo stato irrilevante la pronuncia dell’assoluzione di taluni degli odierni ricorrenti
nel primo grado di merito, stante il carattere non definitivo della decisione intervenuta, che ha peraltro disposto la confisca di tutti i beni
oggetto dell’odierno sequestro.
4. — Al riscontro dell’infondatezza dei motivi di doglianza
avanzati dai ricorrenti segue il rigetto dei ricorsi e la condanna dei
ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, rigetta i ricorsi e condanna i
ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 2.4.2014.

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