Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19294 del 02/04/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 19294 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Genovese Franco n. il 23.3.1961
avverso la sentenza n. 25144/2012 pronunciata dalla Corte di
Cassazione il 19.12.2012;
sentita nella camera di consiglio del 2.4.2014 la relazione fatta dal
Cons. dott. Marco Dell’Utri;
sentito il Procuratore Generale, in persona del dott. A. Di Popolo, che
ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito, per il ricorrente, l’avv.to M. Muscariello del foro di Napoli, che
ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 02/04/2014

Ritenuto in fatto
i. – Con atto depositato in data 19.9.2013, a mezzo del proprio
difensore, Franco Genovese ha proposto ricorso per cassazione per
errore di fatto, ai sensi dell’art. 625-bis c.p.p., avverso la sentenza
della terza sezione penale di questa corte di cassazione emessa in data 19.12.2012 (n. 9189/2013), con cui è stato rigettato il ricorso proposto dal Genovese avverso la sentenza in data 2.12.2011 con la quale
la corte d’appello di Napoli ha confermato la condanna dello stesso
imputato alla pena di giustizia pronunciata dal tribunale di Torre
Annunziata in data 20.1.2011 in relazione al reato di detenzione illecita di sostanze stupefacenti aggravato ex art. 8o d.p.r. n. 309/90,
commesso in Boscoreale il 5.8.2010.
Con il ricorso ex art. 625-bis c.p.p., il Genovese ha evidenziato
l’errore di fatto in cui sarebbe incorsa la corte di cassazione
nell’omettere di rilevare l’infondatezza del riconoscimento (ad opera
dei giudici di merito) della circostanza aggravante di cui all’art. 80
d.p.r. n. 309/90 a carico dell’imputato, sul presupposto del difetto di
autosufficienza del ricorso e della memoria depositati dinanzi al giudice di legittimità, avendo la corte di cassazione erroneamente ritenuto meramente assertiva l’affermazione secondo cui il principio attivo relativo alla quantità complessiva di hashish detenuta
dall’imputato fosse pari a kg. 1,289 (e, come tale, inferiore ai limiti
ponderali riconosciuti rilevanti, ai fini del ricorso dell’aggravante in
esame, sulla base dei criteri tassativamente indicati nella sentenza
delle Sezioni Unite di questa Corte n. 20119 del 26.5.2012), a dispetto
dell’espressa menzione di tale dato ponderale nella sentenza emessa
in primo grado dal tribunale di Torre Annunziata, sul punto a sua
volta richiamata nella sentenza di secondo grado emessa dalla corte
d’appello di Napoli.
Considerato in diritto
2. – Il ricorso è inammissibile.
Secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di
legittimità, ai fini dell’ammissibilità del ricorso straordinario per errore di fatto, è necessario che sia denunciata una disattenzione di ordine meramente percettivo, causata da una svista o da un equivoco, la
cui presenza sia immediatamente e oggettivamente rilevabile in base
al semplice controllo del contenuto del ricorso, e che abbia determi-

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nato una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza
di essa (cfr. Cass., Sez. 6, n. 27035/2008, Rv. 240973; Cass., Sez. 6, n.
2945/2008, Rv. 242689).
In breve, l’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità
e oggetto del rimedio previsto dall’art. 625-bis c.p.p. consiste in un
errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio
stesso e connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo
della volontà, viziato dall’inesatta percezione delle risultanze processuali che abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso (Cass., Sez. Un., n. 16103/2002, Rv.
221280).
Nel caso di specie, con la sentenza impugnata in questa sede,
la corte di legittimità, lungi dall’incorrere in un errore meramente
percettivo o in una svista materiale, ha ritenuto privi dei requisiti indispensabili, ai fini della relativa autosufficienza, il ricorso e la memoria depositati dal ricorrente nel corso del giudizio di legittimità,
avendo detto ricorrente omesso di specificare la fonte di cognizione
documentale indispensabile per l’identificazione dell’entità del principio attivo contenuto nella quantità di sostanza stupefacente detenuta dall’imputato.
Ciò che il ricorrente contesta in questa sede, in cui si rivendica
la ‘correzione’ della sentenza, non è altro che un (preteso) errore valutativo o di giudizio caduto sull’interpretazione giuridica del requisito dell’autosufficienza’ degli atti impugnatori (ricorso e memoria):
requisito che il ricorrente — in disaccordo con il giudizio sul punto
espresso dalla corte di legittimità – ritiene sussistente là dove
l’integrazione del contenuto critico dell’impugnazione sia agevolmente desumibile (come nel caso di specie) dalla lettura della sentenza di
primo grado (a sua volta richiamata per relationem dalla sentenza
d’appello), pur se allo specifico contenuto di tali atti decisòri (nella
parte eventualmente rilevante ai fini dell’impugnazione) il ricorrente
non abbia espressamente ed esplicitamente fatto richiamo.
Ciò posto, è appena il caso di rilevare come, al fine di pervenire
all’eventuale demolizione della sentenza di legittimità impugnata in
questa sede, l’odierno ricorrente invoca una diversa e più corretta interpretazione ‘giuridica’ del requisito dell’autosufficienza’ degli atti
impugnatori nel senso appena precisato, in contrasto con la rigorosa

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3. — Il complesso delle argomentazioni che precedono,
nell’impedire la riconducibilità dei vizi denunziati dall’odierno ricorrente al paradigma dell’errore di fatto rilevante ai sensi dell’art. 625bis c.p.p., impone la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso, con
la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento e – per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione (cfr. Corte cost. n. 186/2000) – di una somma in favore
della cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro 500,00.
Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro 500,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 2.4.2014.

accezione di tale requisito (a torto o a ragione) fatta propria dal giudice di legittimità.

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