Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19292 del 02/04/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 19292 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MINISTERO ECONOMIA E FINANZE
nei confronti di:
GECI ADMIR N. IL 26/09/1983
avverso l’ordinanza n. 22/2008 CORTE APPELLO di ROMA, del
04/12/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO;
lette/s.entitt le conclusioni del PG Dott. EvI6i e EttO

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ilditicIfettstirAvv.

Data Udienza: 02/04/2014

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza del 6 dicembre 2012 la Corte d’Appello di Roma, in
accoglimento dell’istanza proposta da Geci Admir, condannava il Ministero
dell’Economia e delle Finanze al pagamento in favore dello stesso della somma di
euro 22.000,00 a titolo di riparazione per l’ingiusta detenzione sofferta dal
20/2/2005 al 24/5/2005 in esecuzione di ordinanza di custodia cautelare in
carcere emessa in relazione al reato di sequestro di persona, a lui ascritto in

Secondo l’accusa lo Geci aveva privato della libertà personale Radulescu
Alina e Tranfdir Marinela Mariana, separandole e segregandole una in una
baracca e l’altra in una vettura per circa mezz’ora, al fine di costringerle a ritirare
la denuncia di estorsione sporta nei confronti di due connazionali.
La corte territoriale – premesso che la misura cautelare era stata revocata
dallo stesso G.I.P. all’esito di incidente probatorio nel quale le denuncianti
avevano ritrattato le accuse e che poi il procedimento era stato definito con
sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 cod. proc. pen. per insussistenza
del fatto – escludeva che alcun addebito di dolo o colpa grave potesse muoversi
al richiedente, avendo costui peraltro reso fin dall’interrogatorio di garanzia
anche dettagliate dichiarazione a sua discolpa.

2. Avverso questa decisione propone ricorso il Ministero dell’Economia,
difeso per legge dall’Avvocatura dello Stato, denunciando vizio di motivazione e
violazione di legge.
Rileva che la Corte d’appello, nell’escludere la sussistenza di una condotta
dolosa o gravemente colposa del richiedente, sinergica alla determinazione
cautelare poi rivelatasi ingiusta, ha omesso di considerare che nella sentenza del
G.u.p. si dà atto che una delle denuncianti «negava di essere stata sequestrata,
affermando solo di aver ricevuto, sia lei che l’altra, uno schiaffo dal Geci che le
aveva anche minacciate se non avessero provveduto a ritirare la falsa
denuncia».
Osserva che, sulla base di tale circostanza, già tenuta presente
nell’ordinanza cautelare, il comportamento del richiedente doveva ritenersi
improntato a colpa grave, perché integrante il reato di percosse e minacce, e
doveva ritenersi suscettibile di creare quella verosimiglianza della sussistenza del
reato di sequestro di persona a lui inizialmente ascritto.

3. Nella sua requisitoria scritta, il P.G. ha chiesto il rigetto del ricorso.

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concorso con persone in numero superiore a cinque.

Considerato in diritto

4. Il ricorso è infondato.

4.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di
riparazione per ingiusta detenzione, al giudice del merito spetta, anzitutto, di
verificare se chi l’ha patita vi abbia dato causa, ovvero vi abbia concorso, con
dolo o colpa grave.

manifestarsi attraverso comportamenti concreti, precisamente individuati, che il
giudice di merito è tenuto ad apprezzare, in modo autonomo e completo, al fine
di stabilire, con valutazione ex ante, non se essi abbiano rilevanza penale, ma
solo se si siano posti come fattore condizionante rispetto all’emissione del
provvedimento di custodia cautelare.
A tal fine, egli deve prendere in esame tutti gli elementi probatori disponibili,
relativi alla condotta del soggetto, sia precedente che successiva alla perdita
della libertà, allo scopo dì stabilire se tale condotta abbia determinato, ovvero
anche solo contribuito a determinare, la formazione di un quadro indiziario che
ha indotto all’adozione o alla conferma del provvedimento restrittivo.
In tale operazione il giudice della riparazione, come ripetutamente precisato
da questa Corte, ha certamente il potere/dovere di procedere ad autonoma
valutazione delle risultanze e di pervenire, eventualmente, a conclusioni
divergenti da quelle assunte dal giudice penale. Ad esempio, circostanze
oggettive accertate in sede penale, o le stesse dichiarazioni difensive
dell’imputato, valutate dal giudice della cognizione come semplici elementi di
sospetto, ed in quanto tali insufficienti a legittimare una pronuncia di condanna,
ben potrebbero essere considerate dal giudice della riparazione idonee ad
integrare la colpa grave ostativa al diritto all’equa riparazione.
È evidente però che, giammai, in sede di riparazione per ingiusta
detenzione, può essere attribuita decisiva importanza, considerandole ostative al
diritto all’indennizzo, a condotte escluse o ritenute non sufficientemente provate
con la sentenza di assoluzione (cfr. Sez. 4, n. 1573 del 18/12/1993 – dep.
19/05/1994, Tinacci, Rv. 198491).
La condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo per
l’ingiusta detenzione, rappresentata dall’aver dato causa, da parte del
richiedente, all’ingiusta detenzione, deve dunque concretarsi in comportamenti
che non siano stati esclusi dal giudice della cognizione e che possono essere di
tipo extra-processuale (comportamenti caratterizzati da spiccata leggerezza o
macroscopica trascuratezza tali da porre in essere un meccanismo di
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Tale condizione, ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, deve

imputazione) o di tipo processuale (come un’autoincolpazione, un silenzio
cosciente su di un alibi, età): e sugli elementi costitutivi della colpa grave così
determinati, il giudice è tenuto sia ad indicare gli specifici comportamenti
addebitabili all’interessato, sia a motivare in che modo tali comportamenti
abbiano inciso sull’evento detenzione.
E mette conto sottolineare che una condotta sinergica all’evento detenzione
ben può essere desunta, in via di principio generale, anche da dichiarazioni
testimoniali descrittive di tale condotta, purché ritualmente acquisite e ritenute

vaglio del giudice della cognizione ai fini della idoneità della condotta
dell’imputato, così accertata, a legittimare una sentenza di condanna.
Posto, dunque, che il dolo o la colpa grave idonei ad escludere l’indennizzo
per ingiusta detenzione devono sostanziarsi in comportamenti specifici che
abbiano “dato causa” all’instaurazione dello stato privativo della libertà o abbiano
“concorso a darvi causa”

sicché è ineludibile l’accertamento del rapporto

causale, eziologico, tra tali condotte ed il provvedimento restrittivo della libertà
personale – si deve innanzitutto rilevare che è sempre necessario che il giudice
della riparazione pervenga alla sua decisione di escludere il diritto in questione in
base a dati di fatto certi, cioè ad elementi «accertati o non negati» (Sez. U n. 43
del 13/12/1995 – dep. 09/02/1996, Sarnataro, Rv. 203636); tale valutazione,
quindi, non può essere operata sulla scorta di dati congetturali, non
definitivamente comprovati non solo nella loro ontologica esistenza, ma anche
nel rapporto eziologico tra la condotta tenuta e la sua idoneità a porsi come
elemento determinativo dello stato di privazione della libertà, in riferimento alla
fattispecie di reato per la quale il provvedimento restrittivo venne adottato (v.
anche, in motivazione, Sez. 4, n. 10684 del 26/01/2010, Morra, non mass.).

4.2. Nel caso in esame, la corte territoriale si è attenuta a tali principi.
È vero che ha omesso di motivare esplicitamente sulle ragioni che l’hanno
indotta a non attribuire rilievo ostativo alle minacce che, riferite originariamente
dalle denuncianti nell’ambito della più ampia narrazione del sequestro, a
differenza di quest’ultima non sono state dalle stesse negate al momento della
ritrattazione (sebbene in tale sede non ne sia stata nemmeno precisata la natura
e il contenuto) e non risultano conseguentemente nemmeno escluse nella
sentenza di proscioglimento.
Deve tuttavia escludersi che tale omissione renda la motivazione carente o
contraddittoria e inidonea a sorreggere il provvedimento di accoglimento
dell’istanza di riparazione.
Giusta quanto osservato dal P.G. nella sua requisitoria scritta, invero, a
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attendibili in relazione alla condotta descritta, a prescindere poi dall’esito del

integrare il presupposto ostativo al riconoscimento del diritto alla riparazione per
ingiusta detenzione non basta una condotta illecita (nella specie le percosse e le
minacce), ma occorre che questa abbia almeno in qualche misura contribuito alla
determinazione cautelare.
Ciò correttamente, ancorché implicitamente, è stato escluso dalla Corte di
merito, dovendosi considerare non solo che le diverse ipotesi delittuose
(percosse e minacce) in astratto percorribili (ma che non risultano nemmeno
coltivate in concreto) non consentivano l’adozione della misura restrittiva, ma

misura restrittiva, appare di non immediata evidenza l’affermazione contenuta in
ricorso secondo cui le stesse dovevano ritenersi «suscettibili di creare quella
verosimiglianza della sussistenza del reato di sequestro di persona inizialmente
ascritto».

A diversa conclusione non può nemmeno condurre l’osservazione che
nell’ordinanza custodiale a tale aspetto si faccia riferimento, trattandosi di inciso
meramente descrittivo del contenuto della dichiarazione e non potendosi invece
ricavare da esso che tale riferimento abbia contribuito a rendere maggiormente
verosimile il narrato della denunciante, e quindi a giustificare la determinazione
cautelare, essendo questa esclusivamente fondata sulla restante parte della
dichiarazione, poi ritrattata, relativa al sequestro.

5. Il ricorso va pertanto rigettato, con la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 2/4/2014

anche che, data l’ontologica diversità del reato per il quale è stata ordinata la

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