Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19280 del 13/03/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 19280 Anno 2018
Presidente: MOGINI STEFANO
Relatore: BASSI ALESSANDRA

ORDINANZA
sui ricorsi proposti da:
URSO FRANCESCO nato il 19/11/1983 a PALERMO
PETITTO ANTONINO nato il 15/10/1987 a PALERMO
CARCIONE GIOVANNI nato il 10/05/1989 a PALERMO
CACCAMISI GIUSEPPE nato il 25/10/1973 a LICATA

avverso la sentenza del 09/06/2017 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere ALESSANDRA BASSI;

Data Udienza: 13/03/2018

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Francesco Urso, Giovanni Carcione, Giuseppe Caccamisi e Antonino Petitto ricorrono avverso
il provvedimento in epigrafe, con il quale la Corte d’appello di Palermo ha confermato
l’appellata sentenza del Tribunale di Palermo con cui essi sono stati condannati alla pena di
legge per i reati di resistenza e lesioni personali aggravate a pubblico ufficiale ed, il solo Urso,
di oltraggio a pubblico ufficiale.
2. L’unico motivo di ricorso proposto dal Carcione (col quale egli eccepisce la violazione di
legge per mancanza dell’elemento oggettivo e soggettivo dei reati di cui agli artt. 337 e 582

con specifico riguardo alla ricostruzione della vicenda ed al contributo da egli prestato,
congruamente motivato dai giudici della cognizione (v. sub paragrafo 7).
3. Analoghe considerazioni valgono per il ricorso del Petitto (col quale egli eccepisce la
mancanza e la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta integrazione dei
reati per difetto di elementi individualizzanti a suo carico), là dove l’impugnazione, oltre a
riprodurre le stesse deduzioni mosse in appello ed a non confrontarsi con la risposta data dalla
Corte territoriale, promuove uno scrutinio su aspetti di merito estranei al sindacato di
legittimità (v. sub paragrafo 7).
4. Al pari inammissibile è il ricorso proposto dal Caccamisi, che, col primo motivo, eccepisce la
mancanza e la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta integrazione dei
reati; col secondo motivo, deduce la violazione di legge in ordine alla denegata applicazione
delle circostanze attenuanti generiche.
4.1. Quanto alla prima deduzione, si tratta di doglianza non coltivabile in questa Sede, in
quanto tesa a sollecitare un controllo di pure merito.
4.2. Quanto alla seconda censura, va rimarcato che il riconoscimento delle circostanze
attenuanti generiche richiede la dimostrazione di elementi di segno positivo (Sez. 3, n. 19639
del 27/01/2012, Gallo e altri, Rv. 252900) che, nella specie, i giudici di merito hanno
correttamente ritenuto insussistenti, con argomentazioni adeguate e prive di vizi logici, alla
luce dei numerosi, gravi e reiterati precedenti penali nonché del fatto che la condotta veniva
posta in essere in stato di detenzione.
5. Inammissibile è, infine, anche il ricorso dell’Urso il quale, con i primi due motivi, ha
attaccato l’apparato motivazionale della sentenza con riguardo alla ritenuta integrazione dei
reati di resistenza e lesioni a pubblico ufficiale; con il terzo motivo, ha eccepito la violazione di
legge ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta integrazione del reato di oltraggio a
pubblico ufficiale per difetto del requisito della presenza di altre persone.
5.1. Per i primi due motivi, valgono le considerazioni già svolte in relazione alle altre posizioni,
trattandosi di doglianze che tendono ad una rivalutazione di aspetti di merito – quanto alla
ricostruzione dei fatti ed al coinvolgimento dell’imputato — eccentrici rispetto al sindacato di
questa Corte (v. sub paragrafo 7).

c.p.) si appalesa generico e comunque all’evidenza teso a sollecitare una rivalutazione in fatto,

5.2. Il Secondo motivo è generico perché reitera una doglianza già mossa in appello e non si
confronta con la risposta data dal Collegio del gravame che, con considerazioni ineccepibili in
‘diritto (nelle pagine 3 – 4 della sentenza impugnata), ha rilevato che il carcere è “luogo aperto
al pubblico” (Sez. 7, n. 21506 del 16/03/2017, Roman, Rv. 269781) e che, ai fini della
integrazione del reato, è sufficiente che le frasi oltraggiose siano potenzialmente percepibili da
altri soggetti (Sez. 6, n. 19010 del 28/03/2017, Trombetta, Rv. 269828).
6. Con riguardo a tutte le posizioni va rimarcato come la Corte territoriale abbia motivato la
conferma del giudizio di penale responsabilità, evidenziando – con solido ancoraggio alle

dibattimento) e con considerazioni conformi a logica – le ragioni che consentano di ritenere
provato il concorso di tutti gli imputati oggi ricorrenti nella rissa fra detenuti e nelle condotte di
resistenza e di lesioni poste in essere a seguire nei confronti dei pubblici ufficiali intervenuti a
riportare la normalità, in quanto individuati dai testi come quelli certamente coinvolti nelle
condotte criminose (v. pagine 2 – 4 della sentenza impugnata). Giusta la precisione, la
completezza e l’intima coerenza dell’iter argomentativo sviluppato dal Giudice del gravame in
sentenza non v’è spazio per uno scrutinio di questa Corte di legittimità, che deve limitarsi a
verificare la completezza e l’insussistenza di vizi logici ictu ()cui/ percepibili, senza possibilità di
valutare la rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (ex plurimis Sez. U, n.
47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074).
7. Quanto poi alle censure che riguardano il presunto travisamento delle prove, occorre
ribadire il consolidato principio di diritto secondo il quale, a fronte della duplice condanna in
primo ed in secondo grado (c.d. doppia conforme), il vizio di travisamento della prova,
desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo purché
specificamente indicati dal ricorrente, non può essere coltivato dinanzi a questa Corte, se non
nel caso in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di
gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice ovvero quando
entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze
probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini
inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze
di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 4, n.
44765 del 22/10/2013, Buonfine e altri, Rv. 256837).
8. Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna dei ricorrenti, oltre che al pagamento delle spese del procedimento, anche a
versare una somma, che si ritiene congruo determinare in 3.000,00 euro.
P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e
ciascuno al versamento della somma di euro 3.000 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 13 marzo 2018

DEPos,ITATA

emergenze processuali (segnatamente alle dichiarazioni rese dai testimoni assunti nel

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