Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19278 del 03/04/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 19278 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RAVASI MATTEO N. IL 14/03/1986
avverso la sentenza n. 2354/2010 CORTE APPELLO di MILANO, del
10/01/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 03/04/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. afbtio Ro rtAk o
che ha concluso per i
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Data Udienza: 03/04/2014

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza dell’8/10/2009 il Tribunale di Monza dichiarava Ravasi
Matteo responsabile del reato di guida in stato di ebbrezza alcolica (tasso
alcolemico rilevato pari a 1,8 g/I) commesso in data 11/5/2008 e, concesse le
attenuanti generiche, lo condannava alla pena di mesi tre di arresto ed euro
2.000,00 di ammenda (convertita nella sanzione pecuniaria complessiva di C
5.420,00), disponendo la sospensione della patente di guida per un anno.

questa sede ancora interessa: illegittima ammissione della richiesta di prova
testimoniale del pubblico ministero, in quanto tardiva; illegittimità e
inutilizzabilità dell’esame ematico in assenza del preventivo consenso
dell’indagato e al di fuori di finalità curative terapeutiche; inutilizzabilità del
verbale di accertamenti tecnici urgenti dell’11/5/2008 – la Corte d’appello di
Milano, con sentenza del 10/1/2013, in parziale riforma della sentenza,
concedeva all’imputato il beneficio della non menzione della condanna,
confermando nel resto la pronuncia di primo grado.

2.

Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il difensore

dell’imputato, sulla base di cinque motivi.

2.1. Con i primi due motivi deduce inosservanza di norme processuali
stabilite a pena di nullità, nonché vizio di motivazione, in relazione al rigetto del
motivo di gravame con cui si contestava la legittimità dell’ammissione, da parte
del giudice di primo grado, della prova orale avanzata dal pubblico ministero.

2.1.1. In particolare, con il primo motivo, il ricorrente, con riferimento al
primo dei due rilievi posti a base della propria eccezione, rileva che l’assunto
sulla base del quale essa è stata disattesa dalla Corte d’appello – secondo cui nel
caso di specie la lista testimoniale del PM, integrata con l’indicazione dei
nominativi dei testi, era stata depositata tempestivamente, prima dell’udienza
deputata all’effettiva trattazione del processo (quella del 23/6/2009), essendo
quella precedente del 12/5/2009 di mero smistamento – è destituito di
fondamento in punto di fatto, dal momento che l’udienza celebrata il 12/5/2009
non fu di mero smistamento, ma in essa furono affrontate questioni preliminari
all’esito delle quali il Tribunale autorizzò le parti alla citazione dei testimoni per
l’udienza successivamente fissata, da ciò potendosi desumere che, lungi dal
potersi discorrere di rinvio a nuovo ruolo, il differimento fu disposto proprio per
l’apertura del dibattimento.
2

Interposto appello dall’imputato – che deduceva tra l’altro, per quel che in

2.1.2. Con il secondo connesso motivo rileva che in modo illogico e
irrazionale, oltre che erroneo, la Corte d’appello ha ritenuto rispettato l’onere di
specifica indicazione delle circostanze poste ad oggetto dell’esame testimoniale
con il mero rinvio ai «fatti di cui all’imputazione».
Posto che la rubrica si limita a descrivere il fatto contestato con
l’affermazione che l’imputato «si poneva alla guida … in stato di ebbrezza»,
evidenzia che i testi del pubblico ministero sono stati sentiti su altre circostanze,
ossia principalmente sui rilievi eseguiti dagli operanti successivamente al sinistro

tutte successive ai fatti indicati nel capo di imputazione e non evincibili
immediatamente ed esplicitamente dallo stesso.

2.2. Con il terzo e quarto motivo deduce inosservanza di norme processuali
e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta legittimità dell’acquisizione
dell’eseguito esame ematico, in mancanza di consenso dell’imputato.
Posto che tale eccezione è stata disattesa dalla Corte d’appello sulla base del
rilievo che il verbale relativo all’accertamento in questione contiene la specifica
avvertenza all’interessato di farsi assistere da difensore di fiducia e la sua
sottoscrizione e che da ciò può evincersi «la consapevolezza del destinatario in
ordine alla tipologia degli accertamenti richiesti, da effettuarsi presso la struttura
ospedaliera, e l’adesione prestata al relativo compimento», ne deduce il vizio per
travisamento di prova, atteso che tale verbale non riporta alcun consenso
prestato dal Ravasi, né, prima ancora, che egli sia stato invitato a sottoporsi ad
un prelievo ematico.
Soggiunge che parimenti erroneo è il sussidiario argomento utilizzato in
sentenza, secondo cui la mancanza del consenso resterebbe comunque
irrilevante trattandosi di prelievo ematico effettuato secondo i normali protocolli
medici di pronto soccorso, non risultando che il prelievo sia stato effettuato per
scopi clinici ma piuttosto potendosi desumere dalle prove testimoniali assunte

occorso all’imputato, nonché sui protocolli successivamente attivati: circostanze

che il prelievo fu effettuato solo in ragione della richiesta dei carabinieri.
Di conseguenza, con il quarto motivo si duole del rigetto dei motivi di
gravame proposti in punto di inutilizzabilità del verbale di accertamenti urgenti,
insufficienza della prova desumibile dal dato sintomatico, negata ammissione
all’istituto dell’oblazione, essendo tale rigetto esclusivamente motivato dal
ritenuto carattere assorbente dei precedenti passaggi motivazionali.

2.3. Con il quinto motivo deduce violazione di legge in ordine al rigetto della
richiesta di sostituzione della pena con quella del lavoro di pubblica utilità in
quanto motivato con la considerazione, contrastante con le stesse indicazioni
3

I

desumibili dal testo normativo, secondo cui tale richiesta non poteva essere
accolta perché generica e non corredata da alcuna indicazione utile sull’ente
presso il quale prestare l’attività e da una rappresentazione programmatica
dell’attività stessa e del relativo svolgimento.

3.

Il ricorrente ha depositato in data 17/3/2014 memoria difensiva

contenente motivi indicati come nuovi ma in realtà sostanzialmente
sovrapponibili rispettivamente al terzo, al quarto e al quinto motivo di ricorso

ematico finalizzato all’accertamento del tasso alcolemico nel sangue, alla
inerenza del prelievo effettuato a normali protocolli medici giustificati dal trauma
subito e alla mancata concessione della sanzione sostitutiva del lavoro di
pubblica utilità).

Considerato in diritto

4.

I primi due motivi di ricorso, congiuntamente esaminabili, sono

manifestamente infondati.

4.1. Non è dubbio che nella specie, come può ricavarsi dall’esame del
verbale (cui questa Corte può direttamente accedere trattandosi di asserito vizio
in procedendo), alla prima udienza fissata nel decreto di citazione a giudizio il
rinvio fu disposto prima della formale apertura del dibattimento.
Tanto vale a rendere pertinente e giustificato il richiamo, da parte del
giudice d’appello, a confutazione dell’eccezione di tardività del deposito della lista
testimoniale da parte del PM, alla giurisprudenza incontrastata di questa
Suprema Corte, secondo la quale

«in caso di rinvio dell’udienza prima

dell’apertura del dibattimento, le parti conservano la facoltà di presentare la lista
testi fino a sette giorni prima della data fissata per la nuova udienza» (v. ex alíis
Sez. 6, n. 23753 del 20/04/2004, Grandi, Rv. 229138).

4.2. Né importa nullità della richiesta, l’indicazione, ad oggetto della prova
testimoniale, dei «fatti di cui in imputazione».
Anche in tal caso è sufficiente il richiamo a pacifico indirizzo di questa
Suprema Corte secondo il quale

«in tema di lista testimoniale, l’onere

dell’indicazione delle circostanze di esame è soddisfatto anche con il semplice
riferimento ai “fatti del processo” a condizione che si versi nell’ipotesi di un’unica
contestazione di reato per fatti storicamente semplici, non valendo invece ciò
ove la vicenda processuale sia complessa, gli imputati siano più di uno e
4

sopra sintetizzati (in merito alla contestata sussistenza di un consenso al prelievo

molteplici siano i capi di imputazione» (v. Sez. 3, n. 32530 del 06/05/2010, H. e
altri, Rv. 248221).
Nessuna di tali condizioni ostative (complessità della fattispecie, pluralità di
imputati, molteplicità dei capi di imputazione) all’evidenza sussiste nel caso in
esame, né può rilevare che la questione maggiormente controversa riguardasse
le modalità di accertamento del tasso alcolemico, trattandosi di tema
strettamente correlato e strumentale all’ipotesi formulata nel capo di
imputazione e, quindi, certamente implicito nel riferimento ad esso come oggetto

sia stato più che sufficiente a porre in grado l’imputato di comprendere appieno
la portata e il contenuto della richiesta istruttoria.

5. Sono altresì manifestamente infondati il terzo e il quarto motivo di
ricorso, anch’essi congiuntamente esaminabili.

5.1. Secondo principio pacificamente affermato nella giurisprudenza di
questa Suprema Corte «i risultati del prelievo ematico effettuato per le terapie di
pronto soccorso successive ad incidente stradale, e non preordinate a fini di
prova della responsabilità penale, sono utilizzabili per l’accertamento del reato
contravvenzionale di guida in stato di ebbrezza, senza che rilevi l’assenza di
consenso dell’interessato» (così e pluribus Sez. 4, n. 22599 del 13/05/2005,
Romano, Rv. 231976; Sez. 4, n. 10286 del 04/11/2008 – dep. 06/03/2009,
Esposito, Rv. 242769; Sez. 4, n. 26108 del 16/05/2012, Pesaresi, Rv. 253596).
Nella specie, dalle sentenze di merito di primo e secondo grado – tra di loro
integrabili per il noto principio della c.d.

doppia conforme

si trae

l’accertamento, in punto di fatto, che l’ospedale ha proceduto al prelievo ematico
nella persona dell’odierno ricorrente in quanto trasportato al pronto soccorso
all’esito di incidente stradale nel quale era rimasto coinvolto, nell’ambito dei
controlli di routine e indipendentemente dalla pure accertata richiesta della
polizia finalizzata alla ricerca di presenza di tracce di alcol o droga nel sangue
dell’imputato.
Gli elementi istruttori sulla base dei quali la Corte d’appello giunge a tale
convincimento risultano specificamente indicati e oggetto di valutazione lineare e
coerente, a fronte della quale le pur diffuse contestazioni svolte dal ricorrente si
palesano inammissibilmente mirate a prospettare una mera diversa valutazione,
non essendo in grado invece di evidenziare elementi oggettivi e univoci, capaci di
disarticolare il diverso ragionamento seguito dai giudici di merito e manifestarne
una intrinseca evidente illogicità o contraddittorietà.

5

di prova testimoniale, tale dunque da non potersi dubitare che tale riferimento

5.2. Non mette conto sul punto ulteriormente dilungarsi, apparendo
comunque assorbente il rilievo per cui, anche al di là del caso di cui sopra si è
detto, in cui l’utilizzabilità del prelievo ematico deriva dall’essere stato esso
eseguito nell’ambito di un protocollo medico di pronto soccorso, il prelievo
eseguito nell’ambito di una struttura sanitaria su richiesta degli organi di
indagine finalizzata all’accertamento della presenza di alcol o droga nel sangue
dell’imputato è inutilizzabile solo in presenza di un espresso dissenso e non
invece ove l’imputato, debitamente informato delle finalità dell’accertamento,

essendo dalla norma (art. 186, comma 7, cod. strada) richiesto un espresso
consenso, ma piuttosto essendo valorizzato come elemento ostativo
all’accertamento il «rifiuto» dell’indagato, termine con il quale lessicalmente si
sottintende una espressa manifestazione di dissenso [v. in tal senso Sez. 4, n.
6755 del 06/11/2012 – dep. 11/02/2013, Guardabascio, Rv. 254931, ove si
rileva che «gli organi di P.G. possono richiedere ai sanitari l’effettuazione del
prelievo ematico e, quindi, dell’accertamento del tasso alcolemico, ancorché gli
stessi non abbiano ritenuto necessario di sottoporre l’interessato a cure mediche,
deducendo il consenso di quest’ultimo, ovviamente previa informazione al
medesimo della finalità per cui è effettuato il prelievo ematico (trattasi pur
sempre di un consenso informato) anche da un atteggiamento positivo, sebbene
verbalmente non espresso; altrimenti, se si richiede “il consenso dell’interessato”
è ovvio che esso debba essere espresso, cioè non ricavabile da suoi
atteggiamenti. La scelta del Collegio di ritenere che, per l’utilizzabilità
processuale dell’accertamento del tasso alcoolemico, acquisito con le modalità
descritte, non ci debba essere “il dissenso …

[recte: consenso] … espresso

dell’interessato”, deriva dalla lettura dell’art. 186 C.d.S., comma 7 laddove il
legislatore ha specificamente utilizzato il termine “rifiuto” da parte del
conducente, con riferimento all’accertamento del tasso alcoolemico (anche con
riguardo al comma 5 dello stesso articolo), il significato lessicale di tale
sostantivo di opporsi espressamente (con qualsiasi modalità, ovverosia verbale e
non) ad una richiesta di fare o subire un qualche cosa (consenso informato) è
incontrovertibile …», soggiungendosi peraltro subito dopo che

«alla luce di

un’interpretazione sistematica della norma … anche in questo caso l’espresso
dissenso (rifiuto) del conducente all’effettuazione dell’accertamento alcoolemico,
richiesto dagli organi di P.G. ai sanitari, al di fuori dei presupposti illustrati, di cui
al comma 5, consente l’applicazione della disposizione del richiamato comma 7»;
conf. Sez. 4, n. 19567 del 03/04/2013, Filomia, non mass.].
Nella specie, benché il ricorrente contesti di essere stato informato delle
finalità del prelievo, deve rilevarsi che sul punto la sentenza impugnata offre
6

ometta di esprimere, pur essendo in grado di farlo, il proprio consenso, non

adeguata motivazione del contrario convincimento, evidenziandosi in particolare
che «dal complessivo contenuto dell’atto, così come formato e sottoscritto, può
evincersi la consapevolezza del destinatario in ordine alla tipologia degli
accertamenti richiesti, da effettuarsi presso la struttura ospedaliera, e l’adesione
prestata al relativo compimento, nel momento in cui il verbale, caratterizzato dal
tenore predetto, nonché corredato dalle prescritte informazioni e garanzie, è
stato firmato dall’odierno imputato».

Anche in tal caso trattasi di motivazione dotata di indubbia coerenza e

non sono in grado di evidenziare aspetti di oggettiva e univoca contraddittorietà,
risolvendosi piuttosto le stesse nella mera inammissibile prospettazione di una
diversa valutazione degli elementi di prova.

6. È infine manifestamente infondato anche il quinto motivo.
Come questa Corte ha già avuto modo di precisare, l’applicazione del lavoro
di pubblica utilità – anche per gli ulteriori effetti che derivano in caso di esito
positivo del suo svolgimento – può risolversi in una disposizione di favore per il
reo e, in quanto tale, ben può quindi trovare applicazione, ai sensi dell’art. 2,
comma 4, cod. pen., anche in relazione a fatti commessi sotto il vigore della
previgente disciplina, ove non definiti con sentenza irrevocabile (così Sez. 4, n.
11198 del 17/01/2012 – dep. 22/03/2012, Ghibaudo, Rv. 252170).
L’apprezzamento del carattere più favorevole di una disciplina normativa
deve tuttavia essere formulato – in virtù dei principi generali costantemente
ribaditi al riguardo nella giurisprudenza di legittimità – considerando la stessa nel
suo complesso: una volta individuata la disposizione globalmente ritenuta più
favorevole, il giudice deve applicare questa nella sua integralità, non potendo
combinare un frammento normativo di una legge e un frammento normativo
dell’altra legge secondo il criterio del favor rei, perché in tal modo verrebbe ad
applicare una tertia lex di carattere intertemporale non prevista dal legislatore,
violando così il principio di legalità (v. ex plurimis, Sez. 4, n. 41702 del
20/09/2004, Nuciforo, Rv. 230275).
Di tal che, e per quel che qui interessa, il giudice, laddove ritenga di
accedere alla richiesta di applicazione del lavoro di pubblica utilità ritenendo in
concreto più favorevole la legge 29 luglio 2010, n. 120, che tale sanzione
sostitutiva ha introdotto, deve avere riguardo, per i limiti edittali della pena da
sostituire, alla qualificazione del fatto commesso dall’imputato ed alla relativa
forbice sanzionatoria stabilita con detta legge.
Orbene, la legge n. 120 del 2010 ha stabilito, per l’ipotesi di cui art. 186,
comma 2, lett. c), cod. strada – per la quale il Ravasi è stato condannato 7

linearità argomentativa, rispetto alle quali le contestazioni mosse dal ricorrente

differenti parametri edittali per la pena detentiva (arresto da sei mesi ad un
anno), rispetto a quelli precedentemente in vigore (arresto da tre mesi ad un
anno), lasciando immutata la pena pecuniaria dell’ammenda da euro 1.500,00 ad
euro 6.000,00 (peraltro già così aumentata, rispetto a quella precedente, con
l’intervento del legislatore del 2007): al momento del fatto contestato al Ravasi
era in vigore la forbice edittale dell’arresto fino a sei mesi e dell’ammenda da
euro 1.500,00 ad euro 6.000,00, trattandosi di fatto avvenuto l’11 maggio 2008
e quindi anche prima dell’entrata in vigore del D.L. 23 maggio 2008, n. 92 (poi

quella dell’arresto da tre mesi ad un anno.
Dunque, se ritenuto più favorevole in concreto, il novum normativo di cui
alla novella del 2010 avrebbe dovuto essere applicato al Ravasi nella sua
integralità con conseguente applicazione anche del nuovo trattamento
sanzionatorio, come più volte precisato nella giurisprudenza di legittimità, e, con
specifico riferimento proprio alla legge n. 120 del 2010, da questa stessa Sezione
(v., ex plurimis, Sez. 4, n. 4927 del 02/02/2012, Ambrosi, Rv. 251956; Sez. 4,

n. 11198/12, già sopra citata quanto all’applicabilità della nuovo disciplina a fatti
commessi anteriormente alla novella del 2010).
Nel caso in esame è decisivo considerare che con la sentenza di primo grado
l’imputato è stato condannato, per il reato di cui all’art. 186, comma 2, lett. c),
cod. strada, oltre alla pena pecuniaria di euro 2.000,00 di ammenda, alla pena
detentiva di mesi tre di arresto secondo la più favorevole previsione normativa in
vigore al momento del fatto (mentre, come detto, la legge n. 120 del 2010 ha
stabilito la pena dell’arresto da sei mesi ad un anno).
Nel silenzio dell’imputato, il quale non ha espresso la volontà della
sostituzione del lavoro di pubblica utilità di una pena commisurata ai nuovi
parametri sanzionatori, deve ritenersi che l’imputato stesso intendesse
evidentemente usufruire del lavoro di pubblica utilità – introdotto con la legge n.
120 del 2010 ed in relazione ad una forbice edittale più severa, quanto alla pena
detentiva, rispetto a quella precedentemente in vigore – in sostituzione della
pena inflittagli con riferimento alla più favorevole forbice edittale della pena
detentiva previgente: il che, per le ragioni dianzi esposte, non è consentito.
Mette conto sottolineare che, secondo la disciplina introdotta con la legge n.
120 del 2010, nel caso di esito negativo del lavoro di pubblica utilità, e con
riferimento al reato di cui all’art. 186, comma 2, lett. c), cod. strada (quello cioè
contestato al Ravasi), il condannato deve scontare la pena secondo il parametro
stabilito dalla stessa legge; di tal che, applicando invece il più favorevole
parametro sanzionatorio della legge in vigore al momento del fatto, che però non
contemplava il lavoro di pubblica utilità, ne deriverebbe per il condannato un
8

convertito dalla L. 24 luglio 2008, n. 125) che aveva fissato la pena detentiva in

ingiustificato vantaggio dovendo egli scontare una più mite pena detentiva
rispetto a quella minima cui il legislatore ha inteso rapportare (per quella
specifica ipotesi di reato), con la novella del 2010, il lavoro di pubblica utilità: ed
in tal modo si finirebbe con l’applicare, appunto, quella tertia lex di carattere
intertemporale non prevista dal legislatore, con conseguente violazione del
principio di legalità.

7. La declaratoria di inammissibilità – che consegue al riscontro della

prescrizione maturata successivamente alla sentenza impugnata.
La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, più volte chiarito che
l’inammissibilità del ricorso per cassazione «non consente il formarsi di un valido
rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e
dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’alt. 129 cod. proc. pen.» (Sez.

U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, rv. 217266: nella specie, l’inammissibilità del
ricorso era dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi, e la prescrizione del
reato era maturata successivamente alla data della sentenza impugnata con il
ricorso; conf. Sez. U, n. 19601 del 28/02/2008, Niccoli, rv. 239400).

8. Discende dal detto esito, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché apparendo evidente che esso ha proposto il ricorso determinando la causa di
inammissibilità per colpa (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) e tenuto conto
della rilevante entità di detta colpa – della somma di euro 1.000,00 in favore
della Cassa delle Ammende a titolo di sanzione pecuniaria.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della cassa delle
ammende…
Così deciso il 03/04/2014

manifesta infondatezza dei motivi tutti di ricorso – impedisce di rilevare la

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