Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19276 del 27/03/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 19276 Anno 2015
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: FUMO MAURIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PIZZIGA MARCO N. IL 21/09/1968
avverso la sentenza n. 875/2011 CORTE APPELLO di VENEZIA, del
04/03/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/03/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MAURIZIO FUMO
U

che ha concluso per

Udito, per la rte civile, l’Avv
Uditi dif sor Avv.

Data Udienza: 27/03/2015

Udito il PG in persona del sost. proc. gen. dott. O. Cedrangolo, il quale ha concluso chiedendo
dichiarasi inammissibile il ricorso,

1.Con la sentenza di cui in epigrafe, la corte di appello di Venezia ha confermato la
sentenza di primo grado con la quale Pizziga Marco fu condannato alla pena di anni tre e
mesi sei di reclusione, oltre al risarcimento danni in favore della parte civile, Gervasi Luigi, in
quanto riconosciuto colpevole di lesioni aggravate (artt. 582-583 comma primo n. 1 cp), dalle
quali derivò una malattia per un tempo superiore a 40 giorni. In solido con l’imputato fu
condannato il responsabile civile, BAGNI CONCHIGLIA snc.
Si legge in sentenza che il Pizziga, in qualità di buttafuori di un locale notturno, raggiunse e
colpì con un pugno e con calci il Gervasi, che tentava di allontanarsi senza aver pagato le
consumazioni.
2.Ricorre per cassazione, tramite il difensore. Il solo imputato e deduce violazione di
legge per mancata applicazione delle attenuanti di cui all’articolo 62 nn. 2 e 5, e per non
corretta applicazione dell’articolo 133 cp, nonché mancanza, contraddittorietà, illogicità della
motivazione.
2.1.Invero, erroneamente è stata disconosciuta la concorrenza della attenuante della
provocazione, atteso che – con tutta evidenza – l’imputato sì trovò in stato d’ira derivate dal
fatto ingiusto altrui, vale a dire il tentativo della persona offesa dì sottrarsi al pagamento delle
consumazioni. Ciò avrebbe anche comportato un danno diretto nei confronti dell’imputato, in
quanto l’importo delle consumazioni evase sarebbe stato, come da contratto, detratto dal
compenso dovuto ai cosiddetti buttafuori. Pizziga percepì chiaramente l’intento del Gervasi di
prendersi gioco di lui e dunque, alterato anche per tale ragione, reagì nella maniera che gli
sembrò più adeguata alla situazione. La persona offesa venne colpita nel momento in cui stava
uscendo dal recinto del locale e, evidentemente, quella era l’unica maniera per poterla
bloccare. Erra la corte quando esclude la sussistenza dell’attenuante in questione, invocando la
sproporzione tra l’atto di provocazione e la reazione, atteso che di tale sproporzione non vi è
alcuna traccia nel dettato normativo
2.2.Non può poi disconoscersi che alla causazione dell’evento abbia anche concorso la
condotta della persona offesa. Ricorre dunque l’attenuante sopra ricordata (art. 62 n. 5 cp),
rilevabile d’ufficio anche in sede di appello. Se Gervasi non avesse tentato di allontanarsi
furtivamente, senza aver pagato le consumazioni, certamente l’imputato non avrebbe reagito
aggredendolo. Non può infatti esservi dubbio che l’unica causa di tale aggressione sia stato il
comportamento scorretto della vittima, comportamento che ha innescato la reazione del
Pizziga. Con riferimento alla sussistenza della attenuante in questione, si fronteggiano in
dottrina e giurisprudenza due diversi orientamenti ma è certamente preferibile quello che
ritiene che non sia necessario che la vittima abbia voluto l’evento dannoso, essendo sufficiente
il comportamento doloso di costui, che sia tale da costituire una concausa efficiente del reato.
Diversamente ragionando, non si avrebbe mai la sussistenza dell’attenuante de qua.
2.3.In considerazione poi della condotta della persona offesa e del danno economico che
detta condotta avrebbe causato all’imputato, sarebbe stato necessario individuare un
trattamento sanzionatorio meno severo. D’altra parte, lo stesso giudice di primo grado ebbe a
scrivere che era necessario contenere nel minimo, tanto la pena edittale, quanto l’aumento per
la recidiva. Tuttavia il tribunale, probabilmente per una svista, non ha dato seguito a tale
affermazione di principio, avendo quantificato la pena in anni tre e mesi sei di reclusione.
Invero, se avesse voluto essere coerente, applicando il comma quarto dell’articolo 63 cp, la
circostanza di cui all’articolo 583 comma primo cp avrebbe dovuto essere ritenuta più grave
della recidiva e la sanzione avrebbe dovuto essere quella di anni tre (al massimo anni tre e
giorni uno) di reclusione. La corte d’appello, investita della richiesta di applicazione del minimo
edittale, non ha corretto, sul punto, la sentenza di primo grado, pur essendo evidente l’errore
materiale nel quale era incorso il tribunale.

i?

RITENUTO IN FATTO

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è infondato e merita rigetto. Il ricorrente va condannato alle spese del

2.Non è esatto che il requisito della proporzionalità sia estraneo alla valutazione circa la
sussistenza dell’aggravante della provocazione. Invero è stato ritenuto da questa corte (cfr.
ASN 20100469- RV 248375 + ASN 200224693-RV 228861 e numerosi precedenti) che la
circostanza attenuante della provocazione di cui all’art. 62 n. 2 cp non ricorre ogni qualvolta la
sproporzione fra il fatto ingiusto altrui ed il reato commesso sia talmente grave e
macroscopica da escludere o lo stato d’ira, ovvero il nesso causale fra il fatto ingiusto e l’ira,
pur non costituendo il concetto di adeguatezza e proporzione connotato esplicito della
circostanza attenuante medesima.
2.1.Nel caso in esame, come si legge in sentenza e come lo stesso ricorrente non nega,
Pizziga, dopo aver “atterrato” con un violento (e proditorio, perché sferrato alle spalle) pugno il
Gervasi, non arrestò la sua aggressione, ma continuò a colpire con calci lo sfortunato
avventore del locale notturno. Se dunque anche fosse vero che l’imputato aveva
semplicemente l’intenzione di impedire “la fuga” della persona offesa, costituirebbe un di più,
assolutamente ingiustificabile, l’essersi il Pizziga accanito sul corpo – ormai inerte – del Gervasi.
2.2.La corte d’appello, peraltro, sostiene che l’attenuante della provocazione è da
escludere in radice, in quanto le mansioni dell’imputato, in quanto buttafuori, comprendevano
il compito di controllare che le cose si svolgessero regolarmente nel locale e, dunque, anche di
impedire che qualcuno si allontanasse senza aver pagato il conto. Di talché l’eventuale
tentativo di “farla franca” da parte di qualche cliente era da annoverarsi tra le azioni illegali,
che proprio la presenza dei buttafuori doveva scongiurare. Il ragionamento non è privo di sua
coerenza logica, in quanto è, ad esempio, evidente che il poliziotto che interviene per arrestare
il ladro non è certo autorizzato a usare violenza immotivatamente contro costui, per il solo
fatto che quest’ultimo, avendo rubato, ha tenuto un comportamento antigiuridico, che,
nell’ottica del ricorso in trattazione costituirebbe eo ipso una provocazione. L’assunto è
talmente paradossale, da essere – esso stesso – provocatorio.
2.3.D’altra parte, basta comparare la condotta dell’imputato a quello dell’altro
buttafuori, Moro Fabio, il quale riuscì a bloccare, non uno, ma due clienti, che, a loro volta,
tentavano di allontanarsi senza aver pagato le consumazioni, ma che fece ciò senza causare
alcun danno ai due predetti.
3.Quanto all’attenuante di cui all’articolo 62 n. 5 cp, è evidente che nel ricorso si
confonde la causazione dell’evento con l’occasione della condotta. L’evento nel reato di lesioni
è la malattia. Orbene la condotta contra jus tenuta da Gervasi scatenò la incontrollata,
sproporzionata e criminosa reazione dell’imputato ed, in questo senso, Gervasi concorse a
determinare – secondo la nota teoria della conditio sine qua non -l’aggressione subita, ma
certamente Gervasi non volle causare lesioni a se stesso. Invero, l’attenuante di cui all’art.
62 n. 5 cp, richiedendo la sussistenza del fatto doloso della persona offesa, rinvia, per la
nozione del dolo, al precedente art. 43 e quindi presuppone che la persona offesa preveda e
voglia l’evento dannoso come conseguenza della propria cooperazione attiva o passiva al fatto
delittuoso dell’agente (ASN 201029938-RV 1248021).
3.1.Ma appunto di cooperazione nella condotta penalmente rilevante dell’imputato si
deve parlare e non di un atto che ponga in essere un semplice antefatto di tale condotta.
3.2.Diversannente ragionando, ogniqualvolta ricorra l’estremo della provocazione da
parte della vittima del reato, per ciò solo, ricorrerebbe anche l’attenuante di cui all’articolo 62
n. 5 cp, che dunque sempre si accompagnerebbe quella di cui al n. 2 del medesimo articolo. Il
che, ad evidenza, non è.
4.Quanto alla pretesa violazione dell’articolo 133 cp, basta ricordare ciò che si legge ai
foll. 7-8 della sentenza di appello, sia per quel che riguarda l’esclusione delle attenuanti
generiche, sia per quel che riguarda in concreto la determinazione della pena. Vi è stata
dunque una completa rivalutazione da parte del giudice di secondo grado, il quale ha tenuto
presente, come evidenziato letteralmente, anche i precedenti specifici gravanti sull’imputato,
giungendo alla conclusione che il trattamento sanzionatorio deciso in primo grado appariva

grado.

congruo “rispetto alla disvalore del fatto e alla spiccata inclinazione dell’imputato al ricorso ad
atti di violenza”.
PQM

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Così deciso in Roma in data 27 marzo 2015.-

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