Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19273 del 02/04/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 19273 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Petracca Giovanni n. il 23.10.1959
avverso la sentenza n. 57/2012 pronunciata dalla Corte d’appello di
Lecce, sezione distaccata di Taranto, il 29.1.2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell’udienza pubblica del 2.4.2014 la relazione fatta dal Cons.
dott. Marco Dell’Utri;
udito il Procuratore Generale, in persona del dott. A. Di Popolo, che
ha concluso per l’annullamento senza rinvio per prescrizione.

Data Udienza: 02/04/2014

Ritenuto in fatto
i. – Con sentenza resa in data 23.5.2011, il tribunale di Taranto, sezione distaccata di Grottaglie, ha condannato Giovanni Petracca
alla pena di otto mesi di reclusione, oltre al risarcimento del danno in
favore delle parti civili costituite, in relazione al reato di omicidio
colposo commesso, in violazione della disciplina sull’esercizio della
professione medica, ai danni di Katia Papadia, in Grottaglie il
12.1.2005.
In particolare al Petracca, in qualità di medico chirurgo in servizio presso il reparto dell’ospedale San Marco di Grottaglie, era stata
contestata la violazione dei tradizionali parametri della colpa generica consistita nel non comprendere la gravità del quadro patologico
presentato dalla paziente, così ritardando l’intervento chirurgico indispensabile a porre rimedio alla patologia dalla stessa sofferta,
con la conseguente provocazione dell’aggravamento delle relative
condizioni che la conducevano al decesso per arresto cardiocircolatorio secondario a perforazione del retto sigma e shock settico per perforazione da rettocolite ulcerosa.
Con sentenza resa in data 29.1.2013, la corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, previa eliminazione delle statuizioni
civili (in ragione dell’intervenuta revoca della costituzione delle parti
civili), ha confermato la condanna penale pronunciata dal primo giudice.
Avverso la sentenza d’appello, a mezzo del proprio difensore,
ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, deducendo la nullità
della pronuncia impugnata per vizio di motivazione, avendo la corte
territoriale erroneamente riscontrato il ricorso di un colpevole comportamento del Petracca nella gestione della vicenda oggetto di giudizio a dispetto del contenuto delle risultanze dibattimentali, e per aver
accertato l’esistenza di un nesso di causalità tra la condotta dell’imputato e il decesso della persona offesa in violazione dei principi di
diritto sul punto costantemente seguiti dalla giurisprudenza di legittimità.
Considerato in diritto
2. – Osserva preliminarmente la Corte che il reato per il quale
l’imputato è stato tratto a giudizio è prescritto, trattandosi di

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un’ipotesi di omicidio colposo commesso, nell’esercizio della professione medica, alla data del 12.1.2005.
Al riguardo, rilevato che il ricorso proposto non appare manifestamente infondato, né risulta affetto da profili d’inammissibilità di
altra natura, occorre sottolineare, in conformità all’insegnamento ripetutamente impartito da questa Corte, come, in presenza di una
causa estintiva del reato, l’obbligo del giudice di pronunciare
l’assoluzione dell’imputato per motivi attinenti al merito si riscontri
nel solo caso in cui gli elementi rilevatori dell’insussistenza del fatto,
ovvero della sua non attribuibilità penale all’imputato, emergano in
modo incontrovertibile, tanto che la relativa valutazione, da parte del
giudice, sia assimilabile più al compimento di una ‘constatazione’,
che a un atto di ‘apprezzamento’ e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (v. Cass., n.
35490/2009, Rv. 244274).
E invero il concetto di ‘evidenza’, richiesto dal secondo comma
dell’art. 129 c.p.p., presuppone la manifestazione di una verità processuale così chiara e obiettiva, da rendere superflua ogni dimostrazione, concretizzandosi così in qualcosa di più di quanto la legge richiede per l’assoluzione ampia, oltre la correlazione a un accertamento immediato (cfr. Cass., n. 31463/2004, Rv. 229275).
Da ciò discende che, una volta sopraggiunta la prescrizione del
reato, al fine di pervenire al proscioglimento nel merito dell’imputato
occorre applicare il principio di diritto secondo cui ‘positivamente’
deve emergere dagli atti processuali, senza necessità di ulteriore accertamento, l’estraneità dell’imputato a quanto allo stesso contestato,
e ciò nel senso che si evidenzi l’assoluta assenza della prova di colpevolezza di quello, ovvero la prova positiva della sua innocenza, non
rilevando l’eventuale mera contraddittorietà o insufficienza della
prova che richiede il compimento di un apprezzamento ponderato tra
opposte risultanze (v. Cass., n. 26008/2007, Rv. 237263).
Tanto deve ritenersi non riscontrabile nel caso di specie, in cui
questa Corte – anche tenendo conto degli elementi evidenziati nelle
motivazioni delle sentenze di merito – non ravvisa alcuna delle ipotesi
sussumibili nel quadro delle previsioni di cui al secondo comma
dell’art. 129 c.p.p..

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Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, annulla la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 2.4.2014.

Ne discende che, ai sensi del richiamato art. 129 c.p.p., la sentenza impugnata va annullata senza rinvio per essere il reato contestato estinto per prescrizione.

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