Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19268 del 24/03/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 19268 Anno 2015
Presidente: NAPPI ANIELLO
Relatore: PISTORELLI LUCA

SENTENZA

sui ricorsi proposti dai difensori di:
Luserta Luigi, nato a Caserta, il 30/9/1945;
Cicotti Diego, nato a Napoli, il 2/11/1956;

avverso la sentenza del 14/3/2013 della Corte d’appello di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Francesco Iacoviello, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio della sentenza
impugnata perché il fatto non sussiste;
uditi per gli imputati gli avv.ti Claudio Sgambato, Luciano Costanzo e Alberto Barletta,
che hanno concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi proposti nell’interesse dei
rispettivi assistiti.
RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 24/03/2015

1.Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Napoli, in parziale riforma della
pronunzia di primo grado che aveva assolto gli imputati da tutti gli addebiti a seguito di
giudizio abbreviato e su appello del pubblico ministero, dichiarava non doversi
procedere nei confronti di Luserta Luigi e Cicotta Diego per intervenuta prescrizione
limitatamente ai reati di falso ideologico in atto pubblico e abuso d’ufficio
specificamente indicati in dispositivo, confermando nel resto le statuizioni del
provvedimento impugnato. La vicenda processuale, per quanto ancora di interesse, ha

aver ottenuto, con la complicità di pubblici funzionari compiacenti, il rilascio di
autorizzazioni per lo sfruttamento di alcune cave a seguito della produzione di
documentazione falsamente attestante l’esistenza dei presupposti di fatto per
l’adozione dei menzionati provvedimenti ovvero in assenza dei medesimi presupposti.
In realtà la Corte territoriale ha ritenuto

2. Avverso la sentenza ricorrono entrambi gli imputati a mezzi dei rispettivi difensori.
2.1 Il ricorso proposto nell’interesse del Luserta articola due motivi. Con il primo viene
dedotta violazione di legge in merito alla riforma del verdetto assolutorio di primo
grado sulla base del principio per cui essendo lo stesso stato pronunziato con
riferimento ad una situazione di mera insufficienza della prova, a fronte della
maturazione della causa estintiva non sarebbe possibile addivenire all’applicazione del
secondo comma dell’art. 129 c.p.p., né procedere agli eventualmente ipotizzabili
approfondimenti probatori necessari a risolvere la situazione di incertezza probatoria
posta dal primo giudice a fondamento dell’assoluzione. Con il secondo motivo il
ricorrente lamenta errata applicazione della legge penale, violazione di legge e correlati
vizi della motivazione. In tal senso viene evidenziato come la supposta irregolarità delle
autorizzazioni per mancata specificazione nelle domande di esercizio delle particelle
interessate dall’attività di estrazione non sussista in quanto tale indicazione non è stata
mai richiesta dalle diverse normative succedutesi nel tempo a disciplina della materia,
nonché come gli OSE (e cioè gli ordini di servizio per l’impiego degli esplosivi
nell’attività di cava) di cui viene prospettata la falsità non siano atti pubblici, né
abbiano funzione autorizzativa dell’attività di cava e comunque non presuppongano
l’allegazione di un piano topografico dei lavori. Non di meno sul punto la confutazione
della motivazione della sentenza di primo grado da parte del giudice d’appello
risulterebbe parziale. Con riguardo infine alla ritenuta falsità del verbale di sopralluogo
del 18 marzo 2003 sull’intervenuto risanamento ambientale la sentenza avrebbe
motivato in maniera meramente apparente.
2.2 Con il ricorso proposto nell’interesse del Cicotti vengono dedotti violazione di legge
e vizi della motivazione. Innanzi tutto il ricorrente rileva, con riferimento alla posizione
del Cicotti, l’originaria inammissibilità dell’appello proposto dal pubblico ministero pe

ad oggetto la contestazione agli odierni imputati e ad altri soggetti non ricorrenti di

violazione dell’art. 581 lett. a) e c) c.p.p. e l’omesso pronunziamento da parte della
Corte territoriale sulla relativa eccezione sollevata con le note difensive depositate
all’udienza dell’8 aprile 2011. In tal senso lamenta l’omessa valutazione della specifica
posizione dell’imputato alla luce del disposto dissequestro dei beni della Fran.Ca. s.r.l.
all’esito dell’accertata assenza di irregolarità nell’attività di estrazione da questa
gestita. Ed in proposito inconsistente si rivelerebbe il richiamo operato in sentenza agli
esiti della consulenza tecnica, per l’appunto superati dagli accertamenti eseguiti

dissequestro essendosi dimostrata la regolarità dell’operato della società. Parimenti
irrilevante risulterebbe il generico riferimento effettuato dai giudici del merito alle
intercettazioni riportate nell’atto d’appello del pubblico ministero, atteso che queste
ultime non interessano la posizione dell’imputato, salvo una, dalla quale però emerge
come la Fran.Ca. sia stata l’unica società ad indicare partitamente nella
documentazione prodotta ai fini del conseguimento dell’autorizzazione le particelle
interessate dall’attività estrattiva. In secondo luogo la Corte territoriale non avrebbe
tenuto conto di quanto illustrato al momento della riforma della decisione assolutoria di
primo grado, incorrendo nel vizio di travisamento per omessa valutazione di prova
esistente. Ed analogamente con riguardo alla presunta falsità del verbale di sopralluogo
del marzo 2003 la sentenza avrebbe omesso di considerare come gli stessi consulenti
del pubblico ministero, in una relazione del febbraio dello stesso anno, avessero
attestato uno stato dei luoghi ancora più favorevole a quello evidenziato nell’atto che si
assume falso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 primo motivo del ricorso del Luserta con cui sono stati specificamente denunciati
violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla declaratoria di prescrizione nella
parte in cui è stata riformata la sentenza assolutoria emessa dal Tribunale ai sensi
dell’art. 530, secondo comma, c.p.p., è fondato e al suo accoglimento consegue
l’assorbimento degli altri motivi proposti dal ricorrente.
1.1 Innanzi tutto va precisato che la Corte territoriale ha confermato la pronunzia
assolutoria di primo grado con riguardo alle imputazioni contenute nei capi diversi da
B) e C). In riferimento a questi ultimi, e per quanto riguarda la posizione degli odierni
ricorrenti, ha ritenuto inammissibile l’appello del pubblico ministero limitatamente ai
reati di falso e di abuso d’ufficio concernenti le autorizzazioni per la prosecuzione
dell’attività estrattiva, in quanto proposto quando per gli stessi reati già era maturato il
termine di prescrizione, mentre per quelli relativi ad alcuni degli OSE e il verbale di
sopralluogo del 18 marzo 2003, ha riformato la decisione resa in prime cure ai sensi
dell’art. 530 commi 1 e 2 c.p.p., dichiarando il non doversi procedere per I

successivamente dal pubblico ministero e che hanno portato al menzionato

prescrizione sopravvenuta nel corso del giudizio di secondo grado. In proposito,
peraltro, dalla motivazione della sentenza si ricava che i giudici napoletani, pur
confutando alcune delle argomentazioni svolte dal Tribunale a sostegno dell’assoluzione
dell’imputato, non abbiano in realtà reputato fondato l’appello del pubblico ministero,
ritenendo, cioè, sussistente la prova positiva della responsabilità del Luserta, ma si
siano limitati a rilevare come dagli atti non emergesse “la totale assenza di prova di
comportamenti illegittimi e illeciti” posti in essere dal medesimo.

rilievi mossi dal pubblico ministero alla sentenza di primo grado, per riformare il
verdetto di assoluzione non ha però proceduto all’accertamento positivo della
colpevolezza dell’imputato, ritenendo sufficiente, al fine di affermare la prevalenza della
causa estintiva rilevata nel frattempo, acclarare la non evidenza di quella della sua
innocenza. Soluzione che i giudici del merito hanno peraltro ritenuto imposta in forza
dei principi elaborati da questa Corte nella vigenza dell’art. 152 del codice di rito del
1930, evocati richiamandosi al dictum di Sez. 3, n. 8265 del 16 febbraio 1976, Vaini,
Rv. 134176.
1.3 Tralasciando qualsiasi considerazione sulla sovrapponibilità non tanto testuale
quanto sistematica tra il citato art. 152 del codice previgente e l’art. 129 di quello in
vigore, disposizione questa in concreto applicata dalla sentenza impugnata, è
opportuno ricordare come all’esito del giudizio, il proscioglimento nel merito, in caso di
contraddittorietà o insufficienza della prova, non prevale rispetto alla dichiarazione
immediata di una causa di non punibilità, salvo che, in sede di appello, sopravvenuta
una causa estintiva del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della
parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili, oppure ritenga
infondata nel merito l’impugnazione del P.M. proposta avverso una sentenza di
assoluzione in primo grado ai sensi dell’art. 530, comma secondo, c.p.p. (Sez. Un., n.
35490 del 28 maggio 2009, Tettamanti, Rv. 244273). Ed in tal senso si è
successivamente e più chiaramente precisato come il giudice dell’impugnazione,
qualora l’imputato sia stato assolto con formula piena e contro tale decisione sia
proposto gravame del pubblico ministero, possa applicare una sopravvenuta causa di
estinzione del reato solo se reputi fondata l’impugnazione, così da escludere che possa
persistere la pronuncia di merito più favorevole all’imputato, e fornisca in proposito
adeguata motivazione (Sez. 5, n. 4123/10 del 11 dicembre 2009, B. e altro, Rv.
246101).
1.4 In realtà, in presenza di una causa di estinzione del reato, il proscioglimento nel
merito è ammesso dall’art. 129 comma 2 c.p.p. solo se «dagli atti risulta evidente che
il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce
reato o non è previsto dalla legge come reato». Sicché la pronuncia in rito, dichiarativa
dell’estinzione del reato, deve di regola prevalere, perché normalmente l’evidenza è

1.2 In altri termini la Corte d’appello, considerando non manifestamente infondati i

incompatibile con l’ambiguità della prova. Ma quando una pronuncia di merito
assolutoria sia stata già pronunciata, la pronuncia in rito, dichiarativa dell’estinzione del
reato, può prevalere solo nel caso in cui la situazione probatoria sarebbe tale da
giustificare la sostituzione della decisione assolutoria con una decisione di condanna.
1.5 In definitiva il principio enucleato progressivamente da questa Corte è quello per
cui, qualora ad una sentenza di assoluzione in primo grado appellata dal pubblico
ministero sopravvenga una causa estintiva del reato ed il giudice di appello ritenga

caso, l’approfondimento della valutazione delle emergenze processuali – reso
necessario dall’impugnazione proposta dal pubblico ministero, risultata però
insufficiente a mutare le connotazioni di ambivalenza riconosciute dal primo giudice alle
prove raccolte – impone la conferma della pronuncia assolutoria in applicazione della
regola probatoria, ispirata al favor rei, di cui al secondo comma dell’art. 530 del codice
di rito. Infatti nel codice vigente l’insufficienza o contraddittorietà della prova non è
una formula decisoria, che possa essere sostituita a quelle totalmente liberatorie, ma è
solo una possibile motivazione alternativa della decisione assolutoria. Sicché la
insufficienza o contraddittorietà della prova rilevate nel giudizio d’appello, in seguito a
impugnazione di una sentenza assolutoria da parte del pubblico ministero, non prelude
a una modificazione del dispositivo della sentenza impugnata; e quindi non giustifica la
sostituzione della decisione nel merito con la decisione in rito dichiarativa
dell’estinzione del reato.
1.6 Nel caso di specie i giudici dell’appello hanno sostanzialmente valutato come
infondati i motivi dell’impugnazione del pubblico ministero, ritenendoli comunque
inidonei ad indurre ad un convincimento di colpevolezza, al quale indubbiamente non
avrebbe potuto far seguito la sentenza di condanna solo perché era frattanto maturata
la prescrizione.
1.7 Appare allora evidente l’errore in cui è incorsa la Corte distrettuale, laddove – pur
sul presupposto della ritenuta non fondatezza dell’appello del pubblico ministero, che,
(solo) se fondato, avrebbe come detto ben legittimato l’applicazione della causa
estintiva – ha dichiarato l’estinzione del reato per prescrizione, erroneamente
applicando in concreto la disposizione di cui all’art. 129 c.p.p., e violando quindi la
regola probatoria stabilita nell’art. 530, cpv., c.p.p., secondo cui deve essere
pronunciata sentenza di proscioglimento nel merito anche allorquando la prova è
insufficiente o contraddittoria.
1.8 Ciò che il ricorrente rimprovera ai giudici d’appello è dunque un error in procedendo
prima ancora che un vizio della motivazione, il quale peraltro sarebbe di per sé
irrilevante, proprio in ragione dell’intervenuta prescrizione dei reati per cui si procede e
della impossibilità che ne deriva di disporre l’annullamento con rinvio della sentenza al
fine di rinnovarne l’apparato giustificativo (Sez. Un., n. 35490 del 28 maggio 2009

infondato nel merito l’appello, deve essere confermata la sentenza di assoluzione. In tal

Tettamanti, Rv. 244275). Conseguentemente, essendo per l’appunto l’obiezione
fondata e non essendo ammissibile un annullamento con rinvio in presenza della causa
estintiva, la sentenza deve essere annullata senza rinvio, ai sensi dell’art. 620 lett. d)
c.p.p., atteso che la decisione di far prevalere la causa estintiva pur nel ritenuto difetto
di un accertamento positivo della prova di colpevolezza dell’imputato consiste
nell’adozione di un provvedimento non consentito nella situazione data.

doglianze concernenti la non rilevata originaria inammissibilità dell’appello proposto dal
pubblico ministero, atteso che la sentenza ha ampiamente e logicamente argomentato
sul punto, ancorché con riguardo alle obiezioni che erano state sollevate da alcuni
coimputati. Per il resto le lamentele del ricorrente si risolvono nella denunzia di plurimi
vizi della motivazione, la cui deducibilità, come già ricordato, rimane paralizzata dalla
sopravvenuta estinzione dei reati contestati all’imputato.

3. Non di meno deve ritenersi ricorrano i presupposti per l’estensione del primo motivo
del Luserta anche al Cicotti, atteso che in riferimento ad entrambi gli imputati la Corte
territoriale non ha ritenuto pienamente fondato l’appello del pubblico ministero facendo dunque prevalere anche per il Cicotti la decisione in rito su quella nel merito e che gli stessi sono formalmente coimputati negli stessi reati e comunque che il vizio
denunciato riguarda una violazione della legge processuale. Di conseguenza la sentenza
deve essere annullata senza rinvio anche in riferimento alla posizione del menzionato
Cicotti.
P.Q.M.

Visto l’art. 620 lett. d) c.p.p., annulla senza rinvio la sentenza impugnata.
Così deciso il 24/3/2

2. Il ricorso del Cicotti è invero inammissibile. Manifestamente infondate risultano le

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