Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19265 del 09/04/2014


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Penale Ord. Sez. 6 Num. 19265 Anno 2014
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: PAOLONI GIACOMO

ORDINANZA

sul ricorso proposto ex art. 625 bis c.p.p. da RIBATTI Elisabetta, nata a Bari il
23/12/1968, avverso la sentenza in data 17/05/2013 della Corte di Cassazione;
esaminati gli atti, la sentenza denunciata e il ricorso;
udita in camera di consiglio la relazione del consigliere dott. Giacomo Paoloni.
Motivi della decisione
1. Con impugnazione personale Elisabetta Ribatti propone ricorso straordinario
per errore di fatto avverso la sentenza pronunciata il 17.5.2013 da questa S.C. (Sez. 2, n.
29452/13: ricorsi di Paolo Antonio ed altri), che -rigettandone il ricorso ordinario contro
la sentenza di appello- ha reso definitiva la condanna alla pena di due anni e otto mesi di
reclusione ed euro 3.000 di multa inflittale dalla Corte di Appello di Milano con sentenza
del 17.2.2012. Sentenza di secondo grado che, accolto l’appello del p.m., ha riformato la
decisione assolutoria del Tribunale (proscioglimento per ritenuto difetto di dolo) ed ha
sancito la sua responsabilità per il delitto di riciclaggio commesso a Milano dal 2004 fino
alla primavera del 2007 in violazione dei doveri connessi alla sua qualità di funzionario
della banca d’impresa Unicredit e “gestore” delle posizioni bancarie di società facenti
capo al coimputato Paolo (condannato anche per il reato di cui all’art. 74 L.S.).

Data Udienza: 09/04/2014

2. Adduce la ricorrente che questa Corte con la decisione impugnata è incorsa,
nell’esame degli atti interni al giudizio, in sviste percettive sui fatti, perché in sintesi:
• ha individuato il reato presupposto del delitto di riciclaggio, cioè la fonte
illegittima del denaro che la Ribatti avrebbe sostituito con le monetizzazioni autorizzate
con contegni funzionali irregolari od omissivi, nei reati fiscali posti in essere nel quadro
della gestione delle società del c.d. gruppo Paolo;
• al riguardo la sentenza impropriamente ha richiamano uno specifico passaggio
argomentativo della sentenza di appello ambrosiana, che è caratterizzato da intrinseca

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3. Il ricorso straordinario proposto da Elisabetta Ribatti va dichiarato de plano
inammissibile, ai sensi dell’art. 625 bis -co. 4, prima parte- c.p.p., per indeducibilità e
infondatezza manifesta delle censure mosse alla sentenza di legittimità del 17.5.2013, che
ha respinto il ricorso per cassazione della prevenuta. Inammissibilità che discende dalla
impropria interpretazione dei caratteri dell’impugnazione straordinaria.
3.1. Non può non constatarsi, infatti, che le doglianze della Ribatti non individuano
alcuna erronea percezione fattuale riferibile alla decisione reiettiva del suo ricorso e che
gli attuali rilievi critici della ricorrente sono estranei all’area di inferenza dell’art. 625-bis
c.p.p., non ponendo in luce alcun reale errore di fatto nell’esame delle vicende criminose
di cui è stata definitivamente riconosciuta colpevole.
Premesso che tutti i profili di censura enunciati in ricorso sono stati puntualmente
presi in esame e valutati dalla sentenza di questa Corte, la ricorrente replica -con la
parziale traslitterazione di motivi di ricorso respinti dall’impugnata decisione- non
consentite censure al percorso giustificativo della sentenza di legittimità. Censure
alimentate dalla omessa considerazione da parte della Ribatti dell’esauriente e diffusa
disamina della sua posizione processuale, sviluppata attraverso la rilettura del solo
documento valutabile nel giudizio di legittimità, vale a dire la decisione di merito di
secondo grado, della cui tenuta logica questa S.C. è stata chiamata ad apprezzare la
consistenza alla luce dei rilievi critici espressi nell’atto di impugnazione.
3.2. Di guisa che le odierne censure, investendo l’analisi e il controllo delle
emergenze processuali espressi dal giudice di legittimità in base all’impugnata decisione
di merito in grado di appello, più che individuare specifici errori percettivi fattuali della
decisione, non altro descrivono se non presunti errori di giudizio o supposte erronee
valutazioni di tali emergenze. Erronee valutazioni che, come in definitiva si riconosce
nello stesso ricorso straordinario, sarebbero state mutuate dalla sentenza di appello. Ciò
che equivale ad esprimere, alla luce della consolidata esegesi ricompositiva dell’area
applicativa del ricorso ex art. 625-bis c.p.p., motivi di doglianza di stretto diritto,
integrati dall’ipotizzata erroneità nell’applicazione dei criteri di valutazione della prova
da parte del giudice di merito di secondo grado, di cui la decisione di questa Corte ha
rilevato -invece- la regolarità e la legittimità alla stregua, appunto, di giudizi di valore
processuale. La qual cosa è evenienza del tutto diversa dall’errore percettivo sul fatto cui
è destinato a porre rimedio lo straordinario mezzo di impugnazione previsto dall’art.

2

erroneità segnatamente per l’attribuzione alla Ribatti (funzionario di banca autorizzante)
di più operazioni di sconto bancario di fatture fiscali per operazioni inesistenti
provenienti dalle società del Paolo;
• la realtà processuale designa uno scenario diverso, nel quale le società del Paolo
hanno sì ricevuto numerose fatture per operazioni inesistenti, rappresentative di costi
fittizi esposti per fini di elusione fiscale, ma che tuttavia “non potevano essere trattate
dall’istituto di credito per operazioni di sconto”, siccome integrate da “fatture di pagamento
ricevute dalle società del gruppo Paolo e non di quelle portate allo sconto, sulla cui natura lecita
non si è mai posto alcun dubbio nel corso del processo”;
• in altri termini “le Corti” (Corte di Appello e Corte di Cassazione) sono incorse in
patente equivoco, confondendo i documenti fiscali illeciti utilizzati per la creazione di
costi fittizi nelle società del gruppo Paolo, non rese oggetto di sconto bancario, e quelle
lecite (fatture attive) emesse dalle società del Paolo e portate in banca per regolari
operazioni di sconto a norma dell’art. 1858 cod. civ.

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3.3. E’ appena il caso di sottolineare che l’errore valutativo denunciato dal ricorso
straordinario della Ribatti non individua “sviste” per dir così primarie del giudice di
legittimità, ma -a tutto concedere- un errore (di fatto e di giudizio) già in tesi commesso
dal giudice di merito (di appello). Ora, come a più riprese chiarito dalla giurisprudenza
di legittimità, l’errore suscettibile di legittimare il ricorso straordinario ex art. 625 bis
c.p.p. deve riguardare gli atti interni al giudizio di legittimità, cioè gli atti che la S.C.
esamina direttamente con propria autonoma indagine di fatto, nell’ambito dei motivi di
ricorso e delle questioni rilevabili di ufficio, e dotato di efficacia diretta ed esclusiva sulla
sentenza assunta dalla Cassazione. Ne discende che non è configurabile l’errore di fatto
della sentenza di legittimità, quando nel preteso errore sia in realtà incorsa la decisione
impugnata con il ricorso ordinario per cassazione. Nel caso di specie è affatto evidente
l’estraneità del motivo di censura dedotto dalla Ribatti rispetto al paradigma dell’art. 625
bis c.p.p. Con la sentenza del 17.5.2012 questa Corte non ha compiuto, né avrebbe potuto
compiere, diretti accertamenti di fatto sulla questione dedotta (insussistenza di
operazioni di sconto bancario di fatture fittizie), ma ha soltanto controllato che la
motivazione della sentenza di appello, in relazione a quanto denunciato nel ricorso, non
fosse viziata (v. Sez. 6, 20.11.2008 n. 48461, Rannisi, rv. 242144) Di tal che la Ribatti finisce
per censurare la decisione di questa Corte sotto il profilo dell’omissione di una verifica di
fatto, cui la Corte stessa non era in alcun modo tenuta (non a caso la sentenza 17.5.2013
di questa S.C. chiarisce come gli argomenti difensivi sviluppati nel ricorso per cassazione
siano stati motivatamente disattesi dalla sentenza di appello ed “il cui approfondimento
supporrebbe un accesso diretto agli atti non consentito in sede di legittimità”).

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue per legge la condanna della
ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa
delle ammende, che si ritiene equo stabilire in misura di euro 1.000,00 (mille).
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille in favore della cassa delle ammende.
Roma, 9 aprile 2014
Il consigliere stensore
Giacomo PuolonA

ente

625-bis c.p.p., che non può assumere valenze surrogatorie di un ennesimo ulteriore e
ingiustificato ricorso di legittimità.
Il ricorso straordinario per errore di fatto è ammissibile quando la decisione della
Cassazione sia concreta conseguenza di un errore percettivo, causato da una svista o da
un palese fraintendimento di un dato storico, non anche quando il preteso errore derivi
da una qualsiasi valutazione di diritto o di circostanze di fatto rettamente intese, mai
potendo avere ad oggetto l’asserito travisamento di una prova esistente (cfr. da ultimo:
Sez. 6, 28.5.2013 n. 28269, rv. 257031; Sez. 6,21.5.2013 n. 35239, Buonocore, rv. 256441).

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