Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1926 del 20/12/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 1926 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: SERRAO EUGENIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
POLIMENI BRUNO N. IL 12/02/1953
avverso l’ordinanza n. 58/2007 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 19/10/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EUGENIA SERRAO;
lette~ le conclusioni del PG Dott. ‘ri,f2,tAcP.A.e, 1€aeA>iii-o
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12,d7./c0-74o;

i difensor Avv.;

Data Udienza: 20/12/2013

RITENUTO IN FATTO
1. In data 19/10/2012 la Corte di Appello di Reggio Calabria ha rigettato
l’istanza di riparazione per ingiusta detenzione proposta da Polimeni Bruno in
relazione alla misura cautelare subita in carcere dal 6/09/1997 per violazione
dell’art.416 bis cod.pen. nel procedimento cosiddetto ‘Olimpia’, dal 25/11/1997
nell’ambito del procedimento ‘Olimpia 2-3 per omicidio aggravato in concorso in
danno di Morabito Anonino e Morabito Annunziato e per omicidio aggravato in
concorso ai danni di Fotia Vincenzo, oltre alle rispettive ipotesi in materia di

di cui all’art.416 bis cod. pen. a seguito dell’intervenuta declaratoria da parte del
giudice di appello di nullità della sentenza di primo grado, che lo aveva
condannato a nove anni di reclusione per tale reato, dal quale il Giudice
dell’udienza preliminare del Tribunale di Reggio Calabria lo aveva assolto con la
formula “perché il fatto non sussiste” con sentenza del 12/06/2006; il
procedimento ‘Olimpia 2-3’ si era concluso, a seguito di condanna all’ergastolo
da parte della Corte di Assise di Reggio Calabria, con l’assoluzione in secondo
grado del 9/03/2004 con la formula “per non avere commesso il fatto”. L’istante
aveva dichiarato di aver subito una carcerazione preventiva complessiva di anni
6, mesi 10 e giorni 15.
2. La Corte territoriale ha ritenuto sussistente la condizione ostativa della
condotta dolosa o gravemente colposa dell’indagato in relazione di causa ad
effetto rispetto alla detenzione sulla base delle seguenti specifiche circostanze
fattuali: a) il giudice dell’udienza preliminare ha assolto il ricorrente
dall’imputazione associativa in quanto le dichiarazioni del collaboratore
Zavettieri, pur delineanti un significativo spaccato nel territorio di riferimento,
non erano state riscontrate da quelle dei collaboratori Iero e Lombardo; b)
l’assoluzione intervenuta in secondo grado per l’imputazione di plurimo omicidio
si fondava sull’incompletezza della prova dichiarativa, non risultando riscontrate
le dichiarazioni dei collaboratori Iero e Lombardo; c) il ricorrente aveva
precedenti significativi per detenzione e porto illegale di armi, per tentato
omicidio in continuazione e resistenza a pubblico ufficiale, oltre ad un’ulteriore
condanna per reati in materia di armi; d) per sua stessa ammissione, il
ricorrente conosceva le vittime dei due omicidi, entrambi maturati in contesti
mafiosi; e) all’atto dell’esecuzione della prima misura cautelare il ricorrente era
in stato di perdurante latitanza, condizione durata per circa due anni, allorché,
inserito nell’elenco dei cinquecento latitanti più pericolosi, era stato trovato in
un’abitazione in un centro aspromontano, in quello stesso contesto territoriale in
cui andava collocata la condotta oggetto di imputazione; f) il Polimeni era stato,
successivamente ai fatti in oggetto, più volte controllato in compagnia di soggetti
2

armi; dal 30/1/2006 nell’ambito del procedimento stralcio ‘Olimpia 1’ per il reato

pregiudicati; g) in sede di interrogatorio non aveva tenuto un comportamento
collaborativo effettuando, nel primo procedimento, l’opzione difensiva di
avvalersi della facoltà di non rispondere, sottraendosi all’onere di chiarire i
rapporti con i soggetti che lo accusavano di gravi crimini e l’esistenza di
eventuali elementi che resistessero alle chiamate in correità; h) in seguito, nel
corso dell’interrogatorio del 27/11/1997, aveva riservato di documentare il
proprio alibi, affermando di conoscere alcune vittime i cui omicidi andavano
certamente a collocarsi in contesti mafiosi, successivamente fornendo un alibi

2.1. Sulla base di tali elementi, la Corte ha desunto la vicinanza del Polimeni
a contesti malavitosi che hanno costituito lo sfondo in cui sono stati consumati i
delitti dei quali era stato accusato da più collaboratori, evidenziando che una così
lunga latitanza non avrebbe potuto essere assicurata se non grazie
all’inserimento in una rete di rapporti e relazioni all’interno di un più ampio
contesto, tale da garantire al ricercato protezione, asilo e assistenza. Tale
vicinanza all’ambiente malavitoso è stata esaminata unitamente ai precedenti
anche specifici ed al fatto che il Polimeni fosse stato trovato, all’esito delle
ricerche, proprio nei luoghi di interesse investigativo, valorizzando la Corte la
circostanza per cui la valutazione dell’inidoneità della prova dichiarativa era stata
maturata dal giudice di appello anche in considerazione delle dichiarazioni di un
collaboratore acquisite in secondo grado, che non avevano consentito un giudizio
tranquillizzante di colpevolezza, pur affermando quel giudice la sussistenza di
elementi indiziari incontestabili e anche di un certo spessore. La Corte ha, quindi,
valutato l’atteggiamento non collaborativo del ricorrente in sede di
interrogatorio, la lunga latitanza e l’alibi non attendibile come comportamenti
macroscopicamente spregiativi delle regole e idonei a rafforzare il quadro
indiziario posto a base delle ordinanze rese nei suoi confronti.
3. Ricorre per cassazione Bruno Polimeni sulla base dei seguenti motivi:
a) l’ordinanza impugnata è nulla per violazione del diritto ad un equo
processo e ad una trattazione in pubblica udienza del procedimento per
riparazione dell’ingiusta detenzione, così come espressamente riconosciuto
dall’art.6 CEDU.
b) violazione di legge e vizio motivazionale in ordine al nesso di causalità tra
condotta del ricorrente ed emissione del provvedimento restrittivo. La Corte
territoriale, secondo il ricorrente, avrebbe valutato sulla base di dati congetturali
l’incidenza del comportamento dell’istante sulla misura cautelare, trascurando
che l’ingiusta detenzione è stata determinata da eventi, circostanze ed
accadimenti esterni alla sfera di controllo e di volizione del ricorrente, ossia
dichiarazioni rese dal collaboratore Zavettieri, rimaste prive di riscontri esterni,
3

ritenuto da entrambi i giudici di merito scarsamente credibile.

mentre i precedenti per detenzione e porto illegale di armi appartenevano ad
un’epoca assai risalente rispetto ai fatti di causa, la circostanza che egli
conoscesse le vittime dei due omicidi non poteva avere effettiva rilevanza, la
latitanza trovava giustificazione nel timore derivante da un generico senso di
sfiducia maturato nei confronti del meccanismo giudiziario, la scelta di avvalersi
della facoltà di non rispondere e l’inattendibilità dell’alibi fornito non potevano
tradursi in responsabilità per dolo o colpa grave dell’imputato, che aveva scelto
la via e la strategia difensiva più consona alla tutela dei propri interessi.

grave e/o dolo. Il ricorrente lamenta un’interpretazione troppo ampia della
condizione ostativa prevista dall’art.314 cod.proc.pen., tale da svuotare il
requisito della gravità della colpa, essendo concorde la giurisprudenza di
legittimità nell’affermare che non integrano colpa grave quei comportamenti che
possono apparire sospetti e che il contegno manifestato dal Polimeni non è
assimilabile a quella condotta che sia tale da creare una situazione di allarme
sociale.
4.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha presentato memoria

chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o in subordine rigettato.
5. Il Procuratore Generale, nella persona del dott. Francesco Salzano, ha
concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La prima censura è inammissibile in quanto proposta, per la prima volta,
in questa sede. Come affermato con sentenza della Corte Cost. n.214 del
18/07/2013 ‘una questione finalizzata a riconoscere una determinata facoltà a
una parte processuale è priva di rilevanza attuale se, nel giudizio a quo, quella
parte non ha mai manifestato la volontà di esercitare la facoltà in discussione (ex
plurimis, con particolare riguardo a questioni volte ad ampliare le possibilità di
accesso dell’imputato a riti alternativi, ordinanze n. 55 del 2010, n. 69 dei 2008,
n. 129 del 2003 e n. 584 del 2000). In assenza di tale manifestazione di volontà,
la rilevanza dell’odierna questione risulta, in effetti, meramente ipotetica’.
Conseguentemente, questa Corte non può prendere in esame, ne è tenuta a
sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art.315, comma 3, in
relazione all’art.646, comma 1, cod. proc. pen., per violazione dell’art.6 CEDU
(Corte EDU 10/04/2012, Lorenzetti c. Italia) nella parte in cui non consentono
che, su istanza degli interessati, il procedimento per la riparazione dell’ingiusta
detenzione si svolga, davanti alla Corte di Appello, nelle forme dell’udienza
pubblica, per difetto di rilevanza della questione (Sez. U n.51779 del
28/11/2013, Nicosia).

4

c) violazione di legge e vizio motivazionale in ordine al requisito della colpa

2. Con riguardo al secondo ed al terzo motivo di ricorso, in tema di
riparazione per ingiusta detenzione il giudice di merito deve valutare se chi l’ha
patita vi abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, analizzando
in modo autonomo e completo rispetto al giudice penale tutti gli elementi
probatori disponibili, con l’obiettivo di valutare se sussistano condotte che
rivelino eclatante, macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di norme o
regolamenti, fornendo del convincimento conseguito una motivazione che, se
adeguata

e

congrua,

è

incensurabile

in

sede

di

legittimità

3. In tale giudizio devono essere presi in esame fatti concreti e precisi e non
mere supposizioni, riferibili direttamente alla condotta del richiedente, sia nella
fase antecedente sia in quella successiva alla perdita della libertà personale al
fine di stabilire, non se tale condotta integri estremi di reato, ma solo se sia
stato il presupposto che ha ingenerato, ancorché in presenza di errore
dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurazione come illecito
penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di causa ed effetto
(Sez. 4, Sentenza n. 4194 del 28/11/2007,

dep. 28/01/2008,

Gualano,

Rv. 238678; Sez. 4, n.2895 del 13/12/2005, dep. 25/01/2006, Mazzei,
Rv. 232884Sez.0 n. 34559 del 26/06/2002, Rv. 222263).
4. Esaminando le ragioni poste a base della decisione impugnata, vi si legge
che la Corte territoriale ha elencato una serie di circostanze dalle quali ha tratto
la deduzione per cui la vicinanza del Polimeni ad ambienti malavitosi, valutata
unitamente ai suoi precedenti penali in materia di armi e di omicidio e alla lunga
latitanza nello stesso contesto territoriale in cui erano maturati gli omicidi dei
quali era accusato, nonché al suo comportamento endoprocessuale, concretatosi
nel silenzio serbato in sede di interrogatorio e nella successiva indicazione di un
alibi rivelatosi inattendibile, rappresentavano tutti nel loro complesso un insieme
di condotte che potevano avere indotto in errore l’autorità giudiziaria.
4.1. La Corte territoriale ha indicato fatti specifici riconducibili a condotte del
richiedente, successive all’emissione delle ordinanze cautelari, non contestate
nella loro essenza fattuale nel ricorso, con motivazione ampia, esaustiva e
logicamente ineccepibile.
4.2. In particolare, come già affermato in precedenza da questa Sezione, un
lungo periodo di latitanza da solo non può costituire colpa grave, ed è comunque
successivo all’emissione della misura cautelare, perchè rappresenta il rifiuto di
sottoporsi alla custodia in carcere che, data anche la successiva assoluzione per
non essere stata la chiamata in correità o le dichiarazioni di un collaboratore di
giustizia suffragate da altri riscontri, può rappresentare un comportamento di
sfiducia nei confronti della giustizia (Sez. 4, n.42746 del 6/11/2007, Ministero
5

(Sez. 4, n.21896 del 11/04/2012, Hilario, Rv. 253325).

Economia, Rv. 238306). Ma anche la latitanza, sebbene di per sé non
necessariamente sussumibile nella condotta gravemente colposa che costituisce
ragione ostativa alla riparazione, può assumere, e nel caso concreto la Corte
territoriale ha posto in evidenza le ragioni di questa diversa valutazione,
significato indicativo di un comportamento idoneo, se valutato insieme ad altre
circostanze, ad indurre l’autorità procedente in errore circa la responsabilità
dell’indagato.
5. Il provvedimento impugnato non si sottrae, invece, alle censure mosse

l’applicazione della misura cautelare.
5.1. Va, in primo luogo, evidenziato che la chiamata in correità o le
dichiarazioni accusatorie di collaboratori di giustizia rappresentano eventi del
tutto estranei alla condotta del richiedente, che necessitano di essere
specificamente esaminati in correlazione al contegno dell’indagato. E’ principio
più volte enunciato da questa Corte che la condotta che si sia sostanziata nella
consapevolezza dell’attività criminale altrui e che si presti sul piano logico ad
essere percepita come contigua a quella criminale, consistente, ad esempio,
nella frequentazione di ambienti criminali

(ex plurimis,

Sez. 4, Ord. n.45418 del 25/11/2010, Carere, Rv. 249237;
Sez. 4, n.37528 del 24/06/2008, Grigoli, Rv. 241218), possa essere apprezzata
dal giudice della riparazione, al quale spetta tuttavia indicare quale sia stata la
specifica condotta dolosa o gravemente colposa dell’indagato nel contesto in cui
è stata emessa l’ordinanza applicativa della misura cautelare.
5.2. La Corte territoriale, pur enunciando tali principi, ha genericamente
menzionato le ragioni dell’assoluzione ed elencato i precedenti penali del
Polimeni, aggiungendo che quest’ultimo aveva ammesso di conoscere le vittime
dei due omicidi, in sostanza tralasciando di fornire congrua indicazione dei fatti
specifici dai quali si potesse logicamente desumere la condotta dolosa o
gravemente colposa ascrivibile al ricorrente nel periodo antecedente l’emissione
delle ordinanze di custodia cautelare pronunciate, rispettivamente, il 19/06/1995
dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Reggio Calabria, il
14/11/1997 ed il 30/01/2006 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale
di Reggio Calabria; omettendo, quindi, di confrontare sotto tale profilo i
presupposti fattuali posti a base di tali ordinanze con i fatti accertati o non
esclusi nelle sentenze assolutorie.
5.3. L’indicata omissione non consente a questa Corte di valutare se il
giudice di merito abbia correttamente accertato la sussistenza di una condizione
ostativa al riconoscimento del diritto alla equa riparazione con specifico
riferimento al periodo antecedente all’emissione di ciascuno dei provvedimenti
6

dal ricorrente con riguardo all’esame della condotta dell’indagato antecedente

cautelari sopra indicati. Il provvedimento impugnato, in altre parole, tace su
elementi istruttori che avrebbero potuto incidere sul giudizio, scardinando l’intero
impianto motivazionale.

g, ,

6. La fondatezza del ricorso comporta l’annullamento del provvedimento
impugnato, con conseguente rinvio alla Corte di Appello di Reggio Calabria per
nuovo esame del comportamento di Polimeni Bruno antecedente all’applicazione
delle misure cautelari.
P.Q.M.

Cala briatui… -(A-4—orVo –“-Così deciso il 20/12/2013

annulla la impugnata ordinanza con rinvio alla Corte di Appello di Reggio

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