Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19259 del 27/03/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 19259 Anno 2014
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: DE AMICIS GAETANO

Data Udienza: 27/03/2014

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DOLCE GIANNI N. IL 16/02/1979
avverso l’ordinanza n. 1005/2013 TRIB. LIBERTA’ di LECCE, del
27/12/2013

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GAETANO DE AMICIS;
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RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 27 dicembre 2013 il Tribunale di Lecce ha rigettato ex art.
310 c.p.p. l’appello proposto da Gianni Dolce avverso l’ordinanza emessa il 27
novembre 2013 dalla Corte d’appello di Lecce, che sostituiva la misura degli arresti
domiciliari con quella della custodia cautelare in carcere ex art. 276, comma 1-ter,
c.p.p., poiché all’atto del controllo l’indagato risultava assente dall’abitazione ove si

Ufficiali di P.G., in data 2 novembre 2013, avessero insistentemente suonato al
citofono per circa dodici minuti, dalle ore 1.33 fino alle ore 1.45, senza ricevere alcuna
risposta.

2. Avverso la su indicata ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione i
difensori di fiducia del Dolce, deducendo due motivi di doglianza, qui di seguito
sinteticamente riassunti.

2.1. Violazione di legge e carenze motivazionali in relazione all’art. 276, comma
1-ter, c.p.p., poiché dall’annotazione di P.G. datata 4 novembre 2013 emerge solo il
fatto che i militari addetti al controllo hanno suonato alcune volte al campanello
dell’abitazione tra le ore 1.33 e le ore 1.45 senza ottenere risposta, allontanandosi
subito dopo senza effettuare alcuna ulteriore verifica idonea a provare in termini di
certezza l’allontanamento dell’indagato dall’abitazione; la difesa, peraltro, aveva
fornito elementi di prova documentale costituiti da una certificazione rilasciata dal
medico curante, che attestava la necessità di usare medicinali aventi come effetto
collaterale l’insorgere di sonnolenza, e da un preventivo di riparazione rilasciato da un
artigiano (oltre ad una dichiarazione autografa del padre del Dolce, datata 2 dicembre
2013), relativamente ad alcuni guasti verificatisi sulla linea elettrica dell’abitazione,
che interessavano anche il funzionamento del campanello, circostanze, queste,
sufficienti ad attestare, quanto meno, la possibilità di un guasto idoneo ad incidere
sull’evento segnalato dalla P.G., e sulle quali la motivazione del provvedimento
impugnato si mostra palesemente illogica, poiché non ne ha correttamente valutato
l’effettivo contenuto ed è stata resa in termini di gravità indiziaria, e non di certezza
sull’allontanamento, quale prova del fatto che costituisce il presupposto della misura
cautelare adottata.

i

trovava sottoposto all’applicazione della predetta misura cautelare, sebbene gli

2.2. Violazione di legge e carenze motivazionali in relazione all’art. 276, comma
1-ter, c.p.p., poiché l’automaticità nella sostituzione della misura non opera nel caso
in cui gli arresti domiciliari trovano ragione nelle condizioni di salute dell’indagato, il
quale, nel caso di specie, aveva ottenuto quella misura cautelare solo per motivi di
salute.

3. Il ricorso è inammissibile, in quanto manifestamente infondato.

4. Questa Suprema Corte ha più volte affermato (da ultimo, Sez. 6, n. 3744 del
09/01/2013, dep. 23/01/2013, Rv. 254290; Sez. 5, n. 1821 del 29/09/2011, dep.
17/01/2012, Rv. 251715; Sez. 5, n. 1821 del 29/09/2011, dep. 17/01/2012, Rv.
251715) il principio secondo cui la trasgressione alle prescrizioni concernenti il divieto
di allontanarsi dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari determina, ex art. 276,
comma primo – ter, cod. proc. pen., la revoca obbligatoria degli arresti domiciliari,
seguita dal ripristino della custodia cautelare in carcere, senza che al giudice, una
volta accertata la trasgressione, sia riconosciuto un potere di rivalutazione delle
esigenze cautelari.
E’ altresì noto che la posizione di chi beneficia degli arresti domiciliari è equiparata
a quella di chi si trova in carcere, con la conseguenza che il detenuto agli arresti
domiciliari non può certo disinteressarsi della sua situazione, ed anzi deve sapere che i
controlli da parte della Polizia giudiziaria sono sempre possibili e non solo non deve
ostacolarli, ma deve porre in essere tutte le cautele necessarie affinché gli strumenti
che consentono di effettuare le verifiche (citofono, campanello della porta di casa e
quant’altro) siano sempre udibili ed in piena efficienza (Sez. 6, n. 19046 del 19/04/07,
dep. 17/05/2007).
Né, del resto, può essere posto in discussione, in questa Sede, il ragionevole
apprezzamento svolto in punto di fatto da parte dei Giudici di merito, che hanno
motivatamente tratto, sulla base di pacifiche regole di esperienza e con argomenti
privi di vizi logici ictu °cui/ riconoscibili, la prova dell’assenza dal luogo ove il
ricorrente era sottoposto agli arresti domiciliari dalla circostanza che i militari
incaricati del controllo, recatisi presso la sua abitazione, avevano ripetutamente
suonato al campanello di casa senza ottenere alcuna risposta (arg. ex Sez. 6, n.

2

CONSIDERATO IN DIRITTO

33501 del 18/06/2009, dep. 27/08/2009; Sez. 6, n. 47331 del 24/11/2009, dep.
12/12/2009).
Nel caso in esame, invero, il Tribunale ha fatto buon governo del consolidato
quadro di principii or ora sinteticamente illustrato, esaminando puntualmente i rilievi
difensivi e ritenendoli, con congrue ed esaustive argomentazioni, destituiti di ogni
fondamento alla luce delle accurate modalità operative del controllo svolto dalla P.G..
Al riguardo, in particolare, il Tribunale, per un verso, ha escluso che i farmaci prescritti

lontanamente paragonabile alla letargia, e, per altro verso, ha escluso che la su citata
documentazione, sottoposta al suo vaglio, potesse esercitare una concreta e valida
incidenza sul piano indiziario, trattandosi di missive prive di una data certa di
redazione, delle quali, peraltro, neanche risultavano provate la effettiva trasmissione e
ricezione.
Manifestamente infondata deve altresì ritenersi l’ulteriore doglianza prospettata
dal ricorrente (v., supra, il par. 2.2.), avendo il Tribunale puntualmente contraddetto
l’assunto difensivo sulla base della documentazione menzionata nella motivazione
dell’impugnato provvedimento, da cui non risultavano situazioni di oggettiva
incompatibilità delle condizioni di salute dell’imputato con il regime detentivo
carcerario.

5. A fronte di tale completo apprezzamento delle emergenze procedimentali,
esposto attraverso un insieme di sequenze motivazionali chiare e prive di vizi logici, il
ricorrente non ha individuato passaggi o punti della decisione tali da inficiare la
complessiva tenuta del discorso argomentativo delineato dal Tribunale, né ha
soddisfatto l’esigenza di una critica puntuale e ragionata che deve informare l’atto di
impugnazione, ma ha sostanzialmente contrapposto una lettura alternativa delle
risultanze processuali, facendo leva, peraltro con asserzioni del tutto generiche,
sull’apprezzamento di profili di merito già puntualmente vagliati in sede di appello
cautelare, ed il cui esame non è, evidentemente, sottoponibile al giudizio di questa
Suprema Corte.
Giova al riguardo ribadire il consolidato quadro di principii secondo cui
l’impugnazione è inammissibile, per genericità dei motivi, qualora difetti ogni
indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e
quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione, il cui contenuto non può di certo
ignorare le affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di
3

al ricorrente fossero suscettibili di determinare nell’assuntore uno stato anche

aspecificità (v., ex multis, Sez. 6, n. 39926 del 16/10/2008, dep. 24/10/2008, Rv.
242248; Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, dep. 10/09/2007, Rv. 236945).

6. Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato
inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ex art. 616 c.p.p., al
pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende di una
somma che si stima equo quantificare nella misura di euro mille.

comma 1-ter, disp. att., c.p.p..

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma
att., c.p.p. .

Così deciso in Roma, lì, 27 marzo 2014.

1-ter, disp.

La Cancelleria provvederà all’espletamento degli incombenti di cui all’art. 94,

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