Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19253 del 28/01/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 19253 Anno 2014
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: DE AMICIS GAETANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GIACCHETTO FAUSTINO N. IL 30/11/1963
avverso l’ordinanza n. 960/2013 TRIB. LIBERTA’ di PALERMO, del
01/07/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GAETANO DE AMICIS;
-lette/sentite le conclusioni del PG Dott. R.,c, 85-KED 1.4.. ieLto

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Data Udienza: 28/01/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 1° – 9 luglio 2013 il Tribunale del riesame di Palermo ha rigettato la richiesta
di riesame avanzata da Giacchetto Faustino avverso l’ordinanza del 17 giugno 2013, con la quale il
G.i.p. presso il medesimo Tribunale ha applicato nei suoi confronti la misura della custodia cautelare in
carcere in ordine ad una pluralità di reati, tra cui quelli di associazione per delinquere, truffa per il

59, 61) e 63)], posti in essere, formalmente ricoprendo il ruolo di consulente esterno (account supervism)
per i progetti del C.I.A.P.I. (Centro interaziendale di addestramento professionale), attraverso una serie
di condotte volte all’appropriazione di buona parte di finanziamenti ad esso destinati dalla Regione
Sicilia con l’impiego di fondi comunitari (pari alla complessiva somma di euro 15.191.274,73) per
l’attuazione del progetto di formazione professionale CO.OR.AP. (consulenza, orientamento ed
apprendistato).

2. Avverso la predetta ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione i difensori di fiducia del
Giacchetto, deducendo vizi di violazione di legge e mancanza di motivazione in relazione agli artt. 273,
274, 292 cpv., lett. c-bis), c.p.p., 353, 353-bis, 640, 319, 319-bis e 321 c.p.p., sia per quel che attiene alla
sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, sia per quanto concerne il profilo delle esigenze cautelari.
Non è possibile comprendere i motivi per cui le considerazioni svolte dal G.i.p. nella prima
ordinanza siano state condivise dal Tribunale, tenuto conto che dalle intercettazioni, come posto in
rilievo nella memoria difensiva depositata in sede di riesame, è emerso unicamente l’interesse del
Ghetto a partecipare alle gare con le imprese a lui riconducibili, senza alcun intervento volto a
confezionare il bando in modo da favorirne alcune; in merito agli episodi corruttivi, inoltre, difetta
qualsiasi indizio di un rapporto sinallagmatico tra le promesse e le dazioni accertate e gli atti
asseritamente illegittimi dei pubblici ufficiali.
In alcuni casi, peraltro, i pubblici ufficiali avrebbero mercificato le proprie funzioni per utilità
talmente irrilevanti (la dazione ad un soggetto terzo) o inconsistenti (una promessa priva di
concretezza), che la loro spiegazione avrebbe richiesto un adeguato sforzo motivazionale.
Solo apparente, infine, risulta la motivazione offerta dal Tribunale in merito alle ravvisate esigenze
cautelari, sebbene la difesa avesse svolto una serie di rilievi decisivi per la valutazione sia di quelle
probatorie, sia di quelle special – preventive.
Successivamente alla perquisizione del 3 luglio 2012, infatti, il Giacchetto non ha mai incontrato
alcuno dei soggetti sottoposti ad indagine ed ha interrotto ogni rapporto con le società che vi sono
rimaste coinvolte, né il pericolo di inquinamento probatorio può essere ancorato, del resto, ad una

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conseguimento di erogazioni pubbliche e corruzione [capi sub nn. 1), 2) 45), 47), 48), 51), 52), 54), 55),

presunta pericolosità politico-istituzionale e socio-economica, o a rapporti intrattenuti nel passato,
senza fornire indicazioni in ordine alla loro attualità.
Solo generica, infine, appare la spiegazione degli elementi idonei a ritenere la proclività a
delinquere e l’adeguatezza della misura applicata, tenuto conto, sulla base degli argomenti rappresentati
dalla difesa in sede di riesame, che l’indagato da oltre un anno ha interrotto ogni rapporto con
esponenti politici, funzionari regionali ed imprenditori del settore, tenendo un corretto comportamento

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è infondato e va conseguentemente rigettato.

4. La gravità del panorama indiziario evocato a sostegno della misura, e scrutinato in termini di
adeguatezza dal Giudice del riesame, deve ritenersi congruamente sostenuta dall’apparato motivazionale
su cui si radica l’impugnato provvedimento, che ha correttamente proceduto ad una valutazione
analitica e globale degli elementi indiziari emersi a carico del ricorrente, dando conto, in maniera logica
ed adeguata, delle ragioni che giustificano l’epilogo decisorio del relativo percorso argomentativo.
Entro tale prospettiva, deve rilevarsi come l’impugnata ordinanza abbia fatto buon governo del
quadro dei principii che regolano la materia, ponendo in evidenza, sulla base dei numerosi elementi di
prova dichiarativa e documentale raccolti nel corso delle attività investigative, le ragioni del
coinvolgimento dell’indagato attraverso il concreto contributo da lui continuativamente prestato alla
realizzazione delle attività criminose oggetto di un’associazione costituita al fine di compiere, sulla base
di un consolidato modus operandi e di un ben delineata ripartizione di ruoli e compiti con i sodali, un
numero indeterminato di delitti di truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche, frode fiscale,
corruzione di pubblici ufficiali e riciclaggio, per ottenere indebiti vantaggi finanziari e patrimoniali legati
all’erogazione, in favore del su indicato C.I.A.P.I. di Palermo, di consistenti fondi pubblici da parte della
Regione Sicilia, nell’ambito del cd. P.O.R 2000/2006 e di quello relativo al successivo periodo
2007/2013.
In tal senso, l’impugnato provvedimento cautelare ha specificamente delineato il ruolo assunto dal
ricorrente — quale dominus dell’associazione, che ha elaborato il cd. “piano media” del progetto del
C.I.A.P.I., propedeutico agli ordinativi di acquisto di beni e servizi, facendo emettere da società
compiacenti fatture per operazioni inesistenti nei confronti dell’ente sopra indicato, intrattenendo
contatti e rapporti con pubblici funzionari coinvolti nei procedimenti di concessione degli stanziamenti
pubblici e provvedendo alla predisposizione di bozze di provvedimenti (ossia, direttive assessoriali e
decreti di concessione/integrazione delle agevolazioni) poi effettivamente emanati dalla Regione Sicilia
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processuale e rimettendo ogni incarico professionale.

in favore di quell’ente — e ne ha puntualmente tratteggiato i rapporti e le modalità di interazione con le
condotte poste in essere dagli altri aderenti al sodalizio (ossia: da Stefania Scaduto, segretaria del
Giacchetto, che curava i rapporti con le società fornitrici del C.I.A.P.I. e forniva indicazioni ai loro
legali rappresentanti sul contenuto delle false fatture da emettere; da Riggio Francesco, nella sua qualità
di presidente del C.I.A.P.I., che ha nominato il Giacchetto e la Scaduto, rispettivamente, responsabile
della comunicazione e coordinatore dei diversi progetti, presentando altresì le richieste di

comitati tecnico-scientifici incaricati di verificare la regolarità delle diverse attività progettuali , ecc.; da
Angelo Vitale, Colli Sergio, e Messina Pietro, nelle rispettive qualità di legali rappresentanti di società
che, su indicazione del Giacchetto, hanno emesso nei confronti del C.I.A.P.I. numerose fatture per
operazioni commerciali inesistenti, trasferendo le somme introitate allo stesso Giacchetto, ovvero ad
imprese riconducibili alla moglie, Argento Concetta, e giustificando formalmente tali trasferimenti di
denaro con false fatture, ovvero con operazioni immobiliari simulate).
Analoghe considerazioni devono svolgersi, inoltre, per le ipotizzate condotte delittuose di truffa
aggravata e di corruzione propria.
Con riguardo alle prime, invero, l’impugnata ordinanza, richiamando le conformi argomentazioni
sviluppate nel provvedimenti genetico, ha puntualmente esaminato e disatteso le obiezioni difensive,
descrivendo analiticamente i meccanismi utilizzati dal ricorrente e dagli altri coindagati per la
realizzazione di una truffa relativa all’attuazione del progetto CO.OR.AP., attraverso l’emissione di false
fatture al C.I.A.P.I., aventi ad oggetto beni e servizi mai resi, ovvero forniti a prezzi decisamente
inferiori, con riguardo all’affidamento della complessiva somma di denaro su indicata (e dallo stesso
C.I.A.P.I. rendicontata come spesa per l’attuazione delle necessarie finalità progettuali), laddove,
contrariamente a quanto attestato circa il regolare svolgimento del progetto, lo stesso non risulta essere
stato mai eseguito nei termini e modi previsti.
Infine, anche riguardo alle ipotizzate condotte di corruzione addebitate al ricorrente in qualità di
corruttore, il provvedimento impugnato ha specificamente dato conto degli elementi indiziari emersi
per ciascuno degli episodi oggetto del compendio storico-fattuale ivi partitamente ricostruito, attraverso
la dazione di somme di denaro contante, l’elargizione di utilità di varia natura (ad es., viaggi,
concessione in uso gratuito di immobili di pregio, fornitura di abbonamenti per eventi sportivi), l’illecito
finanziamento di campagne elettorali ed il pagamento di spese per l’acquisto di materiali per
manifestazioni politico-elettorali, disattendendo, con congrue ed esaustive argomentazioni, i rilievi
difensivi e provvedendo alla puntuale individuazione degli atti contrari ai doveri d’ufficio posti in essere
dai vari pubblici ufficiali coinvolti, nonché dello specifico settore ove il mercimonio delle pubbliche
funzioni risulta essersi in concreto verificato.

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finanziamento, sottoscrivendo gli ordinativi con cui venivano richieste le forniture, partecipando ai

5. A fronte di un congruo ed esaustivo apprezzamento delle emergenze procedimentali, esposto
attraverso un insieme di sequenze motivazionali chiare e prive di vizi logici, il ricorrente non ha
individuato passaggi o punti della decisione tali da inficiare la complessiva tenuta del discorso
argomentativo delineato dal Tribunale, né ha soddisfatto l’esigenza di una critica puntuale e ragionata
che deve informare l’atto di impugnazione, ma ha sostanzialmente contrapposto una lettura alternativa
delle risultanze processuali, facendo leva sull’apprezzamento di profili di merito già puntualmente

giudizio di questa Suprema Corte.
E’ noto, infatti, che in sede di ricorso ex art. 311, comma secondo, cod. proc. pen., la motivazione
del provvedimento che dispone una misura coercitiva è censurabile solo nell’evenienza, sotto nessun
profilo ravvisabile nel caso qui considerato, in cui risulti priva dei requisiti minimi di coerenza,
completezza e logicità, al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere
comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito o talmente priva di coordinazione e carente dei
necessari passaggi logici da far risultare incomprensibili le ragioni che hanno giustificato l’applicazione
della misura (ex multis, v. Sez. 2, n. 56 del 07/12/2011, dep. 04/01/2012, Rv. 251760; Sez. 1, n. 6972 del
07/12/1999, dep. 08/02/2000, Rv. 215331). Il controllo di logicità, infatti, deve rimanere all’interno
del provvedimento impugnato e non è possibile procedere ad una nuova o diversa valutazione degli
elementi indizianti, ovvero a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate
e, nel ricorso afferente i procedimenti “de libertate”, ad una diversa valutazione dello spessore degli
indizi e delle esigenze cautelari (Sez. 1, n. 1083 del 20/02/1998, dep. 14/03/1998, Rv. 210019).

6. Analoghe considerazioni devono esprimersi, infine, in relazione ai passaggi argomentativi
dedicati alla disamina dei contestati profili delle ravvisate esigenze cautelari, dove il percorso
motivazionale dell’impugnata ordinanza ha mostrato di dar conto, attraverso un coerente ed esaustivo
apprezzamento, delle ragioni per le quali la concreta gravità dei fatti contestati – anche in considerazione
della molteplicità degli episodi, del rilevante arco temporale ove gli stessi risultano essersi verificati e
delle correlative, complesse ed articolate, modalità di commissione – denota una spiccata pericolosità
sociale dell’indagato (Sez. 6, n. 12404 del 17/02/2005, dep. 04/04/2005, Rv. 231323; Sez. 2, n. 18290
del 12/04/2013, dep. 22/04/2013, Rv. 255755), ponendo contestualmente in rilievo, sulla base di
elementi sintomatici di valutazione, riconducibili anche al comportamento tenuto dall’indagato
successivamente alla sua perquisizione (allorquando ebbe ad invitare uno dei coindagati, ossia il Colli
Sergio, a dichiarare che il denaro mancante dalla cassa della società da quest’ultimo amministrata era
stato prelevato ed utilizzato per esigenze personali), l’ulteriore dato del concreto pericolo di
inquinamento probatorio legato alla prospettata capacità di alterazione del quadro documentale, con

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vagliati in sede di riesame cautelare, e la cui sollecitata “rilettura” non è, evidentemente, sottoponibile al

l’individuazione degli elementi idonei a giustificare, allo stato, la valutazione di idoneità nell’applicazione
della prescelta tipologia di misura cautelare personale.

7. Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ex art. 616 c.p.p. .

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, li, 28 gennaio 2014

Il Consigliere estensore

P.Q.M.

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