Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 19253 del 13/03/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 19253 Anno 2015
Presidente: NAPPI ANIELLO
Relatore: DEMARCHI ALBENGO PAOLO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
NAPOLITANO GIOVANNI N. IL 13/01/1960
avverso la sentenza n. 24/2013 TRIBUNALE di NOLA, del 11/04/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/03/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PAOLO GIOVANNI DEMARCHI ALBENGO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte vile, l’Avv
Uditi dif sor Avv.

Data Udienza: 13/03/2015

2

Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Mario Fraticelli, ha
concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.

Napolitano Giovanni è imputato del reato di cui all’articolo 594 del

codice penale per aver offeso l’onore e il decoro di Policastro Antonietta;
il giudice di pace di Noia assolveva l’imputato, ritenendo non
sufficientemente provata la sua colpevolezza ed in particolare non
ritenendo sufficiente la deposizione della persona offesa, non
pienamente attendibile per i contrasti con l’imputato in ordine agli
animali domestici. Il tribunale di Noia, ritenuta, al contrario pienamente
credibile la parte offesa, sia per la coerenza intrinseca del narrato, sia
per la precisione, sia perché confermata dallo stesso imputato, almeno
con riferimento alle circostanze di tempo e di luogo in cui si collocano i
fatti, ha ritenuto l’imputato responsabile del reato ascritto, ai soli fini
civili (essendoci impugnazione solo della parte civile) ed ha pertanto
condannato lo stesso al risarcimento del danno.
2.

Contro la sentenza di appello propone ricorso per cassazione il

Napolitano lamentando:
a. erronea applicazione della legge processuale, avendo il giudice
del gravame riformato la sentenza assolutoria di primo grado
in difetto di elementi probatori sopravvenuti ovvero non
vagliati dal giudice di primo grado; l’interpretazione del
giudice di appello sarebbe meramente alternativa e non
maggiormente persuasiva di quella del giudice di primo grado,
limitandosi ad esprimere apoditticamente un giudizio di
attendibilità intrinseca, senza indicare in forza di quali diversi
criteri adottati ha valutato diversamente la prova dichiarativa
della persona offesa.
b.

Inutilizzabilità delle deposizioni testimoniali rese dalla persona
offesa per omissione degli avvertimenti di cui all’articolo 197bis del codice di procedura penale, in relazione all’articolo 64,
stante la qualifica di imputata di altro reato in danno del
ricorrente in procedimento collegato ai sensi dell’articolo 371,
comma 2, del codice di rito.

c.

Erronea applicazione dell’articolo 192, comma 3, cod. proc.
pen. per avere il giudice del gravame recepito acriticamente

1

r

quanto riferito dalla persona offesa, omettendo la ricerca di
riscontri esterni e risultando il vizio manifesto dal testo del
provvedimento impugnato; si fa riferimento al procedimento
numero 51-05 in cui la signora Policastro Antonietta è
imputata per il reato di ingiuria e danneggiamento ai danni del
geometra Napolitano Giovanni.

1. Il primo motivo di ricorso è infondato; tribunale di Noia non ha
ribaltato il verdetto assolutorio immotivatamente, ma ha ritenuto
credibile la parte offesa sulla base di plurime ragioni: la coerenza
intrinseca del narrato, la sua precisione e non ultimo la conferma da
parte dello stesso imputato delle circostanze di tempo e di luogo in
cui si collocano i fatti; trattasi di valutazioni di merito che, in quanto
adeguatamente motivate, sfuggono a rilievi di sorta in sede di
legittimità.
2.

Per quanto riguarda la possibile violazione della giurisprudenza
CEDU, occorre rilevare che i principi affermati dalla sentenza della
Corte Europea dei diritti dell’uomo del 05/07/2011, nel caso Dan c.
Moldavia, e, più recentemente, dalla sentenza della medesima Corte
del 04/06/2013, nel caso Hanu c. Romania, ancorché fondati sull’art.
6, par. 1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali e, in particolare, sulla garanzia
dell’equità del processo – garanzia che, in linea generale, si estende,
ai sensi dell’art. 6 cit., anche alle controversie sui diritti e le
obbligazioni di natura civile – si riferiscono solo alla posizione
dell’imputato rispetto all’accusa in materia penale (si veda la
recentissima sentenza di questa sezione nella causa De Vito). La
stessa Corte europea dei diritti dell’uomo ha riconosciuto (sentenza
del 04/03/2014, nel caso Grande Stevens c. Italia, par. 120 della
motivazione) che le esigenze del processo equo sono più rigorose in
materia penale. La citata sentenza resa nel caso Hanu c. Romania,
del pari, muove dalla premessa che il modo in cui si applica l’articolo
6 ai procedimenti dinanzi ai tribunali competenti per l’appello dipende
dalle particolari caratteristiche dei procedimenti interessati (par. 31
della motivazione). Nel caso di specie, la decisione contestata
concerne la riforma, ai soli effetti civili, della pronuncia di

2

CONSIDERATO IN DIRITTO

assoluzione, per cui non vi è violazione alcuna della giurisprudenza
della CEDU.
3.

Per quanto riguarda il secondo motivo di ricorso, occorre premettere
che è pendente davanti alle sezioni unite la seguente questione di
diritto: se la mancata applicazione delle disposizioni di cui agli artt.
64, 197 bis e 210 cod. proc. pen., relativamente alle dichiarazioni
rese in sede di esame dibattimentale da chi avrebbe dovuto essere
esaminato come teste assistito, in quanto imputato di reato connesso

nullità a regime intermedio, o la mera irregolarità delle medesime
dichiarazioni.
4.

Tuttavia, la questione qui non rileva, atteso che sul presupposto del
collegamento tra i reati il ricorso è generico e dunque difetta un
elemento essenziale per la valutazione della censura, che rende il
ricorso privo della necessaria specificità e non autosufficiente.
5. Il terzo motivo di ricorso dipende da quello precedente e pertanto

va dichiarato inammissibile per lo stesso motivo; non risultando che il
teste dovesse essere escusso in modo assistito, perde di significato la
lamentela circa il fatto che tale qualifica (di teste assistito della persona
offesa) avrebbe imposto una maggior cautela nella valutazione di
attendibilità della stessa.
6.

Consegue a quanto esposto che il ricorso deve essere rigettato; ai
sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso,
la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al
pagamento delle spese del procedimento.

p.q.m.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 13/3/2015

o collegato a quello per cui si procede, determini l’inutilizzabilità, o la

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