Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1925 del 20/12/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 1925 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: MARINELLI FELICETTA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BONAVITA MARILENE N. IL 25/02/1961
avverso l’ordinanza n. 79/2011 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 06/11/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FELICETTA
MARINELLI;
letteAsetnrie le conclusioni del PG Dott.
.111

GQJL1.■

Udit i difensor Avv.;

“Lig(‘

Data Udienza: 20/12/2013

La Corte di Appello di Reggio Calabria, con
ordinanza resa all’udienza camerale del giorno
6.11.2012 rigettava l’istanza di riparazione
presentata
da
Bonavita Marilene per
ingiusta
detenzione in regime di arresti domiciliari dal
10/02/00 al 25/03/00 perché sospettata dei reati di
cui agli articoli 416 c.1 e 5, 81 cpv, 110 e 640 cpv
c.p., reati da cui era stata assolta in primo grado
con sentenza emessa dal Tribunale di Locri in data
29.01.07 e poi in secondo grado dalla Corte di
appello di Reggio Calabria perché il fatto non
sussiste, sentenza divenuta irrevocabile in data
8.11.09.
La reiezione dell’istanza era motivata in base alla
sussistenza
della
causa
ostativa
prevista
dall’art.314, comma l, c.p.p., per avere la
richiedente concorso a dare causa alla misura con
colpa grave, consistita nell’essersi avvalsa,
nell’interrogatorio di garanzia, della facoltà di non
rispondere. La Corte specificava che la decisione
della ricorrente di non rispondere
all’interrogatorio, ovvero il non aver fornito
spiegazioni su circostanze obiettivamente indizianti
aveva contribuito alla formazione del quadro
indiziario che aveva indotto all’applicazione della
custodia cautelare.
La ricorrente censurava l’ordinanza impugnata per
violazione ed erronea applicazione degli articoli 5
c.5 e 6 della legge 848/1955, 111 Cost., 314, 315 e
606 lett.b), c) ed e) cod.proc.pen., avendo la Corte
territoriale rigettato l’istanza per essersi la
ricorrente avvalsa della facoltà di non rispondere in
sede di interrogatorio di garanzia, senza considerare
la sentenza di assoluzione che accertava l’estraneità
della ricorrente rispetto alla vicenda per la quale
veniva condannato, invece, l’ex marito.

Ritenuto in
in fatto

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato.
Osserva la Corte che il diritto a equa riparazione
per l’ingiusta detenzione, regolato dagli artt. 314
e seguenti c.p.p., trova fondamento nella condizione
soggettiva della persona sottoposta a detenzione
immeritata e in tal senso ingiusta. Il quadro
sistematico di riferimento è un quadro di diritto
civile ma non è quello dell’art. 2043 c.c. che

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appresta sanzioni contro chi produce per dolo o colpa
un danno ingiusto ad altri. Il principio regolatore è
piuttosto quello della riparazione legata ad eventi
che producono il sorgere, quali conseguenze di
principi di solidarietà e di giustizia distributiva,
di responsabilità da atto lecito ( la distinzione
tra responsabilità per danno ingiusto ex art. 2043
c.c. e responsabilità per atto lecito è ben chiarita
da Cass. SS.UU. civ. 11/6/2003 n. 9341). E’ ben
fermo, in materia, l’assetto delle regole
generalissime che disciplinano l’onere della prova
civile ex art. 2697 c.c. posto che il procedimento
relativo alla riparazione per l’ingiusta detenzione,
quantunque si riferisca ad un rapporto
obbligatorio
di diritto pubblico
e
comporti
perciò
il rafforzamento dei poteri officiosi del
giudice,
e’
tuttavia ispirato ai principi del
processo civile, con la conseguenza che l’istante
ha l’onere di provare i fatti costitutivi
della
domanda, la custodia cautelare subita e la
successiva assoluzione ( Corte Cass. Sez. 4 sent. n.
23630 02/04/2004 – 20/05/2004 ). Peraltro il
sorgere del diritto è condizionato alla esistenza di
una condotta del richiedente che al tempo del
processo in nulla abbia dato causa o concorso a dare
causa a quella ingiusta detenzione. L’operazione
intesa a cogliere tali condizioni deve scandagliare
solo l’eventuale efficienza causale delle condotte
dell’imputato che possano aver indotto, anche nel
concorso dell’altrui errore, secondo una valutazione
ragionevole e non congetturale
il giudice a
stabilire la misura della detenzione
(Cass. SSUU
13/12/95 n. 43, Sez IV 10/3/2000 n. 1705) .
Il giudice,pertanto, deve fondare la sua decisione su
fatti concreti e precisi e non su mere supposizioni,
esaminando la condotta del richiedente, sia prima e
sia dopo la perdita della libertà personale,
indipendentemente dall’eventuale conoscenza che
quest’ultimo abbia avuto dell’attività di indagine,
al fine di stabilire, con valutazione ex ante, non se
tale condotta integri estremi di reato, ma solo se
sia stato il presupposto che ha ingenerato, ancorchè
in presenza di errore dell’autorità procedente, la
falsa apparenza della sua configurazione come
illecito penale, dando luogo alla detenzione con
rapporto di causa ad effetto (cfr. Cass. Sezioni
Unite, Sent. n.34559/2002; Cass., Sez.4, Sent.
n.17552 del 2009)
Tanto premesso si osserva che la Corte di Appello di
Reggio Calabria, con motivazione adeguata, ha
enucleato, con congrua verifica degli accertati
elementi di riferimento, la condotta della

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pl

richiedente ostativa all’accoglimento dell’istanza di
equa riparazione. La Corte territoriale infatti non
ha fondato il rigetto sul silenzio della ricorrente
in sede di interrogatorio, ma ha valutato
negativamente tale scelta, pur astrattamente
legittima, dopo avere dettagliatamente individuato ed
enumerato i dati di fatto a carico e cioè: sequestro
di numerose “fustelle” di sospetta provenienza
illecita per le modalità di conservazione, numerose
conversazioni tra la ricorrente e il condannato. ex
marito dalle quali emergeva la contiguità e / la
/
connivenza
tra i due, dati costituenti elementi
sufficienti a giustificare la carcerazione. La Corte
territoriale ha poi evidenziato che l’odierna
ricorrente in sede di interrogatorio di garanzia si
era limitata ad avvalersi della facoltà di non
rispondere. Tale dato ha un indubbio rilievo in
quanto costituisce omesso consapevole apporto al
chiarimento del quadro indiziario da parte della
ricorrente, la quale era invece in condizione di
contribuirvi.
Tanto premesso si osserva che costituisce principio
consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che
il silenzio, la reticenza ed il mendacio
dell’indagato, pur integrando un diritto di difesa,
possono rilevare sotto il profilo del dolo o della
colpa grave, quando incidenti su circostanze idonee a
connotare il quadro indiziario e le ragioni di
cautela (cfr,Cass., Sez.3, Sent. n.13714 del
17.02.2005, Rv.231624; Cass.,Sez.4, 9.12.2008,
Lafranceschina; Cass., Sez.4, 18.11.2008, Calzetta e
altro).
Questo essendo il quadro accusatorio, il motivo
proposto dall’odierna ricorrente non può essere
accolto.
Il
provvedimento
impugnato,
che
definisce
il
procedimento
per
la
riparazione
dell’ingiusta
detenzione, supera quindi il vaglio di questa Corte
che è limitato alla correttezza del procedimento
logico giuridico con cui il Giudice è pervenuto ad
accertare o negare i presupposti per l’ottenimento
del beneficio indicato. Resta invece nelle esclusive
attribuzioni del giudice di merito, che è tenuto a
motivare
adeguatamente
e
logicamente
il
suo
convincimento, la valutazione sull’esistenza e la
gravità della colpa e sull’esistenza del dolo.
Il
non
legislatore
ha
infatti
riconosciuto
incondizionatamente il diritto all’equa riparazione,
ma l’ha esplicitamente escluso allorquando il
comportamento dell’indagato,
come appunto nella
fattispecie de qua, abbia indotto in errore il

r

giudice circa l’esistenza dei gravi indizi di
colpevolezza a suo carico.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato e la
ricorrente deve essere condannata al pagamento delle
spese processuali.
PQM

Così deciso in Roma il 20.12.2013

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al
pagamento delle spese processuali.

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