Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1924 del 20/12/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 1924 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BONTEMPO SCAVO SALVATORE N. IL 06/03/1967
avverso l’ordinanza n. 46/2010 CORTE APPELLO di MESSINA, del
16/01/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO;
lette/sssitite le conclusioni del PG Dott. V i 13 Art BOOS IO

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Data Udienza: 20/12/2013

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza del 5 ottobre 2012 la Corte d’appello di Messina rigettava
l’istanza di riparazione per ingiusta detenzione formulata nell’interesse di
Buontempo Scavo Salvatore, sottoposta a custodia cautelare in carcere dal
1/4/2000 al 20/4/2000 perché gravemente indiziato del reato di cui all’art. 416
bis cod. pen. ma successivamente assolto, per non aver commesso il fatto, con
sentenza della Corte d’assise di Messina emessa in data 25/7/2008, divenuta

A fondamento di tale decisione rilevava la corte territoriale che dal quadro
indiziario, pur ritenuto inidoneo ai fini dell’accertamento della responsabilità
penale, emergevano tuttavia elementi che portavano a ravvisare nella condotta
del richiedente gli estremi della colpa grave, causalmente incidente sulla
carcerazione, essendosi peraltro segnalato anche nella sentenza assolutoria che
gli elementi considerati, pur non costituendo prova sufficiente per una pronuncia
di condanna,

«nondimeno apparivano quantomeno percepibili in termini di

connivenza e contiguità con gli altri soggetti facenti parte dell’associazione
criminosa».
In tal senso, il giudice della riparazione rilevava in particolare che

«il

contenuto della intercettazione ambientale compiutamente trascritta in sentenza
(ff. 1202-1204) manifesta la piena consapevolezza di Bontempo Scavo Salvatore
delle operazioni logistiche e finanziarie che il suo interlocutore Lenzo Santo
poneva in essere per garantire la latitanza di Bontempo Scavo Cesare congiunto dell’attuale ricorrente – e di cui veniva puntualmente a renderlo
partecipe».

Considerava in particolare significativo il passo (testualmente

trascritto a pagina 3 dell’ordinanza) della conversazione in cui l’attuale
ricorrente, divergendo dai propositi del suo interlocutore, comunque perviene ad
esprimere un motivato giudizio sull’opportunità di scegliere un determinato luogo
per la latitanza del congiunto.

irrevocabile il 29/12/2008.

2. Avverso questa decisione il Bontempo Scavo propone, per mezzo del
proprio difensore, ricorso per cassazione, denunciando vizio di motivazione.
Censura, in buona sostanza, l’ordinanza impugnata per aver fondato il
proprio convincimento circa la sussistenza di una condotta gravemente colposa
ostativa al riconoscimento del reclamato indennizzo sulla base di mere
suggestioni legate al rapporto di parentela con un pregiudicato e di una lettura
parziale distorta di una conversazione telefonica, omettendo di considerare che
la sentenza di assoluzione, dopo approfondito e completo esame dei contenuti
della trascrizione, aveva in relazione ad essa espresso il contrario convincimento
?

secondo cui «dall’unica intercettazione che poteva riguardare il sig. Bontempo
Scavo Salvatore si evincesse … un suo totale disinteressamento manifestato al
sig. Lenzo Santo, il quale ultimo lo tentava di sollecitare a risolvere il problema
della latitanza di Bontempo Scavo Cesare».
Lamenta inoltre che la corte territoriale non ha tenuto conto della condotta
processuale del richiedente, pienamente collaborativa.

3. Il P.G. ha concluso per l’accoglimento del ricorso con il conseguente

Considerato in diritto

4. Il ricorso è fondato e merita accoglimento.

4.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di
riparazione per ingiusta detenzione, al giudice del merito spetta, anzitutto, di
verificare se chi l’ha patita vi abbia dato causa, ovvero vi abbia concorso, con
dolo o colpa grave.
Tale condizione, ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, deve
manifestarsi attraverso comportamenti concreti, precisamente individuati, che il
giudice di merito è tenuto ad apprezzare, in modo autonomo e completo, al fine
di stabilire, con valutazione ex ante, non se essi abbiano rilevanza penale, ma
solo se si siano posti come fattore condizionante rispetto all’emissione del
provvedimento di custodia cautelare.
A tal fine, egli deve prendere in esame tutti gli elementi probatori disponibili,
relativi alla condotta del soggetto, sia precedente che successiva alla perdita
della libertà, allo scopo di stabilire se tale condotta abbia determinato, ovvero
anche solo contribuito a determinare, la formazione di un quadro indiziario che
ha indotto all’adozione o alla conferma del provvedimento restrittivo.
In tale operazione il giudice della riparazione, come ripetutamente precisato
da questa Corte, ha certamente il potere/dovere di procedere ad autonoma
valutazione delle risultanze e di pervenire, eventualmente, a conclusioni
divergenti da quelle assunte dal giudice penale, ma solo nel senso che, ad
esempio, circostanze oggettive accertate in sede penale, o le stesse dichiarazioni
difensive dell’imputato, valutate dal giudice della cognizione come semplici
elementi di sospetto, ed in quanto tali insufficienti a legittimare una pronuncia di
condanna, ben potrebbero essere considerate dal giudice della riparazione
idonee ad integrare la colpa grave ostativa al diritto all’equa riparazione; non
anche invece nel senso di attribuire agli elementi di prova considerati in sede

annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.

penale un significato radicalmente diverso o opposto a quello ritenuto in sede di
cognizione.
È evidente in particolare che, giammai, in sede di riparazione per ingiusta
detenzione, può essere attribuita decisiva importanza, considerandole ostative al
diritto all’indennizzo, a condotte escluse in sede penale o a circostanze relative
alla condotta addebitata all’imputato con il capo di imputazione in ordine alle
quali sia stata riconosciuta l’estraneità dell’imputato stesso con la sentenza di
assoluzione (senza che possa avere rilievo se dalla sentenza emerga la prova

prova: sul punto, Sez. 4, n. 1573 del 18/12/1993 – dep. 19/05/1994, Tinacci,
Rv. 198491).
La condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo per
l’ingiusta detenzione rappresentata dall’aver dato causa, da parte del
richiedente, all’ingiusta detenzione, deve concretarsi in comportamenti che non
siano stati esclusi dal giudice della cognizione e che possono essere di tipo extraprocessuale (comportamenti caratterizzati da spiccata leggerezza o macroscopica
trascuratezza tali da porre in essere un meccanismo di imputazione) o di tipo
processuale (come un’autoincolpazione, un silenzio cosciente su di un alibi, età):
e sugli elementi costitutivi della colpa grave così determinati, il giudice è tenuto
sia ad indicare gli specifici comportamenti addebitabili all’interessato, sia a
motivare in che modo tali comportamenti abbiano inciso sull’evento detenzione.
Posto, dunque, che il dolo o la colpa grave idonei ad escludere l’indennizzo
per ingiusta detenzione devono sostanziarsi in comportamenti specifici che
abbiano “dato causa” all’instaurazione dello stato privativo della libertà o abbiano
“concorso a darvi causa” – sicché è ineludibile l’accertamento del rapporto
causale, eziologico, tra tali condotte ed il provvedimento restrittivo della libertà
personale – si deve innanzitutto rilevare che è sempre necessario che il giudice
della riparazione pervenga alla sua decisione di escludere il diritto in questione in
base a dati di fatto certi, cioè ad elementi “accertati o non negati” (Sez. U n. 43
del 13/12/1995 – dep. 09/02/1996, Sarnataro, Rv. 203636); tale valutazione,
quindi, non può essere operata sulla scorta di dati congetturali, non
definitivamente comprovati non solo nella loro ontologica esistenza, ma anche
nel rapporto eziologico tra la condotta tenuta e la sua idoneità a porsi come
elemento determinativo dello stato di privazione della libertà, in riferimento alla
fattispecie di reato per la quale il provvedimento restrittivo venne adottato (v.
anche, in motivazione, Sez. 4, n. 10684 del 26/01/2010, Morra, non mass.).

4.2. Nel caso in esame, la corte territoriale non sembra essersi attenuta a
tali criteri.

positiva di non colpevolezza o piuttosto l’insufficienza o la contraddittorietà della

Come invero rilevato anche dal P.G. l’ordinanza impugnata desume la colpa
grave di cui all’art. 314 cod. proc. pen. dal tenore di un’unica intercettazione
telefonica, ritenuta sintomatica della consapevolezza da parte del richiedente
delle operazioni logistiche finanziarie poste in essere per garantire la latitanza di
Bontempo Scavo Cesare, suo congiunto; ciò è però in aperto contrasto con
l’ordinanza del tribunale del riesame che aveva disposto la scarcerazione e con la
sentenza assolutoria della corte d’assise che avevano entrambe escluso, senza

qualsivoglia coinvolgimento del ricorrente, affermando al contrario che da essa si
evincesse un suo totale disinteressamento.
Il ragionamento della corte territoriale pertanto, in assenza di alcun’altra
specificazione circa l’esistenza di modalità o circostanze della condotta,
processuali o extraprocessuali, idonee di per sé a dimostrare per altri profili
l’esistenza di una colpa grave causalmente efficiente alla determinazione
cautelare, si rivela carente e manifestamente illogico e inidoneo a supportare la
decisione di rigetto.

5. L’ordinanza va pertanto annullata con rinvio alla Corte d’appello di
Messina per nuovo esame.

P.Q.M.

Annulla la impugnata ordinanza con rinvio alla Corte di Appello di Messina
per nuovo esame.
Così deciso il 20/12/2013

ombra di dubbio, che dal tenore della conversazione potesse cogliersi un

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